Pègaso - anno IV - n. 10 - ottobre 1932

Lettera a Giuseppe Botta,i, sui 'Vantaggi del dir di no 461 perché gli altri, quando usciranno da questa inquietudine, da questo culto dell'azione per l'azione, da questa rinuncia alla cultura e alla con– tinuità della civiltà europea che è per quattro quinti civiltà romana e italiana, qui un'altra volta, ritrovino una civiltà salda ed umana, la rin– novata civiltà che da barbari li fece uomini. Su questo punto possiamo, caro Bottai, non andare d'accordo? Non si tratta, come ella se.rive, « d'una cultura da rimasticare)>, della sola cultura, come ella crede, dell'Ottocento che pure è stata da noi, per dir solo delle lettere, dal Foscolo al Carducci, dal Leopardi al De San– ctis, una mirabile cultura e rispettata dovunque, ma della cultura adatta ai pensieri e ai sentimenti e ai bisogni d'oggi come quella era adatta ai bisogni, anzi alle stesse passioni politiche d'allora, ché una cultura senza passione è un deserto senz'acqua. Ella scrive: « Le generazioni nuove do– vranno a noi, alla nostra stessa rinuncia a una comoda cultura da ri– masticare, di non trovare un'Italia fuori tempo. » Mi permetta di dirle, anche pensando alla ,sola cultura di quei quattro dell'Ottocento, che sarebbe stato più esatto dire « la nostra comoda, rinuncia alla cultura», invece della « nostra rinuncia a una comoda cultura. » È infatti la co– modità di questa rinuncia che mi spaura, una comodità che proprio non mi sembra fascista, anche se oggi seduce i giovani di mezza Europa. E vorrei ch'ella per misurare la gravità dei iniei timori ,si leggesse l'ul– timo libro di Ernest Curtius, sullo « Spirito tedesco in pericolo. » Il pro– blema che io mi pongo, se lo pongono, per la loro storia e cultura, scrit– tori di Francia, d'Inghilterra, di Germania. Diceva Mussolini nel 1924 agli artisti italiani, che dovevano « resti– tuire al popolo italiano il suo stile. » Noh diceva « uno stile europeo », e tanto meno slavo o germanico. E nel 1926 aggiungeva: « Sopra un ter– reno così. preparato deve rinascere una grande arte che può essere tradi– zionalista, e al tempo stesso moderna. » E nel 1927: « Il Regime Fascista trae dal passato e dal presente le energie per balzare incontro al futuro. » E inaugurando in Campidoglio l'Accademia d'Italia: «Nell'Accademia passa la vita dello spirito la quale è continua, complessa e unitaria. Nell'Accademia è l'Italia con tutte le tradizioni del iruo passato, le cer– tezze del suo presente, le anticipazioni del suo avvenire. » La vita dello spirito è continua. Rilette queste parole, ella vedrà a chi pensavo dolen– domi nella mia lettera al Barbi che fino in Italia tra i felici smemorati trovasse forza e proseliti la straniera teoria che la, storia dell'uomo e la vita dello spirito sono invece discontinue e che ogni tempo ricomincia dal nulla la propria storia e dal nulla ricrea il proprio spirito : teoria buona per popoli senza storia o con una storia da rinnegare perché li ha condotti alla sconfitta o alla fame o alla disperazione . .Solo perché la misera teoria è nu,ova, di « questo tempo», del nostro tempo, alla moda, l'abbiamo da accogliere anche noi Italiani? Io dico di no. FJ che cos'è il 'nostro tempo ? È il tempo che noi ci creiamo con la no&tra volontà, col nostro ingegno, con le nostre opere . .Sì, ogni tempo ha un suo clima e quasi un suo colore, come hanno le stagioni dell'anno P le ore del giorno. Ma uomini, nazioni, civiltà possono accettare questo clima ovvero contrastargli col proposito di creare un clima nuovo, d'es– sere loro a dar forma e colore al tempo di domani. BibliotecaGino Bianco

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