Pègaso - anno I - n. 3 - marzo 1929

Appunti su Marco Praga 353 è innamoratissimo. Egli s'era affannato a stringer da v1crno quella famosa «realtà», con l'ansia di farla rivivere in una fedeltà assoluta, ilistruttrice d'ogni intrusione e confessione soggettiva: Praga credeva fermamente alla « quarta parete>>. Ma, come accade a tntti i veristi, sotto le forme di quella sua contemplazione impassibile, c'era poi anche una sorta di tenerezza. Tenerezza e pietà per i suoi eroi, e specialmente per le sue eroine, quasi sempre vittime: Quel suo mondo senza nem– meno un sospetto di Dio (è vero che, alle volte·, vi figurano anche dei preti: ma quali preti!), quel suo teatro da cui, sulle orme fr 1 ancesi, manca ogni sentore del Dilà, ogni idea d'una Legge trascendente, ogni concetto di peccato, può far rabbrividire appunto per questa assenza; per questa religione fatta d'una costituzionale irreligiosità. E la mo– rale delle sue favole è sempre una: che cosa atroce è mai questa vita; di creature abbandonate soltanto a sé stes,;e ! Nell'intransigenza d'un tale verismo era, insieme, la sua ragion d'essere, e la sua condanna segreta. Lo spietato Praga era arrivato al culmine del pessimismo borghese; più in là, non si poteva andare; donde · la reazione. Ci volle poco ad accorgersi che, se il « lieto fine » obbliga– torio di Scribe era una maniera, una ma~iera era anche l'obbiigatorio fine amaro. Con la sua arte modesta, rettilinea e sincera, Praga con– clude un ciclo e un'età . .Per questo capitò anche a lui la disgrazia che colpisce spesso i pre– coci. Arrivato presto alla vetta della sua parabola (La moglie ideale è del '90, ossia di quando aveva ventott'anni) egli rimase come prigio– niero, nelle forme d'un'arte più vecchia di lui. Era ancora nella sua piena virilità, e i tempi lo avevan superato. Di ciò, Praga poté cominciare ad avere i primi sintomi fin dagli ultimi anni che precedettero la guerra. Tra l'altro, stava accadendo un fatto nuovo : lo spostarsi del centro, anche geografico, del Teatro italiano. Fino allora le nostre compagnie drammatiche, sebbene eter– namente girovaghe, avevan tuttavia trovato un punto di riferimento, un perno, a Milano: centro dell'industria teatrale come di tante altre, e dove il pubblico del Manzoni dettava leggi più ·o meno accettate da una gran parte di quello delle altre città. Ma già fin dal principio del secolo avevan cominciato a propagarsi altre idee, sulla necessità di ri– formare i vecchi organismi, di fermare le compagnie in questa o in quella «piazza», di sottrarle alla direzione dei guitti, di addestrarle secondo nuovi criteri d'interpretazione. Idee che troV"arono accoglienza soprattutto il}. Roma, dove in realtà dal '900 in poi si son compiuti (felicemente o no, è un'altra questione) quasi tutti i tentativi fatti in questo senso: e non nomineremo quelìo troppo discutjbile della « Casa di Goldoni JJ ; ma bisognerà pur ricordare la « Stabile » cli Boutet, che non fu solo un tentativo; e, dopo la gnena, la sfortunata impresa di Lucio d'Ambra e Mario Fumagalli, e quella di Luigi Pirandello, e i tanti teatrini d'eccezione e d'avanguardia, primo quello di Bragaglia. Marco Praga diventato celebre aveva avuto, per molto tempo, altro da fare. S'er.a dedicato, come lo portava il buonsenso del suo tempe- 23 - P~gaso. BibliotecaGino Bianco

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