Pègaso - anno II - n. 9 - settembre 1930

Fogli di diario 301 toresche pieghe intorno ai fiamchi, lo aspettavamo di piè fermo al– l'opposta estremità dell'arena. llllrune, riscosso da qualche grido, il tol'o si decise a ruzzare oon quelle belle cappe di raso. Gonfiandosi al vento, esse gli correvano incontro provocanti, impetuose, per poi cedergli flaccide -al primo urto e lasciargli sul muso la sensa– zione d'Ullla tepida e molle carezza, oome Ulll tempo la mammella materna sul suo muso di vitellino. Questo gli dava piaoere, e voloo– tieri si sarebbe messo a pop,pare senza quel loro odioso colore che gli solleticava le corna. Il giuooo insomma, era bello, ma vamo; e certo non se ne sarebbe mai vista la fine, -se un nuovo squillo di tromba n0111 avesse dato l'annuncio dei « picadores >>. Si presentarono in dlue ad una porta del circo, tutti vestiti di latta, larghi cappelli alla Mambrino e lancia in resta, su due tristi e sperticati cavalli che avevano un fazzoletto steso sugli occhi a guisa di benda e i magri fianchi tutti imbottiti ,di strapuntillli. Come 'ai condamnati a morte, che vengono c-ondotti verso il patibolo con la fronte bendata, così a quei poveri Rabicani gli cioncavano le gambe per 1o spav,ento. Da per tutto vedevruno corna, se le sentivano entrar nelle 1Ua tiche, neJle ventraie; e le loro viscere già si sturbavamo credem.do di penzolare, squarciate, sotto la pancia. Quanto più i « picadores », r,ossi in viso e sud'ati, dando gran colpi di staffa nelle imbottite, e i servi in tre o quattro, tirandoli per la cavezza, spilll– gendoli per la coda, mameggiamdo destramente certe loro bacchette di giulllco, cercavamo di buttarli al largo dallo steccato, tanto più quelli, sbirciata di sotto la benda, come disonesti giocatori di moscacieca, l'ombra nera del toro ferma nel sole, recalcitravano precipitosi sparando d-oppiette al vento con una disperazione mai vista. L'anfiteatl'o era tutto in tumulto. Atroci ingiurie piovevano da migliaia ,di bocche invelenite sulle spalle dei« picadores >>. La loro sorte pareva misera, e senza scampo. Dopo aver riguardato a lurngo, con occhio d'apprima curioso, poi un tantilllo ironico, infine aggrondato quel colluttare d'uomini e di cavalli, il toro incomililciava a dare qualche seg;no d'impazienza an– che lui. Nessuno gli badava più: :non sapeva che fare. Annusava, è vero, qua e là, se mai -sentisse odor di prato o vedesse spuntare in quel giallore tutto uguale un po' d'erbolillla tenera. Ma, più che de– serto noo vedeva a fior di terra, e, raspando la sabbia c001l'Ulllghia irrequieta, si volgev.a sempre più bieco a guatare la scena. Come fu che a oo tratto, presa la i-incorsa, fra un fuggi fuggi di « mozos >> e di « capea<lores », piombò come un fulmine nella contesa, noo sa– prei dire. Lo vidi soltanto che, dando col capo UIIl colpettino da nulla, nel sottopam.cia d'uno di quei disgraziati ronzillli, com·e certi O"iocolierifanno con la palla di gomma, lo mandava a ruzzolare a b. gambe all'aria con la picca e il cavaliere. Un gran fracasso di pen- tole rotte, un rovinìo di coperchi e di casseruole, si levò da quel Bibli'o'teca Gino Bianco

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