Pègaso - anno I - n. 7 - luglio 1929

38 B. Sanminiatelli ché il gran tonfo era stato coperto dal gran vento. E i corvi croci– darono. Quel giorno, tutta la mia famiglia rimase in casa. Io non mi staccai mai dalla mia nonna e mi misi a ritagliar :figurine dai gior– nali e a incollarle sopra a un libroné bianco. E, :fissando quelle pagine pallide, mi pareva avessero l'albor d'infinito che ha la neve. La mia 1I1onnaed io eravam tanto soli in quella stanza, che u111 il– lusorio ambiente, uno scenario di famtasia, si stabilì fra nòi come per incamtesimo : un ambiente tutto polvere nappe e cianfrusaglie, dove pareva ci fossimo sempre stati, come dentro a una campana di vetro, noi due soli. La stamza era sàpida di cànfora e di spigo e d'altri odori sfiniti, chiusi nelle càntere, odori d'orti e di foreste in co1I1serva. Fino alla sera nessuno parlò, i servi camminavano in punta di piedi, le serve sospiravano e la fattoressa s'era partita in due la faccia da una pezzuola, come se fosse fasciata e le sentissero i denti. Per un momento pensai che gli fosse morto il babbo vecchio e acci– dentato che aveva un labbro penzoloni e una mano stravolta e stava sempre seduto fuor di porta con un fuscello in mano a scacciar le mosche. Ma lo sentii sputare e mi rassicurai. Tutto sudato, mi strinsi nelle spalle per sentire me stesso e rac– cogliermi. Ogni oggetto era infido. Ben mi compiacqui d'esser di qua dai vetri, ,dove potevo contare i mobili uno per lliilo e farmi u1I1'ideaesatta di quello che conteij.evruio i muri. Di là dai vetri era lo scompiglio. Il vento. Odor dli morte. Aria d'ig111oto. E il giardino rimase abbandonato. Il circolo delle seggiole di vi– mini, sotto il platano altifrondoso, servì di posatoio alle galline che vi s'avvicinavano, caute, a becchettare. Quella della noillna col cu– scino, rovesciata dal vento, rimase per tutta la giornata a gambe all'aria nel mezzo al piazzale, dopo aver ruzzolato come un caippello, di paglia. Nessuno pensò a rimetterla in piedi. Il vecchio acciden– tato che stava sempre seduto fuor di porta, S!I)Utandocon magni– ficenza e dando noia, con una festuca, a un canino acciambellato, l'avevan riposto in casa. E l'anima mia si sfilacciava come un cri– santemo alle prime piogge, si perdeva come un riflesso di S!I)ec– ,chio, si sprofondava come le nuvole ,in una vasca. Sicché venni rimuginando cose torbe, in quella giornata di tra– montana torba. E siccome da un po' di tempo non facevo il gioco di Bibbiana e proprio quando la sentivo allontanarsi, ipiù all'im– provviso mi si parava davanti, così quel giorno, di quell'assenza • sentita come una p.resenza, ipigliai grandé spavento.' E, da quell'as– senza, come le altre volte, più delle altre volte, apparve Bibbiana, sotto forma dell'Assunta affogata che pareva un involto di cenci. Me lo disse a brùzzico un ragazzo che 'veniva a portare i disipacci, un pepino sagace che le sapeva tutte. · Biblioteca Gino Bianco

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