Pègaso - anno V - n. 3 - marzo 1933

3 6 6 E. Vittorini se lo lasciò socchiudere, e noi che, da veri r a g a z z i , giocavamo coi nostri i n cento finzioni ed esagerazioni, poco m a n c ò , meravigliandocene, che non prendessimo L a n z a per un sentimentale borghese. Invece era un uomo. A v e v a bisogno d i R o m a , diceva, per essere felice, ma per esserlo, completamente, felice, avrebbe avuto bisogno anche del suo paese e della sua casa d i n a n z i ai campi. C o n quel sorriso che mai spariva dalla sua faccia, pareva occupato da qualcosa di astratto, come una specie d i p a p à , i n mezzo a noi che avevamo uno slancio, un'osservazione per ogni parti– colare di quella città, specie per ogni donna che si incontrava. M i venne i l sospetto che non fosse un poeta, a n o n interessarsi di nulla come pareva. Invece, p i ù vero poeta di noi, si interessava, alle cose secondo la sua fantasia, e con animo già sereno che sceglieva e coglieva le sfumature. L o d i m o s t r ò con una frase che non h o p i ù dimenticato, esprimendo i l desiderio d'un po' d i vento marino i n quell'afa che ci sof– focava. « E c c o , basterebbe che quelle foglie si m u o v e s s e r o ! » , disse, ac– cennando a certi alberelli fulminati ch'erano vicino al mare, lungo i l quale camminavamo. Purtroppo, morendo trentacinquenne, i l 6 dello scorso gennaio, Francesco L a n z a non ha lasciato quanto si poteva desiderare da l u i , né quanto sarebbe stato necessario per non sbagliare nel giudicarlo sempli– cemente dagli scritti. Per letteratura, per puro gusto libresco, molto egli ha scritto che non sentiva, e molto, che certamente sentiva i n altro modo, h a lasciato correre, sotto la penna, i n modi convenzionali. D a i versi, raccolti sotto i l titolo Poesie di gioventù e pubblicati nel 2 6 da B e r l u t t i d i R o m a , sembrerebbe uno di quegli epigoni crepuscolari che si son v i s t i e ancora oggi si vedono i n giro travestiti di panni popolareschi. « V a n n o per l'aria molle - s i m i l i a vele stanche - a l i nere, a l i bianche - oltrepassano i l colle. - Resta qualcosa i n cielo - come una tiepida orma... ». « L a mamma se n'è andata v i a - non s'è portato n u l l a d i n u l l a , - nemmeno un pezzetto di pane, - nemmeno u n goccino d'acqua : - s'è messa l a ve– stina pulita, - la mamma dagli occhi a z z u r r i è p a r t i t a ! . . . - O h che par– tenza frettolosa - senza portarsi v i a qualcosa - senza lasciare nemmeno u n saluto - per chi piange e r i m a n e ! . . . » . D a certe prose, invece, che d i l u i si lessero sul Lunario Siciliano, I l Resto del Carlino, I l Tevere, ecc., tra i l 2 8 e i l 3 1 , ( n o n ancora raccolte i n volume) non si esiterebbe a metterlo nel m a z z o coi tanti minori che, ricalcando le orme d i Cecchi, B a l d i n i , B a r i l l i . . . hanno fruttato alla patria pagine degnissime d'anto– logia per l'eleganza del dire, ma, i n quanto a visioni di cose, inespressive. « S u l verde smeraldo delle acque ondeggiavano a miriadi i cigni - come non vide mai i l canoro C a i s t r o , - le folaghe e i burleschi trampolieri; e i paperi impettiti v i remigavano a frotta azzuffandosi s t r i d u l i con le gallinelle e i colliverdi. I n t o r n o era fitto i l bosco, dapprima di tamerici, d'acuti giunchi e lentischi e d i canne stormenti, q u i n d i d ' u m i d i o l m i ,

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