Pègaso - anno V - n. 3 - marzo 1933

spicii; uno a n z i , l'austriaco Sosnosky, rimproverò di non aver avvertito « lo strano stigma che l'attentato Oberdank impresse su quell'alleanza appena conclusa ». I l libro del Salata va letto, p i ù che per ammirare l'eroismo di Ober– dan, per misurare i l valore e le conseguenze di quel sacrificio, che ebbe un peso incalcolabile nei rapporti tra Italia e A u s t r i a fin dal primo mo– mento dell'alleanza e fu un richiamo e un monito continuo, finché i soldati italiani non ebbero posto piede nella città irredenta. Opportuna– mente i l libro porta i n fronte queste parole pronunziate da Benito M u s – solini i l 2 0 dicembre 1 9 1 8 : « A questa Trieste bisognava arrivare non solo perché lo aspettavano soffrendo i duecentomila v i v i , ma perché lo aspettava quel morto ». A N T O N I O P A N E L L A . B E N I T O M U S S O L I N I , Vita di Arnaldo. — T i p . del « P o p o l o d ' I t a l i a » , M i l a n o , 1 9 3 2 . L . 7 . I libri di memorie scritti dai potenti, da G i u l i o Cesare, mettiamo, fino a Clémenceau, sono tutte meditate apologie. Sempre l'uomo politico v i sopraffà l'uomo privato. Dice bene G u n d o l f nel suo Cesare: un Cesare o un Napoleone, quale vuol apparire, tale vede se stesso. A d aprire invece questo libro di Benito M u s s o l i n i sul fratello ama– tissimo, dalle prime pagine si vede questo capo quasi spogliarsi dei suoi attributi ed insegne per diventare soltanto un uomo che soffre e che op– presso dalla tristezza («stasera 2 5 dicembre, uno dei p i ù tristi N a t a l i , forse il p i ù triste, della mia vita » ) trova conforto solo liberando lo spi– rito nella sincerità; che, esaltatore e propugnatore instancabile della vita e dell'azione, a vedersi morto i l suo compagno migliore ( « i l fratello è s i c u r o » ) , non si perita a parlare di pianto e di morte ( « p i a n s i nel leg– gere i l libro d'Arnaldo dedicato a Sandrino... I I mio trapasso potrebbe essere non meno improvviso di quello di A r n a l d o » ) ; che per raggiungere sùbito, i n pace con se stesso, la piena schiettezza si rifà ragazzo, anzi fan– ciullo, e rievoca l'infanzia e l'adolescenza accanto al suo A r n a l d o con una freschezza e fermezza di particolari che par di vederlo nell'ora buia affer– rarsi ai ricordi di quella ancora semplice vita, senza intrusione di terzi, come alla sola realtà che egli senta solida e sicura. P o i i l libro prende altra a m p i e z z a : le lotte, la guerra, i l potere, i l dovere, il lavoro e la fatica comuni. M a da quelle prime pagine che sembrano sussurrate a mezza voce nella penombra della veglia funebre, tutto i l libro assume i l calore d'un dialogo di M u s s o l i n i col morto, con l'amico ch'era del suo sangue e del quale nessuno prenderà mai p i ù il posto. Solo. L a solitudine di Mussolini che già avevamo intravveduta nel suo Diario di guerra e nei Colloqui con L u d w i g , qui appare, e sempre meglio apparirà, i l tratto p i ù tipico del suo carattere. N o n è la solitudine del misantropo che viene da disdegno e da stanchezza di tedio; e s'ha da dire, perché taluni stranieri, a leggere i l libro di L u d w i g , così hanno inter– pretato quelle generose confidenze. È invece la solitudine inguaribile d'un uomo di comando, cominciata forse come una difesa nel continuo eserci– z i o d'una v o l o n t à tesa e vigile, poi divenuta necessaria per ritrovare nel

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