Pègaso - anno V - n. 6 - giugno 1933

7 5 6 G . PAPINI, Dante vivo Papini lascia di far l'architetto e prende in mano la pala e la cazzuola anche lui, e tra l'altro indaga a lungo il mistero del Veltro, per dimo– strare che sotto il velame della bestia salvatrice si nasconde lo Spirito Santo; e, non contento di studiare l'amore di Dante per Beatrice, si diverte ad arzigogolare, in pagine acute, e ricche di psicologia femminile, che cosa di Dante dovette pensare Beatrice. C'è un capitolo intitolato « Beatrice non rispose » che ci richiama alla mente, sia detto senza irriverenza verso Papini e verso Dante, un romanzo di Matilde Serao : Ella non rispose. Così, si indaga col solito acume intorno ai rapporti tra Guido Cavalcanti e l'Alighieri ; « E ci possono essere amicizie, — massime tra i letterati, — che sono in apparenza saldissime, e realmente rispondono a una parziale concordia d'animi, ma sono accompagnate, nell'interno, da una mistura d'indifferenza, di gelosia e perfino d'odio ». Negli ultimi anni, l'amicizia fra i due fu, forse, « più fredda e forse turbata da qualche dissapore o malinteso ». Tant'è vero, nota Papini, che quando Dante fu priore, non esitò ad acconsentire che Guido fosse mandato in esilio. « Eppoi lo scadere del suo Priorato era prossimo (Guido dovette partire alla fin di giugno e Dante sarebbe uscito dall'ufficio il 15 agosto 1 3 0 0 ) e avrebbe potuto chiedere una dilazione alla condanna o magari dimettersi ». Ora, qui Papini non deve essersi espresso chiaramente, perché, come egli stesso ci dice a pagina 1 2 8 , e come tutti sanno, Dante fu priore dal 1 5 giugno al 15 agosto del 1 3 0 0 , e però, quando Guido fu esiliato, si trovava in principio, e non verso Io scadere del suo priorato. Giustissimo, per contro, è quanto è detto sulle cariche politiche e amministrative, dimostrandone, nel complesso, la scarsa importanza. C i son tanti, anche nelle scuole, che fanno la bocca tonda quando annunciano che Dante fu priore; e non pensano che i priori eran sei e duravano in carica appena due mesi. I l solo incarico importante fu l'ambasceria a Bonifacio V i l i ; ed abbiamo già detto che su questo incontro, o scontro, Papini ha scritto le più belle pagine di tutto il volume. Dante vivo; ma, insomma, l'uomo c'importa in quanto interessa l'artista. Papini l'ha capito benissimo, e non per nulla si è proposto di fare un ritratto « critico » ; le sue pagine più avvincenti sono quelle da cui di mano in mano quel ritratto si viene formando, come un busto a poco a poco dalla creta sotto il pollice dello scultore. Dante « non fu quella coscienza netta che immaginano gli ovini idolatri ima neppure quel– la mezza canaglia che altri vorrebbe ». Non fu un santo; anzi, fu un peccatore, e peccò soprattutto di lussuria, d'ira e di superbia, « peccati che più facilmente padroneggiano l'anime vigorose e nobili », anche perché da essi può ben generarsi l'opposta virtù. Non per nulla « Dante si pone, quasi giudice delegato da Dio, al disopra dei dominatori del mondo ». A Campaldino combatté valorosamente, non senza aver prima provato te– menza molta; e questa temenza appare anche dal poema, dove paure e spaventi son tutt'altro che rari, ché forse egli fu « più commovibile e apprensivo di quel che non lo raffiguri il mito volgato del Dante tutto macigno » ; e facile al pianto anche fu, come appare anche dalla Vita nova. « Pochi libri al mondo son fradici di pianto come questa confessione di un amante che chiosa le sue adorazioni e i suoi languori ». Papini ama Dante, un po' come Dante amava gli uomini, cioè strapazzandoli; ne sente e ne spiega la grandezza in maniera mirabile, ma non lo risparmia,

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