Pègaso - anno V - n. 6 - giugno 1933

7 6 4 G . L A N Z A , All'albergo del sole G I U S E P P E L A N Z A , All'albergo del sole. — Sobria, Firenze, 1 9 3 2 . L . 1 0 . Giuseppe Lanza, già noto al pubblico per due buone commedie pubblicate anni fa presso i Fratelli Ribet (Esilio e Ritorni) ci dà oggi un primo libro di racconti. E d è bene dir subito che egli, scrittore di teatro, nutrito di esperienze assai diverse da quelle solite dei nostri psicologisti (non è raro che proprio i più « oggettivi » ed « esperti » fra costoro r i – velino, dietro l'andatura volutamente sciatta della narrazione, dietro lo stile compiaciutamente cronistico, una formazione schiettamente lette– raria, spesso addirittura critica) sa, anche come narratore, restar fedele alla propria indole nativa, ha il merito di affrontare la forma per lui nuova del racconto con indiscutibile onestà. Lanza ha letto Proust e Joyce, ma, quando scrive, non se ne ricorda. Siciliano, il piglio, il tono sentimentale di alcune di queste sue pagine ha fatto rammentare il Verga delle novelle « milanesi » : richiamo che tuttavia andava inteso con tutta discrezione, escludendone in modo assoluto il significato d'una derivazione diretta, nel senso piuttosto del riprodursi d'una situazione obbligata, d'una, chia– miamola così, fatalità regionale. Ma il ricordo del Verga poteva anche ricorrere al pensiero; e così, nei tratti risolutivi, quello del primo Piran– dello novelliere. I n distanza, poi, i russi : e fra questi principalmente il Cecov. Ciò si dice, beninteso, per ambientare le sue tendenze, i suoi idea– li di scrittore, e non già, occorre ripeterlo, per identificare derivazioni letterarie, che non ci sono. ' È bensì vero che il Lanza, in ciò vicino ai suoi coetanei novellieri, sa esercitare sui suoi protagonisti il bisturi tagliente dell'indagine psico– logica, si avventura a rivelarne i meccanismi segreti, le incoscienti regioni della natura che deludono i loro ideali e progetti e improvvisamente li dimostrano altri da quelli ch'essi credevano di vagheggiare. A spigolare nel suo libro, non sarebbe difficile isolare tratti e situazioni da porre ac– canto agli esempi noti della nostra narrativa giovane a fondo « psicolo– gistico ». Però, — e qui consiste la sua fedeltà, — il Lanza giunge a rifiu– tare le conclusioni estreme di un simile atteggiamento, ossia quella finale « indifferenza » e « sostituibilità » dei moti del pensiero e del sentimento che costituisce l'apporto amaro e deluso dell'arte cui accenniamo. L a sua indole convinta e un po' scontrosa di scrittore, la sua formazione teatrale lo trattengono dal compiacersi nella notomizzazione ad infinitum. Lanza, in definitiva, crede all' « arte », crede alla « passione ». Se anche i pro– tagonisti di questi suoi racconti sono dei falliti e dei delusi, se anche la loro vicenda non fa che dimostrarne l'incapacità di adeguarsi alla vita e di farla fiorire in realtà e felicità umane, ciò non toglie che le loro aspi– razioni abbiano un fine, un oggetto reale, se pure trascendente; ciò non toglie che la « terra promessa » continui ad aleggiare, irraggiungibile paradiso, sulle vane agitazioni degli uomini che non possono toccarla, trovando in sé le ragioni della propria rovina e dissoluzione. I n tale persistente fedeltà a certe idealità sentimentali e morali, nella loro formu– lazione tradizionale, consiste il particolare romanticismo del Lanza, e insieme quel tanto di « siciliano » e di « appassionato » che può aver fatto rammentare le novelle milanesi del Verga.

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