Pègaso - anno II - n. 5 - maggio 1930

GlO U. Ojetti - Lettera a Senatore · Borletti dovrebbe per vincere fare un passo avanti, fuor dalle fabbriche e dai laboratori; e guardare alla vita. .El quello, vede, .che chiediamo anche alle lettere e all'arte; e qui s'è già sulla buona strad;:i,. Cordialmente suo UGO OJE7.ITI. SECONDA RISPOSTA A LIONELLO VENTURI. Leggo con ritardo la « Risposta a Ugo Ojetti » di Lionello Venturi nell'Arte del marzo scor so, e vi trovo, tra le altre, queste affermazioni : « Oggi Ojetti rifiuta di considera.re come •artisti Vlaminck, Utrillo, Matisse, Picasso, Braque ». Dove dia vol mai avr ò io scritto questo rifiuto? Leggo in nota: « Pègaso, febbraio 1930, pagina 225. » Ora in quella pagina è stampato: « Venturi conclude la sua risposta a me invitando addirittura l'Italia a fondare oggi a Parigi pei nostri giovani pit– tori un Istituto simile all'Accademia che nel 1666 la Francia fondò a Roma perché 1 giovani venissero a studiar da vicino gli antichi e Raffaello e Michelangelo. Chi dovremmo noi andare adesso a studiare a P.arigi ? Vlaminck, Matisse, Picasso, Utrillo e Braque, dichiara Venturi.» Questo vuo1 dire che iio non con.sidero che i suddetti pittori sieno degli artisti ? Ma sono artisti, e degnissimi, anche Tosi, Oarena, Casorati, Ferrazzi, Sironi, Funi ecc.,. e nessun francese si sogna di dire che l'Accademia di Villa Medici è istituita perché i giovani pittori francesi ven– gano a studiare da vicino artisti nostri. Altro è essere artisti, altro è essere dei capiscuola capaci di chiamare a sé l'ammirazione e lo studio del mondo. Non basta: manca ai francesi.citati da Venturi quello che giustificherebbe da parte nostra un omaggio addirittura nazionale, l'istituzione della Scuola italiana a Parigi da lui proposta : manca cioè il carattere unitario della loro pittura, qualcosa che ana meglio li faccia tutti visibilmente dello stesso paese e dello ,stesso momento, come poteva essere quaranta e cinquant'anni fa il « momento>> deg1'-lmpressionisti da Utrillo, tra Braque e Vlaminck ? Parlo d'una parentela che si veda cogli occhi, come si suole da qualche migliaio d'anni guardar la pittura; non che si scopra per via metafisica. Ma la verità forse è più semplice. DeHa Scuola italiana a Parigi che Lionello Venturi si auguràva nell'Arte di gennaio, egli nella risposta a me non parla più. L'accoglienza che tutti abbiamo· fatta ·a questa idea 1a quale nori aveva nessuna base nella realtà, gli ha consigliato questo improvviso silenzio ? Spero di no, per la stima che ho di lU!i. Inso=a ·Sarebbe anche per noi una fortuna se, prendendosela con uno scrit– tore, il Venturi leggesse ciò che questi ha scritto sull'argomento di cui s;i tratta. Ad esempio, di Maurice Utrillo cui, a udire il Venturi, io nego perfino d'essere un artista, ho scritto in un foglio quotidiano abbastanza diffuso, il 2:1 dicembre del– l'anno scorso, queste parole: « Utrillo e i sùo,i paesi parigini suburbani, talora sordi · e pesanti, talora d'un'attonita nostalgia e d'una finezza di toni chiari accentuatà per contrasto da neri d'inchiostro, da rossi di cinabro, e da ·turchini d'oltremare, sono sempre in prima linea deHa moda. » :El vero che non consigliavo perciò ai pittori italiani di emigrare tutti, presto presto, per Parigi e d'andare a scuola da lui. Ma a me piace, i miei giudizi, ragionarmeli e in<iu,rre i lettori a ragionare con me, perché io, caro Venturi, non sarò mai, purtroppo, un campione di salti in lunghezza, da Giorgione a Braque. ù. o. BibliotecaGino Bianco

RkJQdWJsaXNoZXIy