Pègaso - anno IV - n. 10 - ottobre 1932

462 U. Ojetti - Lettera a Giuseppe Bottai Ella si chiede: « Quale è la. colpa delle generazioni nuove?» In Italia è quella di non dare, di non voler dare o di non saper dare al– l'intelligenza e all'arte italiana impronta italiana; o di darla solo con parole generiche e con vaghe aspirazioni, tanto vaghe che s'arriva a illu– dersi che il carattere italiano dell'arte nuova verrà da sé, per pietà del destino, senza che noi si fac<Jia, il minimo sforzo per definirlo subito ed affermarlo, per liberarci dalle mode e dalle fogge esotiche, per guarirci da questo contagio d'astrazione cerebrale, sottile e lineare,✓ di cosmopo– litismo elegante ed infido, d'ignoranza facile e comoda, la quale rifugge dallo studio del passato, del nostro incomparabile passato, col pretesto che è un impedimento alla modernità (lo fu per Dante e pel Petrarca, per Bramante e per Michelangiolo, pel Machiavelli e pel Vico ?) e perfino dallo studio della realtà, della nostra realtà, col pretesto che per la nuova filosofia una realtà non esiste. << Dobbiamo farla finita con la· smania di tenersi al corrente, di seguire tutte le mode, quando per leg– gere Gide e i suoi pari della letteratura bolscevizzante francese, ger– manica, austriaca, americana; per non mostrarsi all'oscuro di tutto il cerebralismo corrosivo, un'intera gioventù non ha più animo, tempo, capacità di leggere la Bibbia, l'Odissea, Esiodo, Virgilio,· la Divina Commedia, e via via quelle che sono opere rivelate, dall'eterna saggezza, dell'immutata universalità. » Così l'altro giorno scriveva Roberto Forges Davanzati in un articolo intitolato proprio l'Elogio dell'ignoranza, e pareva rispondere alla domanda ch'ella aveva posta a me. E poi che cos'è una generazione? In« questo tempo», già un'altra ge– nerazione è in linea più avanti della sua, e noi non siamo morti e già co– gliamo sulle la,bbra dei giovanissimi idee che s'avvicinano alle nostre. A questo, per consolarci in una provata certezza, ripensavamo quando, ,scrivendo al Barbi, evocavamo la ruota di Tacito e del Mruchiavelli e del Vico : <e E forse ogni cosa fa sua ruota e tornano come le stagioni i co– stumi. » E chiedevamo, e chiediamo, che intelligenza, arte, cultura ita– liane siano pronte e ben armate quando la moda si rivolgerà a loro come già tante volte s'è volta. Ma il proprio di molti giovani d'oggi è credere non solo che il mondo -cominci con loro ma anche chè con loro cessi questo giro, più o meno rapido, delle idee e dei costumi; un'illusione che viene appunto dall'ostentata indifferenza (s'ha da dire col Forges igno– ranza?) verso il passato cioè, proprio in Italia, verso l'esperienza della propria storia. <e Queste illusioni (ella afferma,) hanno dato alla nuova ge– nerazione la forza di vivere e di ·operare. Le hanno dato l'ottimismo che feconda, che costruisce, che crea. » Si, ne~la politica, dove però, dai nomi agl'istituti, il Fascismo ,s'è sempre nobilmente richiamato alla vera e viva storia italiana prima che le mode e le fogge delle democrazie e dei parlamenti oltramontani invadessero il paese risorgente a unità. E così deve essere anche nella cultura, nelle lettere, nelle arti, perché così an– cora non è; ma, se lo vorremo, se nelle ,scuole, nei concorsi, nelle acca– demie, nei conservatorii, ad ogni occasione ci proporremo, sì, d'essere nuovi ma prima di tutto italiani, cosi sarà. È possibile che proprio in questa necessità, utilità, felicità d'essere italiani, lei ed io si dissenta ? Cordialmente suo · UGO OJETTI. BibliotecaGino Bianco

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