Pègaso - anno IV - n. 10 - ottobre 1932

La poesia di Ugo Betti 477 mente che nel dramma, la sua affinità con le fantasie terribili di certe liriche: « E lei sta li, senza angoscia, stupefatta, con gli occhi incate– naiti nello specchio, a guardare quell'altra, nuda, con quella smorfia come di riso, che a, poco a poco ricomincia a ondeggia,re, a divincolarsi, 2i contorcersi come sotto una frusta. La candela, da terra, la fa metà gialla, metà nera, col ventre che ogni tanto ·s'illumina)). Notate quel modo demoniaco di ombreggiare e di colorire. La novella è troppo convulsa, colpa dello stile spezzato che è il di– fetto generale di Caino. Betti ha uno stile suo soltanto nelle liriche: nella prosa va avanti con maniere d'accatto, spesso con una brevità che mi sembra imitata da Verga 1 ). Anche nei motivi è incerto: ondeggia fra direzioni diverse. Per questo rispetto a lcune novelle sono singolari: hanno intenzioni da storie re ali e un fa.re •fiabesco. E, poichè il fare è quello che conta, questo vuol dj.re ch e Bett i si sforza di uscire dal suo mondo, e la natura ve lo rica ccia. E sempi: I ba,rnbini poveri e, più evi– dente, Stella, infusione di fiabesco nella storia d'una prostituta. Questo stato dell'immaginazione fiabesca o esterrefatta, è prepotente nelle no– velle. Certe volte si sorprende nella pagina un modo di sentire favoloso, che punteggia appena i .sentimenti e le cose, e li fa vedere correndo, coml:l in una lanterna magica : e allora quella forma artificiosamente breve diventa naturale. In forza di questo modo d'immaginare, Spo- 8alizio di Regina subisce una trasformazione strana: ci pare che i fatti non siano reali, che avvengano nel mondo delle fiabe, anche se, ridotti in sunto, sono proprio del nostro mondo. Questo non succede in Stella e nel resto del volume, che è dominato da quel disagio del visiona.rio che vuol fare il novelliere. Tratti di colore, da visione agghiacciante o da fiaba, ,solcano tutto il libro come sintomi d'una vocazione compressa e deviata. La vocazione ,è quella testimoniata. dalle due raccolte di versi. ,Su che terreno è maturata questa poesia ? Ho detto altra volta che Betti è « lontano da tutti» : ora sì, ma ,è partito dalla malinconia esan– gue di alcuni poeti molto noti quando llgli non aveva ancora vent'anni: « I balconi si schiudono, Perché la notte è mite, E qualcuno si oblia Ad ascoltare quello che voi dite Alle piccole stelle, O raganelle Ma– late di malinconia! » 2 ) ; « Ma i soldati sono quasi fanciulli, E si mettono a cantare La ninna nanna, per cullare Una tristezza che non si vuole addormentare» 3 ). È vero che questo tono comune di sentimento si in– fondeva, già in visioni remote o sgomente : ma anche quelle visioni ritenevano ancora del pallore e dell'esilità della lirica di cui egli si do– veva esser pasciuto nella prima giovinezza : « Quale incanto mi curva Sugli orli tenebrosi, A respirare il brivido della paura? Così nei palazzi muscosi, Pallidi giovinetti siedono all'orlo dei pozzi E gettano piccoli sassi nel profondo E ascoltano salire dal profondo Piccoli singhiozzi» 4 ). 1) Vedi sopra tutto la novella Niente. 2) La primavera. 3) Canzonetta. E vedi Domenica d'aprile. 4) La casa morta. BibliotecaGino Bianco

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