Pègaso - anno I - n. 7 - luglio 1929

32 S. Benao ché li trovai tutti in casa. Uno dei nostri parenti era Uiilgiovinotto d'.i quelli che più tardi si chiamaroiilo mondani, 1 e sebbene la sua via fosse quella del commercio, s'era formata una bibliotechina d'autori, natu:ralmeinte, alla moda; là trovai per la prima volta Uiil libro di D' Aiilnuiilzio, che credo fosse il Canto Novo} e fece a me fanciullo un'impres,sione strana di acquario pieno di vocaboli co– lorati, e là c'eraillo pure tutti i volumi di Giovanni Verga. M'è ri– masta aillche uiila confusa memoria del gran parlare che, intorno al mio letto di piccolo malato, facevano mia madre, mio padre, il medico, gli altri adulti, quand'o fu rappresentata a teatro, dalla Duse, una cosa che essi trovavano nuova e diversa da tutte le altre e che pareva essere la chiacchiera universale: la Cavalleria ru– sticana. Verga era aduiilque, io argomooto da questi ricordi, bene addentro nel pubblico e ben vivo, se lo leggev3./Ilo le divoratrici di libri, lo oomperavano i lettori eleganti e ·se almeno in quel momento correva ·acclamato e disputato sui teatri di prosa. Vogliamo vedere un Verga un po' meno dli famiglia, Uiil Verga quale appariva a giovailli di grande coltura e di grwnde iiilgegno, nell'ora schiettissima della sbrigliata e scapestrata mattana? Non abbiamo che da aiprire il Giobbe di Olindo Guerrini e di Corrado Ricci, il breviario eretico di ,quella generazioiile. Fra tanti illustri tartassati, il Verga riceve un inchiiilo pieno di festevolezza: E riverenti salutiam la vera La viva gloria di Catania, il Verga, 'l!n cui l'ingegno più virile alberga Di tutta questa Italia roma~ziera; Non può la mia malizia Altro mordere in lui che la pigrizia. Laisciamo la pigrizia di chi iilOn era allora t3.1Iltopigro, se in meno di dieci anni dava I Malavoglia e Mastro don Gesualdo : e pigliamo il giudizio che doveva riflettere un'opiiilione larga e dif- . fusa iilei circoli letterari del tempo. Fu quello d'a)tronde sul quale s'intonava, ·O meglio s'intOiilò per l'ultima volta, la critica italiana, quamdo comparve appunto il Mastro don Gesualdo. Di esso si parlò con la coscienza d'aver din3Jillzi l'opera d'un maestro, ancorché l'arida tristezza del libro lo roodesse scabro e severo. Incomiiilciavo anch'io, circa que' 0 giorni, ad aprir gli occhi su queste cose della letterrutura, e anch'io, guidato dalle opinioni che sentivo intorno, iiiliziavo il mio gar2ionato col fare la mia turibo– lata a quello che contava come il maggiore r,omanziere iilostro vi– vente. Intorino a me, da ogni parte, vedevo pullulare insistente e trita, la piccola letteratura rusticana dei bozzettisti, che era poi l'arte di Giovallilli Verga. ridotta al mestiere popolare dei gessini. I bozzettisti, in verità, eraillo iilati dal De Amicis e dai lombardi; ma s'erano poi oonvertiti rapidamente allo stampo verghiano. Per BibliotecaGino Bianco '

RkJQdWJsaXNoZXIy