Pègaso - anno V - n. 6 - giugno 1933

N. R O S S E L L I , Carlo Pisacane nel Risorgimento italiano i l significato di una sfida contro la società in generale; e che « la morte del protagonista, tra quei galeotti terrorizzati e fuggenti, assurge a un incomparabile donchisciottesca grandiosità da epopea ». Non è ad ogni modo l'epopea offertaci dai poeti del Risorgimento. Del suo inevitabile sacrificio il Pisacane era consapevole, — lo affermò prima di partire nel testamento, — e vi andò incontro con la convinzione di compiere un dovere. « Se mai nessun bene frutterà all'Italia il nostro sagrificio, sarà sempre una gloria trovar gente che volonterosa s'immola al suo avvenire ». Ma quale avvenire? Egli riconferma bensì nella prima parte del suo testamento il credo socialista; ma su questa professione di fe– de sembra poi ricredersi. « L a propaganda dell'idea è una chimera,... l'edu– cazione del popolo è un assurdo. Le idee risultano dai fatti, non questi da quelli... Se non riesco, dispregio profondamente l'ignobile volgo che mi condanna, ed apprezzo poco il suo plauso in caso di riuscita ». Ravvedi– mento estremo forse? I n certo senso, sì; ma non quale semplicisticamente si potrebbe intenderlo. Credo che proprio qui il Rosselli abbia dato il più completo e acuto giudizio sulla figura del Pisacane. Nel momento in cui questi si apparecchiava a dar la parola ai « fatti » sentiva il vero signi– ficato dell'azione diretta concepita come « sforzo di liberazione interiore che muova dal basso, dal sottosuolo sociale, trovi espressione in élites rappresentative e si imponga come volontà di lottare ». Se anche può sem– brare ardito l'avvicinamento, il Pisacane sarebbe perciò « un sindacalista rivoluzionario, un Sorel avanti lettera », che « dal mito dell'eguaglianza, della libertà assoluta e del livellamento delle classi conduce pari pari a giustificare la violenta sopraffazione della volontà della maggioranza ( che può essere anche non volontà) da parte di una minoranza autoproclama– tasi depositaria delle sue aspirazioni profonde ». Quindi è che per lui « il problema già tanto discusso dell'ordine di precedenza tra le due libera– zioni, Luna dell'asservimento politico, l'altra da quello sociale, ha perso ogni concreto interesse, poiché si tratta piuttosto di creare l'atmosfera favorevole ad entrambe, pregna d'intolleranza d'ogni giogo, satura di volontarismo, dinamica; di allenare frazioni sempre più numerose della popolazione ad osare, a infranger barriere e divieti, a reclamare i diritti di libertà conculcati, ed anzi a conquistarseli con la violenza ». E allora comprendiamo meglio perché il Rosselli ponga il Pisacane tra « la minoranza sparuta dei positivi » del nostro Risorgimento. • ANTONIO P A N E L L A GIOVANNI PAPINI, Dante vivo. — Libreria editrice fiorentina, Firenze, 1 9 3 3 . L . 1 6 . « Per intender pienamente Dante ci vuole un cattolico, un artista n un fiorentino ». E poiché Papini è tutte e tre queste cose, possiamo fi– darci di lui, e, prendendolo per guida, cercar di capire Dante, anche noi che siamo cattolici, forse artisti, ma, ahimè, non fiorentini. Fuori di scherzo, è certo che in quella affermazione è molto di vero; solo un fio– rentino poteva scrivere, per esempio, quella stupenda pagina sull'indole

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