Pègaso - anno IV - n. 9 - settembre 1932

324 M. Bernardi mina la sua visione e interpretazione della natura, penetra ogni ma– nifestarsi del suo stile pittorico. Fontanesi non è comprensibile se non si tien conto di questa sempre presente, persin nell'idillio, e tor– reggiante ,sua sublime tristezza, come disse il Oecchi, che « isola l'opera in una maestà cupa e dirupata)), ed è propria dell'anima solitaria quand'essa in sé, nella sua solitudine, non trova quei pieni appagamenti d'una pura astrazione concettuale alla Leon:1rdo, ~ sente quindi anc6ra il bisogno di dilatarsi sul mondo esteriore, d1 capirlo, d'impadronirsene, di studiarne gli aspetti e, più, i signifi– cati, di spiegare se stessa confessandosi ogni giorno appunto in quel mondo che di continuo per lei si trasfigura. Qual mondo? Lo definì egli stesso in una lettera all'allievo Carlo f\tratta: << Ella studia il vero all'aria aperta durante il giorno e riserba per la sera gli studi anzidetti.. .. :bi giorno dunque il pae– saggio, cioè la luce, lo spazio, l'atmosfera e tutto ciò che si contiene nell'immensità, cioè l'infinito; la figura, cioè l'anima umana e tutte le sue passioni, cioè. rendere visibile l'invisibile>> 1 ). L'infinito, l'invisibile : campo universale, da indagare e in cui confessarsi an– che a costo di soffrirne. Scriveva infatti all'amico Brachard anc6ra nei primi tempi di Ginevra: << Sempre più difficile da contentare, lavoro lentissimamente e penosamente perché le difficoltà sono · molte e insuperabili. Ohi stttdia, lavorando, d'opo aver dato dieci o dod'ici giorni a un dipinto vede alfi.ne che non ha fatto nulla di buono. Perciò dal vero io sono infelicissimo, il mio genere di vita è un patimento morale continuo dei più forti. Nello studio ho qual– che momento di soddisfazione, ma in faccia alla natura quei mo– menti non tornano mai. Dopo aver lavorato un inverno intero al chiuso ,si gode all'idea di andare dal vero, si considera ciò come un ,sollievo. Un tal soll_ievo si può definire così, almeno per me : esser ridotti a darsi attorno tutta l'estate, come le formiche, per non morir d'inedia nella cattiva stagione, cioè avere un'ansietà per– petua di accumulare molto materiale, un desiderio, sempre disin– gannato, di riuscire a qualche cosa di veramente discreto, e frat– tanto la disperazione di veder passare il tempo in quelle alternative che ammazzano un uomo cento volte in un giorno. Non ostante la speranza è sempre là, talora pallida come lampada semispent~ e diciamo: quest'anno fui disgraziato, ma l'anno venturo! ... ~h ! l'anno venturo!>>. Insaziabilità, vano e logorante inseguimento d'un miraggio che è poi semplicemente lo specchio di moltiplicate aspi- 1 ) Lettera del 1876 indirizzata all'allora ventiquafrrenne Carlo Stratta, che aveva frequentato la scuola di paesaggio del Fontanesi all'Accademia Albertina ùi 'l'orino, e s'era recato in Francia, a Villiers-le-Bel, per approfittare degli inse– gnamenti del Oouture. Il figurista Carlo Stratta è dei pochi allievi tuttora viventi <1elFontanesi. BibliotecaGino Bianco

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