Pègaso - anno III - n. 2 - febbraio 1931

236 R. Papini --------------- ---------------- aveva nella voce il tremolio delle lacrime represse. Perché per lui di– pingere era come respirare. Se qualcuno vuol sape~'e c~e sia ~u~lla ~< pittura pura>>.d_icui tanto si parla e si scrive con l'1llus10ne d1 giustificare troppe d~s1;nvolture.e troppi dilettantismi, si può rispondere che quella del Mancm1 è proprio l'autentica pittura pura. Ma conviene aggiungere che essa è giustificabile solo quando raggiunga questa sorprendente e spontanea maestria, cosi rara che non sapremmo trovarne, in più d'un secolo, altri esempi. Non esiste forse alcun pittore contemporaneo che non abbia invi– diato al Mancini la prodigiosa facoltà di coloritore puro; tanto prodi– giosa e immediata e nativa che avvince assai più per il mistero quasi mediani<lo della sua, origine di quanto non persuada come vefoolo d'una comunicativa simpatia. Ora che egli ,è scomparso, si ripensa alle innumerevoli pitture di lui. Le abbiamo imparate a mente per essercele godute fin dal loro appa– rire, ancora fresche e odorose di pasta pittorica, schietta e spumeggiante. Da quei fondi d'ombra o da quegli schermi di bianco balzano fuori le forme investite dalla lu<le si che anche i neri, gli inimitabili neri di Antonio Mancini, sembrano intrisi di chiarore. Fiori, cristalli, rasi, piume e dorature scintillano per il pennelleggiare vibrato a precipizio, pur senza che 1,-i perda d'ognuna cosa la sostanziale qualità della ma– teria. Parrucche, merletti, frange, tendaggi, elmi di latta e impugnature di stagnola, tutto un armamentario da vestiarista teatrale è chiamato a raccolta per lo sfoggio festivo degli effetti pittorici. Dipingere è l'es– senziale; il rimanente è puro pretesto, compresa la figura umana. Anche ìl sorriso degli uomini e delle donne, che pur dovrebbe essere il riflesso giocondo dell'intimo, non serve ad altro che a mettere la parentesi bianca dei denti fra il sanguigno delle labbra. È soltanto la pittura che ride e canta e gorgheggia, infatuata di luce. Le idee ? A che, servono ? I sen-' timenti, i fatti, i gesti che importano? La condanna che è inclusa entro tale indifferenza cronica del pittore verso ogni contenuto di viva e cogitante umanità fu quella che tolse al Mancini la risonanza, della simpatia universale, senza la quale l'arte non si nutre di succhi :r:ealmente vitali. Proprio l'indifferenza dell'artista verso l'umanità è quasi altrettanto ricambiata dall'umanità verso l'ar– tista. S'ammira, si rimane stupefatti dinanzi alla bravura, alla« virtù>>; magari, come nel caso Mancini, alla· maestria del pittore; ma non si risente e risogna quello stupore nelle ore più profonde e sgomente della nostra esistenza. Puro sfogo di sensualità pittorica, quelle tele riman– gono nel ricordo come il brivido superstite d'un piacere goduto. Pittura, dunque, che sfugge ad ogni definizione precisa,. Invan.o si cerca di chiuderla in qualcuna delle categorie che la critica ha inventato per comodo .di classificazione. Lirica prorompente da un bisogno istintivo di dipingere come di cantare, quell'arte si rifiuta d'esser catalogata;, e l'unico modo di darle un limite è la cronologia, sebbene nasca nel Sei– cento e fiorisca nell'Ottocento. Anche come pittura, del resto, quale influenza ha avuto sul modo di dipingere dei contemporanei? Se ne trova soltanto un'eco stanca in Trolli, il quale, per conto suo, fa il cammino a ritroso e risale sponta- BibliotecaGino Bianco

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