Pègaso - anno IV - n. 10 - ottobre 1932

472 G. M. Gatti persuas1v1, dove tra i francesi Albert Roussel era rappresentato da un modesto divertimento per fiati, più volte eseguito da, noi e anteriore di parecchi anni al Festin de l' araignée (insomma come chi dicesse l'opera giovanile d'uno dei musicisti più rappresentativi del nostro tempo); e degli am_ericani del nord mancava il gruppo più viva,ce e promettente (Copland, Ives, Sessions, Gruenberg, Harris, Riegger, Cowell, Ruggles, per citare alla rinfusa) ; e fra tedeschi, all'infuori di Hindemith con una spielrn;usik abbastanza recente ma punto importante, almeno tre dei cinque autori prescelti avrebbero potuto essere facilmente ed opportunamente sostituiti, forse a scàpito del successo personale del « generalmusikdirektor » Fritz Busch, ma certo con maggior be– neficio per la coltura musicale. Più soddisfacente la «sezione>> italiana delle musiche da concerto, se pure con qualche assenza ingiustificata, e con qualche presenza, a parer nostro, non meglio giustificabile. Tra le pagine che ci parvero più coerenti e più convenienti allo spirito di una tal manifestazione, vogliamo ricordare, nell'ordine in cui vennero eseguite: un delicato i,n,termezzo per violoncello e pianoforte di Vincenzo 'fommasini, uno spigliato e fresco quartetto di Mario Labroca, il quintetto in fa mag– giore di Mario Castelnuovo-Tedesco, saldo e ben proporzionato, una o due delle Liriche napoletane del Pilati. Pagine di gusto diverso, ma che tutte insieme costituiscono una messe non trascurabile, come alcuno potrebbe pensare, se si tien conto del rendimento normale cli siffatti internazionali simposi, e soprattutto se la si considera nel quadro complessivo della produzione di tutto il mondo. Credo che questa impressione sia stata condivisa dalla maggior parte del pubblico fedele e numeroso che abbiamo ritrovato plaudente ad ogni manifestazione del «festival» veneziano (ma non si potrebbe trovare una parola più adatta per questi convegni, cli cui la festosità non è sempre la nota predomi– nante?); pubblico curioso ed artificiale, intelligente e svagato, facile e temibile, allo stesso tempo; pronto a saltare il pasto per assistere ad una prova e a rumoreggiare due ore dopo per un ritardo di dieci mi– nuti nell'inizio del concerto; pubblico che sa molte cose, forse troppe cose, ma poi s'arresta alla superficie dell'opera d'arte, pur avendo l'aria di collaborare alla nascita ed allo sviluppo della musica contemporanea. I nove spetta,coli teatrali che. sotto il titolo comune di « opera da camera» furono presentati al «Goldoni», per caratteristiche esteriori e per l'essenza appartengono ai generi più diversi che si possano im– maginare. In verità l'attributo « da càmera », - che nel passato servi ad indicare un tipo ben definito di opera d'arte musicale, - è divenuto oggi piuttosto vago e il più delle volte non si riferisce che alla quantità dei mezzi impiegati e al volume di sonorità che per essi si può produrre. Non è chi non veda subito come invece una tale qualifica abbia rapporto e coinvolga certi caratteri di intimità, di raccoglimento, di modestia vorremmo dire, che nessuna riduzione di mezzi da sola può apportare. Un'opera pensata per un grande teatro e per un vasto pubblico sarà sempre riconoscibile come tale anche attraverso a una sommaria ri– duzione per pianoforte, come una pagina quartettistica non si farà BibliotecaGino Bianco

RkJQdWJsaXNoZXIy