Pègaso - anno IV - n. 9 - settembre 1932

334 M. Bernardi - Nel cinquantenario à' Antonio Fontanesi rando che l'ispirazione si dilegua sovente con l'effetto, non teneva conto della sua potenza evocativa, - anche a d'istanza d'anni, - di quell'emozione attraverso la quale, di colpo, il soggetto naturale gli era apparso trasfigurato nel quadro già compiuto. E non teneva poi conto ò'el vantaggio di questo chiarirsi e solidificarsi, diremmo, del- . l'emozione durante la elaborazione, spesso faticosa e dolorosa, del quadro, dli questo suo filtrarsi e adagiarsi nello stile. La sua stessa sensibilità cromatica, talora eccessiva, aveva bisogno di placarsi con la meditazione e lo sforzo; ed il rapporto fra realtà e fantasia di trovare una sua misura, una sua metrica anche nella libertà dell'immaginazione poetica. I grandi poemi _dell'Aprile, della Bufera imminente, delle Nitbi, i tre capolavori fontanesiani, nascevano da questo graduale pas– saggio, fatto di colore ma assai più di spirito, dalla concitazione romantica alla limpida maestà classica. L'Aprile, in cui la mi– steriosa doglia della natura destata dalle linfe primaverili, la .sofferenza di ciò che ricomincia a vivere dopo l'oblio, è espressa nel contrasto fra l'orizzonte tenero, il pesco in fiore, l'albero tragico, e la famosa nuvola nera d'un ardire e d'una drammaticità che bi– sogna risalire al genio chiaroscurale di Rembrandt per trovarne i confronti; la Bufera im-minente, dove il peso dell'incubo, ff senso della fatalità cosmica, l'indifferenza, davvero leopardiana, della na– tura pei viventi, gravano sull'attesa e sull'ansia di questo breve ep– pure immenso mondo d'alberi e d'animali che. ,soggiace a ùna sua ignota legge ; Le nubi, che nella sconfinata vastità atmosferica .spec– chiano quell'aspirazione all'infinito ch'era la vera poesia di Antonio Fontanesi. Dipingere, prima di morire, « un gran cielo e una pianura im– mensa>>; cercare l'infinità nella limitatezza della realtà apparente, anzi conciliare l'una con l'altra nella creazione poetica, era stato il suo tormento, la sua gioia, lo stile della sua arte per oltre tren– t'anni; anche quando a un amico scriveva: « Lavoro faccio can- ., ' cello, come sempre, e come farò per tutta la vita. Avrò almeno tentato quanto per me si poteva per far bene». Perché tale era il pudore di lui d[ fronte alla bellezza. MARZIANO BERNARDI. BibliotecaGino Bianco

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