Pègaso - anno IV - n. 1 - gennaio 1932

DINO GARRONE. Quando mi stabilii ad Ancona, diventai lettore del Corriere ad!riatico. Un giorno l'occhio mi cadde, in terza pagina, su questo titolo d'aper– tura: Terra d;i Marche. Per uno che le Marche non conosceva e ci doveva vivere, il titolo era tentatore. L'articolo? Aveva qualche cosa che mi persuase a ritagliarlo e a conservarlo. Mi pareva di sorprendervi non so che slancio, ostacolato da mezzi espress,ivi anc6ra insufficienti, - ine– sperienze tecniche, scarsa conoscenza fin della grammatica e della sin– tassi, - ma vittorioso alla fine, come per un dono naturale improvviso. Un canto d'ubriachi nella notte: « Non vanno d'accordo le quattro voci. Slittano forse su qualche grumo di vino .... E ce n'è una che cadendo in avanti si arriccia in acuto come una scaglia di legno soffiata via dalla pialla .... ». La vittoria era nell'imagine conclusiva, immediata, marça– tamente personale nella sua leggerezza capace di portar lontano. Così feci la prima conoscenza di Dino Garrone. Due anni dopo lo conobbi di persona. Capitò nel mio studio con un amico comune, Ubaldo Fagioli, primo ad accorgersi di lui e che gli aveva aperte le porte del Corriere adriatico. Poiché mi trovò intento a una scelta di Dossi, prese a parlarmi di questo scrittore « libero » con una competenza che mi sbalordi. Da Dossi a Lucini, da Lucini a Linati. Saltò fuori anche il nome di Boine. Poi si parlò di Verga, sul quale mi disse d'aver pubblicato un saggio e di voler scrivere un libro. L'interesse folcloristico di tanta parte dell'articolo Terra di Marche s'accordava bene con quanto mi diceva di Verga e m'aveva detto di Linati. Sentivo in lui, a ogni modo, più curiosità per le caratteristiche paesane che adesione dall'intimo, Insomma il mondo di Verga, o di Linati, visto con gli occhi di Dossi, di Lucini, di Boine. Di suo, di particolarmente suo, aveva anc6ra e sempre quella specie di slancio : fin nel modo Ji toccar gli argomenti e passar subito oltre, ad altri argomenti e ad altri anc6ra. Del resto, sentite, in Terra di Marche, come la fonetica stessa gli diventasse pretesto al vagabondaggio: « Più si discende e più una pacata musicalità si dispiega. Nell'anconitano s'incupisce, si affolta nelle ii. Ancona par una città di bassi profondi. Più giù anc6ra le parole si vezzeggiano, si fanno ninnoli.... Sinché nell'Abruzzo la strumenta– zione è perfetta». E Leopardi? Anche lui interpretato in modo da crear non so che slontanamenti : « .... una ruota di carro che cigola nella notte, un colpo di schioppo che dà uno strattone al silenzio, un canto di bifolco, un passero, un monte lontano .... ». Tutto qui Leo– pardi ? Per Garrone, soprattutto qui. « Divino Leopardi! ». Da quel giorno, lo seguii nell'Italia letteraria, nel Tevere, nel Popolo di Bres<Yia, nell'Assalto, nel Bevvedere, nel Bargello, nel Corriere Bìbl1otecaGino Bianco

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