Pègaso - anno V - n. 6 - giugno 1933

G . PAPINI, Dante vivo 7 5 5 motteggiatrice dei propri concittadini, e illuminare così di luce nuova la famosa tenzone fra Dante e Forese. Ma non basta. Questo libro sull'Alighieri si propone di essere di– verso da tutti quelli che finora son stati scritti sull'argomento da critici, storici, eruditi, novellieri. « Vuol essere il libro vivo d'un uomo vivo sopra un morto che dopo la morte non ha mai cessato di vivere ». Più che una vita di Dante si propone di essere « un Dante vivo, un ritratto morale e spirituale di lui », un « ritratto critico, come ci sono l'edizioni critiche » ; una battaglia, — tutto il volume è polemico, dalla prima pa– gina all'ultima, — contro « l'idea di un Dante tutto grand'uomo, ad ogni istante fiero, integro ed eroico,... un Dante soltanto maestoso e te– mibile ». Ora, questo Dante esiste, ma, come nota Papini, non è « il solo vero ». Giustissimo; anche nel poema stesso c'è ogni tanto un Dante che ride, sorride, ironizza, sghignazza, piange. Se non sapessimo nulla di lui, e dovessimo giudicar l'uomo soltanto dal suo poema, questo ci ba– sterebbe per affermare che l'autore della Commedia dovette essere un uomo dall'indole straordinariamente varia, ricca e mutevole, capace insieme dei più sublimi rapimenti e di qualche bassa voglia. È vero che un eroe r i – mane sempre tale anche in veste da camera; ma è anche vero che nella vita comune farà anche lui tante cose che tutti gli altri uomini fanno nella vita comune. « T i vedo scherzare e rider coi tuoi compagni e but– tarti nell'erba con loro... Ora al bel sole della mattina ora al biancore della luna ti scorgo mentre sbirci una giovanetta che scantona, o una fi– nestra dove è affacciato un bel viso pallido e fresco... ». Anche questa, di cui cito queste poche righe, è un'altra bella pagina: ma, insomma, a intender meglio Dante mi sembra superflua. Dante vivo avrà fatto que– sto ed altro, grazie alle necessità della nostra natura debole e inferma. Cattolico, artista,fiorentino,Papini, per fortuna nostra, è sopra ogni altra cosa artista; e questo suo libro, per esser giudicato rettamente, va inteso in primo luogo come opera d'arte. Leggete, per altro esempio, le pagine in cui si parla di Bonifacio V i l i e in cui il grande papa è messo di fronte al grande poeta. Anche questa, ripeto a bella posta l'epiteto, è semplicemente stupenda; una di quelle pagine che balenano e illuminano. L o stesso direi di quelle in cui si discorre della « potenza espressiva » della poesia dantesca, e dell'altra che celebra, diremo così, la singolare vitalità dei morti danteschi : « Dante è il più grande poeta dei morti. Eppure, se ben guardate, la morte non c'è... Siamo fra i morti, ma non v'è puzzo di cadavere né biancore di scheletri ». Sono infatti anime, che aspettano di rivestire il loro corpo nel giorno del Giudizio, « la vesta che al gran dì sarà sì chiara »; non per tutti, si capisce. E anche parlando dell'uomo e del suo destino, potente mi pare il capitolo su « la solitudine di Dante », e. pieno di osservazioni giuste e acute l'altro che s'intitola « Soprattutto poeta ». Opera d'arte; se entriamo nell'esegesi e nella critica, rischiamo di incedere per ignes. Papini ce l'ha coi dantisti e coi dantologi; fa l'elogio di alcuni di essi fra i più « positivi e pazienti », ma non senza aver no– tato che li rispetta « come il mugnaio che fornisce la pretta farina che sarà consacrata dal celebrante ». Vaglian la rena e cuocion la calce, ma non sono architetti. Pure, tanto la materia è complessa e ardua, e tanta è la necessità, per costruire, di fondamenti sicuri, che qualche volta anche

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