Pègaso - anno II - n. 9 - settembre 1930

ll poeta Palazzes,-lii 347 E in Pizzicheria? C'è ancora alla fine un'abitudine di riso (.... « A quante ~ett~ corrispose:o un dì le tue calzette»); ma quel padre « con un ragg10 d1 sole sotto 1 baffi» (che pare un raggio interno dell'anima) che « guarda di scorcio il suo figliolo » beato ' r ' ' E gli basta cosi Di guardarlo un pochino alla sfuggita Mentre affetta, è una pittura dove il riso c'è, ma lirico, dell'artista solo. Non pare più allora, al padre, nofoso il suo mestiere, e la gente che fa ressa («Aspetti» « Mi dia, retta>> « Venga qua >> << Mi mandi via>>)· quelle ciarle anzi gli . ' ' ' sono una dolce musica eccitante, e...• « Etto gra=o kilo mezzokilo, Cacio burro prosciutto salame, .Acciughe salacche e baccalà .... Aver fretta ed aspettare, Pesare tagliare affettare, Entrare andar via .... l>, Affetta affetta affetta. Aprite ora all'ultime pagine, e fermatevi a quelle poesie brevi, di ritmi brevi, gentili, di dentro mormoranti: l'estremo punto dell'arte pura dì Palazzeschi. Non sono cosa improvvisa del resto, e si ricollegano a certi riposanti pae~i ·fioriti di tra le poesie più bislacche. Quando s'era stan– cato di dipingere perfino una pianta a scopo, anch'essa, di riso, comin– ciava a guardarla con altro occhio, e vi si fermava amorosamente. E piante, paesi, monti, acque, disegnava e coloriva con inaspettata grazia (<( Già i monti di fronte Giganteschi santi.. .. »); non solo; ma oro, vesti, lini, sete, broccati, sopra· tutto broccati, con un che di chiaro e fresco– che la parola suggerisce, e che passava nei versi. Era una riviviscenza d'umor settecentesco, ma più vicino aUa musica che all'altre arti; donde quel ritmo quasi cantato e che parlava per sé. Parlàva più, direi, delle cose nominate. Queste cose volle poi, per prova, ultima di bravura, fermare nel verso, con un'arte forse soverchia,, e con un pro– posito di conéentrazione che non poteva esser suo, ora che tutto lo portava al comporre prosastico e al gusto del rappresentare. Eran bel– lissime notazioni, ma senz'aria che vi circolasse dentro. E proprio quello che sempre era stato il clono di Palazzeschi, era l'aria e il moto. Un periodo di Palazzeschi, mettiamo delle Stampe dell'Ottocento, non reggerà gran che secondo sintassi, ma una vita c'è, dentro, e musicali rapporti che, a dar più chiaro rilievo, basterebbe un'interpunzione meno– disordinata. (Un nulla, caro Palazzeschi: e questa è osservazione da o-rammatico). Direi che la sua pagina è impregnata d'un'odorosa es– ~enza che nasce e si .spande coi suoi propri moti, e, per finire più vicino all'ar~omento, è una, pittoresca rappresentazione. Se interviene di per– sona 0 mi piace meglio come attore, o quando se ne sta in disparte, fin– o-end~ d'essere un indifferente spettatore. Ma oggi si voleva solo par– o lare del poeta. GrnsEPPEJ DE RoBERTIS. ibliotecaGino Bianco

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