Pègaso - anno II - n. 9 - settembre 1930

Il Oarducci e il Marradi . 281 Mio amato. Maestro, nel plebiscito di ammirazione e di affetto col quale tutta la patria ha festeggiato la nuova glorificazione del suo Poeta, io son forse l'ultimo a rallegrarmi con Lei per iscritto, mentre fui certamente tra i primi di tutti quei ·molti che ne gioirono e se ne compiacquero in se medesimi altissimamente. E appunto. per questo non volli che il mio saluto giun– gesse al Maestro amatissimo insieme con quello dei centomila; e ap– punto per questo Le scrivo in ritardo una sola parola, che vorrei giun– gesse fino al suo orecchio e fino al suo animo: Grazie!, grazie, o Mae– stro, della purissima sua gloria, che, con la vita e con l'opera sua, Ella ha dato all'Italia. I~ suo fedele discepolo GIOVANNI MARRADI. Nell'am.nuale della morte del Maestro, il ,Marradi pubblicò un al– tro fervido scritto commemorativo, dal titolo Il poeta della patria 1 ). Senza dubbio, la poesia del Marradi, presa nel suo complesso, è tutta nella gramde e lumilllosa scia carducciana; egli lll.Onassurse che sporadi'tamente ad una ,originalità vera, IIlon mostrò che a sprazzi una netta e illlconfondibile personalità poetica. ' ·l\fa come i migliori fra i poeti che germogliarono dal gran ceppo car,ducciano, - esclusi, s'intende, i due sommi, Pascoli e D' An– nulilzio, - egli seppe dare alla comune ispirazioille qualche cosa di i111timamente suo, che è poi quel che costituisce il fascino e il difetto della poesia marradiana, ed è ciò per cui essa gode anc6ra di Ullla popolarità abbastanza diffusa e della tenace ammirazione di molti: la canora armo111ia del verso, quella squisita maliosa musicalità, che troppe volte ci fa perder di vista~l'immagi,ne stessa, che sem– bra profondare e va1nire nel gorgo solll.oro. L'estro del poeta, qua e là, ebbe agio di effondersi in notazioni illldimooticabili di paesaggio, in rapide e fresche impressioni, tutte luci e -ciolori. E in queste, come riconobbe già il Croce, è da ricer– carsi il miglior -Marradi. Né va dimenticato, a mio credere, qual– che aecento veemente dell' Epic-edfi.o, in cui l'amima dolorante del poeta si palesa appieno, raggiungendo una insolita altezza lirica, fatta di sincerità e di commozione. Fin dal .prililcipio, Giosue Carducci, gli aveva indicato, C-OIIl in– cisive parole, il segreto dell'arte: Cerchi dentro sé, nell'anima sua profonda, nella natura vera, quello che l'universo parla e dice a chi l'interroghi nella solitudine pura. LUIGI PESCE'ITI. 1) Nella 'l'rib·una del 17 febbraio 1908. iblioteca.Gino Bianco

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