Pègaso - anno IV - n. 10 - ottobre 1932

MUSICHE NUOVE A VENEZIA. Chi volesse, oggi, dare un ideale ordine alle cose della musica e provvedere a un'antologia a una scelta a una classtficazione purchessia della produzione musicale contemporanea, dovrebbe possedere oltre a una vasta e approfondita conoscenza del « mercato » musicale un co- . ' raggio non comune per affrontare le inevitabili accuse di partigianeria e per difendere le ragioni della propria scelta. Contentar tutti è im– presa, oltre che impossibile, senza scopo. Parlar di eclettismo, in questi casi, è come parlar d'agnosticismo: chi fa una ·scelta, formula dei giudizi e però non si differenzia dal critico. L'obiettività va intesa in un senso restrittivo: nel senso, vogliamo dire, che i motivi della scelta siano tutti di ordine teoretico. Ma come non si può parlare di critica impersonale « al di sopra della mischia», così preferiremmo non leggere le espressioni che di solito aprono i cataloghi delle mostre d'arte, con le quali si dichiara di aver guardato alle cose del mondò da un fine– strino ape rto nella v olta celeste, come potrebbe fare il buon .Dio se un giorno gli venisse.la voglia di farsi del cattivo sangue. Per la mostra m usicale, che si è avuta a Venezia nella prima quin– dicina di settembre, mi pare che Adriano Lualdi non si sia troppo disco– stato -dalle consuetudini ed abbia cercato ·di dar soddisfazione al maggior numero di tendenze (o, diciamo pure, di compositori, che all'incirca è la stessa cosa), non dimenticando alcun settore della musica contem– poranea, neppur quello della musica, noiosa. In verità da un uomo com– battivo come Lualdi, e per di più compositore, ci saremmo attesi altri modi e altri indirizzi : il pubblico, se non c'inganniamo, oggi chiede lumi a chi è in grado di darglieli, chiede suggerimenti e indicazioni: « s'ha da andare innanzi o indietro, a destra o a sinistra, con Strawinsky o con Wolf-Ferrari? >>.E se non li ottiene, se ne va via scontento e finisce per disertare le sale di concerto. Non è tanto l'avanguardismo che lo spaventa, quanto la confusione, il babelico miscuglio delle lingue: senza contare che questi panorami che tutto pretendono di abbracciare, per necessità di cose finiscon per mancare al loro scopo, anche sotto l'aspetto prettamente informativo. A che si riducevano per esempio, nel nostro caso, i « padiglioni>> franco-belga, germanico e nordameri– cano, dove accanto ad un Poulenc trovavi un Jongen, dove un Graener ed un Adolf Busch eran gomito a gomito con un Hindemith, e con il brillante Gershwin si concludeva una serata dedicata quasi per intero a musicisti di origine e tendenza sospette? Padiglioni stranieri poco BibliotecaGino Bianco

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