Pègaso - anno III - n. 2 - febbraio 1931

ANTONIO MANOINI. Dicono che Antonio Mancini sia stato scolaro di Domenico Morelli. Siccome l'affermano testimoni oculari e raccontano anche l'aneddoto· dello stupore rassegnato del maestro dinanzi alla precocità dell'allievo, bisogna crederlo. Ma che c'è dell'insegnamento del Morelli nella pittura del Mancini ? Che è rimasto di tutto queJlo sbandieramento di toni nel rappreso dipingere di costui? Sono due diversi stati d'aggregazione del colore: nel Morelli diluito e freddo, nel Mancini coagulato e caldo. Per– ciò quando i medesimi biografi distrattamente aggiungono che il precoce giovinetto, piovuto a Napoli dall'Umbria e da Roma, copiò alcuni quadri antichi, allora si crede senza sforzo all'affermazione di tale verità. E par di vedere il Mancini giovanissimo a bocca aperta e a occhi spalancati davanti a qualche tela napoletana del Seicento per godersi quella pasta grassa di colore, tutta grumi e bioccoli, tutta segreti d'ombra e sprazzi di luce, fatta·apposta per incantare una sensualità adolescente che non domàndava di sfogarsi se non col dipingere. L'Ottooonto è stato un gran coltivatore di talenti allo stato bruto. Guai a sciuparli. Con le due idee fisse, perfino maniache, della libertà in arte e dell'originalità, s'aveva paura a toccarli, i genii giovinetti; e se qualcuno si fosse attentato a ricordare che la libertà dell'arte ha sempre fiorito soltanto nel giardino della disciplina, era tacciato imme– diatamente d'accademico e condannato al dispregio univer,sale. Così Antonio Mancini era cresciuto nella pittura come crescono le piante. Pianta rigogliosa e ricca di frutti coloriti, ma senza innesti e senza potature. Anima -candida, di quel candore fanciullesco che equi– vale alla limpidezza naturale di oort<'l acque cristalline, non lo sfiorò mai neppure il sospetto che un quadro si possa- costruire come un'archi– tettura di masse organizzate nello spazio; se questa architettura gli venne fatta, fu perché la luce l'aveva creata dinanzi alla rètina di lui, sensibilissima e pronta. Vissuto in mezzo a un'epoca teorizzante e pole– mica fino alla rivalità fra pittori e fisici nello scoprire le leggi della <1composizione della luce e nel contrappunto dei colori complementari, Antonio Mancini si mantenne immune da ogni teorica e fedelissimo a se stesso, cioè al proprio istinto fortunato e prepotente. Durante una recentissima seduta dell'Accademia d'Italia il Man– cini s'era rintanato in un cupo abbattimento. Ad un collega che affet– tuosamente se n'era accorto e glie ne domandava con cautela la ragione, ebbe a risponc1ere: « Son quattro giorni che non posso dipingere». E BibliotecaGino Bianco

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