Pègaso - anno V - n. 6 - giugno 1933

G . LANZA, All'albergo del sole 765 Si veda, a conferma, il lungo racconto che dà il titolo al libro, dove lo scrittore ci offre meglio il quadro delle sue virtù e possibilità, e, in– sieme, dei suoi difetti. Luigi, il protagonista, è il tipo esemplare degli abulici, degli « invertebrati » cari al Lanza. Come musicista egli ha tradito le sue aspirazioni artistiche per la più lucrosa occupazione com– merciale, ma a sua volta l'arte continua ad apparirgli come la sua reale vocazione e destino. Come amante egli finalmente trova in Jole la na– tura femminile e delicata che può comprenderlo, e, insieme, la sicurezza di vita che sola può assicurargli la riuscita dei suoi progetti. Ma il malin– teso rimorso della propria povertà di fronte alla ricchezza di lei, il suo orgoglioso puntiglio di piccolo intellettuale finiscono col fargli mandare a monte il matrimonio provocando la morte della gracile e sofferente creatura amata. Anche il suo passato sentimentale, incarnato in T i n a , il primo e più intenso amore della sua giovinezza, viene a gravare sulla bilancia facendola traboccare dal lato della negazione. In sostanza, nulla di positivo si oppone a che Luigi riesca nella vita : egli trova in sé, nelle ragioni istintive della sua natura, il morivo necessario e sufficiente della propria sconfitta. I l gioco psicologico, il sostituirsi delle interpretazioni che volta a volta Luigi dà dei propri atti è seguito dal Lanza con mano sicura. In una situazione analoga, — mutatis mutandis, — viene a trovarsi la protagonista di Un'avventura di Nina. Anche per lei, umile impiegata d'ufficio, nulla s'oppone ch'ella possa trovare, nella facile avventura amo– rosa che le si presenta in una nebbiosa sera d'inverno, un po' di quella smemorata felicità, di quel fuggevole piacere di cui s'appagano le sue compagne, e che è tutto quanto le sia dato di spremere dalla sua vita brulla e tristemente destinata di fanciulla povera. Ma anch'essa non è fatta per la gioia : e lo smarrimento che le tradisce le forze al momento decisivo la dimostra a se stessa qual'è: creatura fallita. Timore? Virtù? L'una e l'altra cosa, probabilmente, ma, sopratutto, incapacità a vivere. E anche la sua passiva e grigia virtù è cosa senza valore, se ciò che alla fine la salva è soltanto una resipiscenza dell'amante, che presente in lei qualcosa di diverso, di più grave e impegnativo della facile relazione ch'egli cerca. Una disgrazia, che è d'altronde una novella ben condotta, non rap– presenta probabilmente, nell'insieme del volume, che un semplice episodio, un bozzetto scritto per « farsi la mano », e, in definitiva, lontano dalle più assidue preoccupazioni dello scrittore. Con Bice ritroviamo il Lanza migliore, la sua predilezione, già affermatasi in una commedia come Ri– torni, per i supremi contrasti morali e sentimentali. Sembra anzi a me questa di Bice, col misto di pietà e di sottaciuta irrisione con cui lo scrit– tore ce la presenta, la più acutamente disegnata fra tutte le figure del libro, quella destinata a meglio durare nella memoria. I n Bice, donna brutta, sposata dal marito non si sa bene se per calcolo o per vanità sod– disfatta di pseudo-artista finalmente compreso, l'amore per costui, co– scientemente e dichiaratamente disinteressato, finisce, a forza di sublimità, col diventare una forma del più mostruoso e splendido egoismo. Nel– l'amore per il marito Bicefiniscecon l'idolatrare se stessa, la propria virtù, la propria infinita capacità di sacrifizio. Ma i due sentimenti, — amoroso ed egoistico, — che prima procedevano confusi, a un certo momento si distaccano. Quando il marito le comunica la sua decisione di vivere ormai

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