Pègaso - anno V - n. 6 - giugno 1933

7 5 8 C BETOCCHI, Realtà vince il sogno popolaresco, con tante sue canzonette, e tutto intinto di lettere, se non leggiadramente intinto. E io nominerei il Parini : V a g ò e deserto rio che tra incorrotte sponde suirinvisibil onde spingi il pensiero mio: quello cioè più arcadico e corrente. E nominerei il Carducci : L a sensitiva luna in te tisplende, materna notte, e il bruno monte fascia di bende ecc. : quello cioè delle Primavere elleniche. E perché no, anche, i minori e i m i – nimi, specie gli sprovveduti, i popolareschi, i romantici, fino a Betti? Sta però il fatto, che il poter fare tanti nomi, e sì diversi, non è indizio buono, o per lo meno è indizio che un lavoro letterario, sì, c'è dentro, ma scarso e tutto dell'orecchio. Direi che così si fa poesia d'im– provvisazione, e che in quelle sparse letture non si sa cercare altro alla fine che un eccitamento effimero, un coraggio e un ardire che è solo nel– l'invenzione verbale o in una momentanea novità ritmica. Ragionando per opposti, pensate se convenga chiamare poesia d'improvvisazione an– che la poesia di un Ungaretti o di un Montale. Ma del poeta popolaresco il Betocchi ha certe qualità gentili : un misto di franchezza e di raro, a cominciare dalla lingua, e quel tanto di letteratura che mantiene vive le impressioni, o che vale per se stessa, co– me fosse il segno d'una realtà ancor nuova. Allegrezza dei poveri a Te- goleto è forse, in questo senso, la poesia meglio riuscita. I n forma modesta, una canzone, perfino col suo congedo; poi vedi che canzone non è, sono sestine, sestine irregolari, che han saputo cogliere a volo un'aria di canto» e i versi da quel primo moto impresso han tolto il suono e la giustezza. Ma fa festa, quell'essere e non essere poesia, essere e non essere espres– sione raggiunta, e quel certo che di sbadato, affettuoso, tenero, malinco– nico, povero. È un idillio scontento, con sole le apparenze della felicità; e il più è rimasto in quel tal respiro, in quel ritmo, che è chiaro e ti sfugge, credi di capirlo nella sua essenza e si sparpaglia ebbro, « con ebbre ciancie », per dirla con le parole stesse del Betocchi. Comunque, non è così tutta volta a un esterno movimento la sua poesia. L'Autunno, ad esempio, è una lirica pensata e scritta con più riposo e distacco, in versi più naturalmente scanditi, e con rime lente e sapienti : Beato autunno! il cui fanciullo sguardo vaga tra le nuvole erranti; che pigro dorme sull'aroma tardo dei mosti, e ascolta gli ebbri canti.,..; ma porta in sé un pericolo, una compiacenza, punto per punto, che dà nell'enfasi, e un'assenza d'animo; se non fosse per quei due versi soli* abbandonati: m ma adombra il bel viso d'ambascia per foglia che al vento si lascia.

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