Pègaso - anno IV - n. 4 - aprile 1932

Lettera ad Alessandro Pavolini, sull'italiano involonta.rio 473 cianti a Livorno alla ~ill~ Favard del Poggi a Firenze, oi-ma1 ,SJ. riesce, nonost~nte la breve distanza nel tempo, a vedere che i modelli classici .variamente interpretati e attuati hanno sempre salvato l'architettura italiana e le hanno sempre dato un inconfondibile volto; e se la sempli– cità, come ha detto di rtleente Roberto Papini, è il vero e singolare ·ca- . rattere dell'architettura moderna, non saprei a quale arrhttettura essa meglio s'a-ddica.che a tjuel_la.Idem; noi sappiamo ormai per mille esempi, cento volumi e venti esposizioni, fino a quella dell'anno scorso a Ber– lino, che cosa è l'architettura ra zionale, dove è nata, come s'è svolta, dentro quaili limiti essa può essere accomoda.ta all'Italia.. Che altro vuolè aspettare per arrivare a un .sereno giudizio e a una scelta? · . Perché lasciare che si provi e si riprovi sino a· quando, ,senza che gli architetti se lo propongano, nascera un razionalismo italiano ? Essere italiano è proprio un easo del clima o non è anche un portato della storia, della cultura e della volontà ? Abbiamo fatto un esperimento si– mile in pittura con l'Impres~ionismo e eol Neoimpressionismo fra.ucese. Aspetta, aspetta; certo qui sarebbero diventati italiani. E invece tutta la pittura, fin quella di figura, perdette corpo e anima, si vuotò e si di~erse in brevi faville; e lo stesso Divisionismo ehe veniva dal Neoimpressio– nismo di Signac e di Seurat e che era un fatto anch'esso tutto razionale e seientifico, con precetti cioè buoni per ,chiunque ùa Stocolma a Siviglia, condusse negli ultimi• anni il suo più studioso teorico, Gaetano Pre– viati, a tele sconnesse ed evanescenti, già, dimenticate. Ed era il Previati un poeta e un evocatore d'impeto stupendo ; e so io quanta pena mi dava dii-gli e predirgli in tempo la verità, e quanto·protc~arono allora i suoi difensori annuneiamio che quella tecnica avrebbe mutato per sem– pre e dovunque il mondo della pittura. Anche io, sulle prime, a giorni · c;redevo e a giorni non credevo a quel pericolo, ché ero giovane •comeella è adesso e la novità m'attirava perché mi sembrava un sinonimo della, - gioventù; ma giunsi alla condanna considerando, dal Tintoretto al Guardi, fino a quale punto le pretese novibì, dell'Impressionismo, tutte di superficie e di sensa,zione, fossero state già provate in Ita.Jia; voglio dire– fino. a quale punto esse potessero accordarsi all'indole dell'a,rte nostra, che è prima di tutto certezza di forma, armonia di eomposizione chiusa, definizione d'un carattere fino a trarre dall'accidentale il tipo e il mo– dello, per le quali ragioni, di tutte le pitture, quella italiana è stata la meglio capace a dare un volto alla Divinità. « Il faut que je pense llu:J} ·figures avant tout», s'era notato sul taccuino Degas appena aveva ve– duto i Signorelli d'Orvieto, Degas il più fiorentino dei francesi dell'Ot– toeento. E dagli studi e dai disegni fatti in Ita.li?, .sui nostri antichi trasse la sua ·salute, egli ehe snlle prime parve accompagnarsi agl'Im– pressionisti. Anche allora in Italia i giovani -disprezzavano i loro antichi e, se i . migliori li guardavano, era di nascosto e di sfuggita. Che bisogno infatti v'era d'appoggiarsi a loro per definire sé stessi in quel gran paragone, come facciamo lei ed io che seriviamo, e per trovare un punto di pa.r-– tenza qui, e non a Berlino o a Parigi, verso il lungo cammino sulla strada che ogni artista s'ha da aprire da sé? S'aveva un prontuarii:t scie.ntifico per dipingere bene e nu«;>vo,per dipingere, mettiamo, il Sole: · BibliotecaGino Bianco

RkJQdWJsaXNoZXIy