Pègaso - anno II - n. 9 - settembre 1930

346 G. De Robertis non si sa a che fine. E lasciamo andare che in massima son vecchie .cen– tenarie, e sta bene se ne stiano lì fisse e chete, a dormire o, tutt'al più, a filare, filare sempre; ma vi sono anche giovani, con le stesse voglie, e convitati a bei conviti, che non toccano cibo. Un Principato v'è, dove Principe e Principessa, non regnano, dormono, e tutti i. giorni si man– dano uno strano saluto (<{Il Principe dorme e sta bene, Saluta, la sua sposa» « La Principessa dorme e sta bene, Saluta, il suo sposo >> « E non la tradirà» « E non lo tradirà>>). E una pittura, confortal,ile, di casa quieta: una moglie perfetta, due sorelle del marito, vergini anziane, e non 'per questo folli, che voglion bene alla cognata. Oh perché mai ? La moglie non è una vera moglie, è una scimmia, « Cherubina »... un an– gelo; e le due sorelle son due galline, « Ginna.sia e Guglielmina», no– minate « ,Stelluzza e Cometuzza »... rare, due stelle. E va' ora, e di', e ripeti che la poesia di Palazzeschi non ha senso. Così pare: per somma discrezione di chi l'ha scritta. E si sa che Palazzeschi, dico l'uomo, è discretissimo, di parole poche, sprezzantemente timido, superbo delle sue cose al punto, che sempre finge di meravigliarsi che se ne parli. Ha detto apposta e, inventato che egli iscrive per divertirsi (quasi come il «fanciullino» pascoliano); e certi bevitori hanno bevuto, e lui ha la– sciato bere. Non è intervenu_to a, un tratto a dire: - No, non sono un buffone, non sono un saltimbanco, il saltimbanco dell'anima mia. Io sono cosi, e cosi e cosi.. .. (E lì a autodefinirsi, con le più studiate pa– role). - Dannatissimo Palazzeschi ! Sarà l'effetto del poco gusto per le cose di fantasia, rarefatte, sot– tili ? Forse. Noi abbiamo visto come quel suo riso moveva da una ragione profonda, determinata, crudele, nata insomma da una realtà non potuta amare, e da un'altra, accennante ad ora ad ora, ìn segreto amata. Già negli ultimi anni, quan~o scrisse Pizzicheria, questo suo amore s'era fatto più scoperto; e un'umana simpatia, già prima ancora, aveva dato un suo lampo, all'improvviso ricordandosi, per contrasto, delle nonne, in Beghine, e forse della sua, nonna: Non vi vedo sopra il labbro I1 sorriso bonario delle nonne ; Non faccende v'attendono all'arola Dove tanto lavorano le nonne, Quasi ghiotte, Pregustando nell'altrui bocca un sapore E tra due giri di mestolo non stanno Colle mani nelle tasche del grembiale Ma fan calze calzine .... I e con un piglio più pittoresco e ridente: Innalzano le nonne Una rapida preghiera la mattina, E si segnano quando sobbalza il mezzodi Leste posando u,n coperchio di pignatta O i ferri deUa calza .... (sobbalza il mezzodì, e fa dar loro un ba1zo). BibliotecaGino Bianco

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