Pègaso - anno III - n. 2 - febbraio 1931

A. NEGRI, Vespertina 241· taria, tli, giovane ribelle, la madre trepida e felice, trovarono subito una ricchezzà di tèmi, una pienezza di canto, una spontanea baldanza che meravigliarono. Certo, c'erano allora poeti ben maggiori di lei; ma forse nessuno più felice; ciò ch'ella voleva essere, lo era quasi pe_r grazia di natura. Non veniva neppur fatto di chiedersi quale fosse, in senso cri– tico, la sua letteratura. Quel sentimento vero e continuamente inventivo su se stesso, quel getto vario e felice di ritmi, di rime e di strofe, basta– vano a sé, creavano da sé la propria lettera.tura. Ci sono scrittori ai quali non si chiede il pedigree. Che studi aveva fatto il De Amicis ? Qup1i erano i classici della Negri ? Domande che neppure un professore si sa-– reb be posto. Poi le cose cambiarono : la fortuna borghese, la gloria letteraria, le esigenze indistinte e l'insoddisfazione segreta della nuova vita ruppero l'equilibrio felice dei primi anni. Da allora Ada Negri si senti e si disse sempre in crisi; l'immagine di lei, di baldanzosa e serena divenne irrequieta, scontenta. Com'è giusto, anche la sua poesia volle allora trar radice da questo contrasto, farsi forte di questo tormento. E qui le forze le mancarono; si rivelò in lei una specie di incompiutezza letteraria, la mancanza di uno stile proprio, capace di esprimere pienamente e quindi di dominare il suo nuovo animo. I mezzi letterari che eran bastati a.Ua maestrina ribelle, non bastavano ora a dire il più intimo travaglio, il radicato dolore della donna. La crisi umana, si complicò cosi, si rad– doppiò con una crisi letteraria. Cominciò allora quel particolare dan– nunzianesimo della Negri; esteticamente cosa assai curiosa; dove i sim– bolismi, le eleganze, gli atteggiamenti plastici, le cadenze teatrali del tempo, trovano di volta in volta un impasto occasionale; eppure spesso con un'intima mossa di verità, un piglio, non si sa come sincero, per cui la Negri restava la Negri. Oltre che a D'Annunzio, leggendo veniva fatto di pensa,re ora a Bistolfi, ora alla Duse, in una stagione ci parve anche di scorgere in lei come un'ombra di Maeterlinck; ma nessuno avrebbe saputo rifiutare a quelle poesie una prima necessità, un'intima autonomia. C'era sempre un coraggio intimo, un segno certo, una ener– gia non soltanto di parole; e questa era la NegTi. Il difetto suo vero restò dunque difetto di stile; il suo pericolo maggiore (il suo personale estetismo) fu una compiacenza non mai bene vinta, per cui ella non si contentava di vivere, di soffrire, di poetare, ma troppo spesso si atteggiava, si vedeva cioè nell'atto in cui soffriva, si ascoltava nelle parole, nei suoni in cui poetava. Tra lei e il lettore, c'era, esiziale, quel suo ormai classico ritratto, col pensoso volto in– tPnto stretto tra, le palme. Per un momento la prosa parve giovarle; la Negri vi trovò toni più piani, accenti più suasivi; molti capitoli di Stella Mattutina, alcune delle novelle, nei modi del discorso soluto, sembrarono risolvere il dis– sidio della Negri. Ma poi, una prosa che fosse prosa non le bastava, e dette anche lei nella prosa poetica. Cosi l'antica concitazione se la riprese. Nel nuovo libro, Vespertina, molta, di quella letteratura è caduta, molti dei gesti abituali sono repressi. Questo é il progresso del libro ; una maggior verità e, se non ancora l'intima pace, un maggior desiderio di pace. Pur· soffrendone, ora la donna accetta la sua sorte; e se l'ora 16. - P~<UJo. BibliotecaGino Bianco

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