Pègaso - anno I - n. 12 - dicembre 1929

Lettera a Lionello Venturi 729 che questa parola vale in arte, cioè fin dove non è sinonimo d'inespe– rienza, d'improvvisazione e di labilità) che tu ammiri ed esalti in quelli stranieri; che infine ad accettare quello che asseveri tu, proprio tu bio- , grafo di Giorgione, che cioè conoscere il disegno e le regole del chiaro– scuro è per un pittore un danno mortale e che solo disprezzando le regole della scuola e della ragione e cosi salvando l'originalità del primo slan– cio (lo so, anche l' élan vital viene da una cattedra parigina) ci si salva, si corre il rischio di vedere, e s'è visto, esporre, lodare e magari comprar dallo Stato l'arte dei bambini o dei rimbambiti (il giovane che è un im– becille, è un vecchio). D'accord9: tu non precipiti in questo fosso perché batti, da galan– tuomo dell'intelligenza, un'altra strada. Tu a queste paurose conclusioni arrivi difilato dal tuo santo dogma: che l'arte o è adorazione e rivela– zione di Dio o non è arte; che dopo il trecento, salvo eccezioni d.i ritar– datari, l'arte diventa un mezzo della conoscenza e com~ncia quella vuota civiltà della forma plastica, dominata dall'artista e dall'artefice esperto in artificii per imitare il vero; che qualcosa di quella rivelazione o almeno ispirazione che è la dote necessaria dell'arte, è riapparsa a Pa– rigi poco dopo il '70 quando sulla ragione ha trionfato con l'Impressio– nismo la sensibilità; e che perciò, se vogliamo tornare all'arte, non po– tendo rifarci a Cimabue e a Giotto dobbiamo rifarci a Manet e, pare, a Cézanne. Riassumo con parole mie molte pagine tue, e forse non riesco a fermare tutto il tuo pensiero. Ma questo è certo: che cosi scrivendo, tu sei più un apostolo che uno storico, e nella foga non badi agl'idoli d'oro che abbatti, né ti curi se chi per un istante ti segue abbia l'aria tanto stupefatta e trasognata da .dimenticarsi persino deWanno in cui vive. Giacomo Debenedetti, critico oggi tra i più sottili, ha ben giudi– cato il tuo Gusto dei Primitivi : ·un libro di morale, e non di critica o di teoria estetica come può parere. Tu invece, studiando l'opera di Manet, hai voluto provare che la tua teoria era anche un utile metodo di critica. Lascio le osservazioni minute, talune, s' intende, acutissime, sulla pennellata di Manet, sulle armonie di colore più care al suo occhio, sulla differenza tra il tocco di Manet e il tuttotondo del suo adorato Velasquez. Ma in conclusione, quello che tu ammiri in Manet è la sua rapidità, la famosa regola da lui confidata da Antonin Proust, che il n'y a qu'une chose vraie, faire du premier coup ce qu'on voit, e qiiand ça n'y est pas, on recommence. E l'ammiri perché con quella rapidità Manet confessava la necessità d'iden– tificare il fare col sentire, e riesciva a rendere la sua pennellata una linea rivelatrice del colore, una. linea che pur ferma suggerisce vibrazioni continue, una linea (sempre parole tue) in funzione di rapidità. Quale vantaggio, come dire?, morale, al confronto di tutta l'altra pittura moderna da ,Goya a Oasorati 1 ) (scelgo, tra i nostri, Casorati perché e tu ed io, forse per diverse ragioni, siamo d'accordo nell'ammi– rarlo), offrono l'Impressionismo francese e questa sua esemplare rapi– dità ? Il pittore impressionista, tu dici, « vede l'immagine, non si preoc- 1) LIONELLO VENTl.'RI, Il pittore FeUce Gasorati, in « Dedalo » settembre 1923. BibliotecaGino Bia11co

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