Nuova Repubblica - anno V - n. 37 - 15 settembre 1957

2 GIORGIO SPINI: LO STORICO E11-MflESTRO D A SOLA, l'opera storica di Gaetano Salvemini co– stituisce un capitolo di storia italiana del Nove– cento talmente ampio e complesso da non poter es– sere abbracciato in poche note frettolose, stese ~otto l'a'ncora fresco dolore della sua scomparsa. Quando il lutto avrà ceduto alla pa·cata riflessione, verrà il ~empo per riaprire il discorso su quel capitolo di storia e porci in termini adeguati il probJemà storico della influenza di questa eccezionale personalità di studioso e di mae– stro sulla cultura italiana del nostro secolo. Allòra, per esempio, misureremo adeguatamente il significato inno– vatore di un'opera come Magnati e Popolani nei Comune di Firenze, rispetto alle posizioni prevalenti tra la fine dell'Ottocento e l'alba del Novecento nella storiografia di Firenze medioevale, come quelle liberali-nazionali di un Villari o quelle filologico-erudite di un Davidsohn. Allora valuteremo l'importanza storica della comparsa nel 1905 di quel Mazzini, che nella sua piccola mole racchiude tuttavia così grande significato ideale: l'ini– zio del ripensamento critico, al di là delle agiografie commemorative, della vicenda risorgimentale: la na– scita della moderna storiografia del Risorgimento: l'av– vio a quella corrente di studi intorno alla storia delle idee e dei movimenti etico-religiosi, che costituisce an– cora oggi uno dei titoli maggiori di merito della storio– grafia italiana. Allora ci renderemo meglio conto come la stessa polemica antifascista del Salvemini in esilio ed i suoi studi intorno alla politica estera italiana co– stituiscano in realtà l'atto di nascita dell'odiernissima storiografia del prefascismo e del fascismo. Ed insieme, ricordando quanta parte della migliore storiografia ita– liana contemporanea sia uscita in un modo o nell'al– tro da11a scuola di Gaetano Salvemini, misureremo al- BRUNO PINCHERLE: NON MOLLARE F REQUENTAI le lezioni di Salvemini nel '24. Egli teneva allora, nelle prime orè del pomeriggio, un corso sulla Rivoluzione francese in un'aula di Piazza S. Marco. Era una stanza dai banchi vecchi e scomodi, come ne esistono certo ancora nelle scuole del suo me– ridione, e angusta anche per un pubblico ristretto. Ve– ni'vano ad ascoltarlo, oltre ai suoi studenti, anche alcuni di altre facoltà, antifascisti. Non che Salvemini parlasse là di politica. Ma bastava sapere chi egli fosse e chi fossero alcuni dei giovani che gli erano attorno perché, nella atmosfera soffocante del R. Istituto di Studi Supe– riori, si respirasse in quell'aula un'aria libera ed ecci– tante. Attraverso alcuni suoi allievi (Nello Rosselli, Maso Ramorino 1 Emilio Baglioni) conobbi altri, gio'vani e non più giovani, che la pensavano come noi: Carlo Rosselli, Ernesto Rossi, Nello Traquandi, Dino Vannucci e poi Alessandro Levi, Piero Calamandrei, Gaetano Pieraccini. , Il Non mollare è nato, nel gennaio '25, da quei gio– vani raccolti attorno a Salvemini, pochi giorni dopo che essi si erano battuti, all'inaugurazione dell'anno acca– demico, nell'aula magna dell'Università contro i fascisti e alcuni di essi erano rimasti feriti. Direi che l'impo– stazione del giornale, che pubblicò, tra il gennaio e l'ot– t0bre del '25, una documentazione serrata e precisa sulle violenze e sui crimini fascisti e additò le responsabilità dirette del governo attraverso la pubblicazione dei più significativi « memoriali », v-iene tutta da Salvemini e che da quell'esperienza partirono alcuni di quei giovani per farsi, a lor volta, maestri a noi e agli altri. Se penso alle mie impressioni d'allora (nelle file del Non molla'T'e restai sempre nel modesto rango dei distri– butori, sotto la guida esperta e scanzonata del buon Traquandi), Sa1vemini, che noi tutti chiamavamo lo «zio», mi appare come un uomo già vecchio. Un vecchio Socrate, limpido, arguto e coraggioso, implacabile nello smascherare i nemici e i falsi amici tiepidi e prudenti, lontano dall;antifascismo estetizzante di certi circoli in– tellettuali, saldamente piantato nella realtà, ricostruita, sulle pagine del Non moHare, attraverso la registrazione di piccoli fatti significativi ed esatti. Chi sfogli i ventidue numeri di quel foglietto clandestino vi ritrova (oltre al tormentoso ricordo degli amici uccisi per averlo sostenuto o diffuso) la presenza viva di Salvemini e 1 oltre alla sua, quella dei suoi discepoli migliori 1 Carlo e Nello Rosselli, E111esto Rossi. Di quell'anno 1925 (che per Salvemini si concluse con la prigione e il lungo esilio) 1 dei nostri compagni d'allora (degli scomparsi e dei vivi) parlai a lungo con lo «zio» un paio d'anni or sono, un ppmeriggig che mi ero fermato apposta a Firenze per riabbracciare lui e Gaetano Pie– raccini. Avevo trovato Salvemini nella modesta pensione in cui abitava. Viveva a ottant'anni passati così come siamo vissuti anche noi a vent'anni (ma non so se sa– remmo capaci di vivere ancora), in un'anonima stanza tresl quanto profondamente abbia inciso sulla cultura contemporanea questa formidabile tempra di maestro e di suscitatore di energie. Oggi, possiamo ricordare soltanto, con commozione profonda, la grande lezione che tutti abbiamo ricevuto 9,a · Gaètnno Salvemini, per poco che abbiamo Potuto accostarci alla sua cattedra, e che tutti conserv~r'=mo sino a che ci duri la vita. Non tanto e non solo una lezione di met.odo: anche se nessuno di noi scord·erà più il suo virile richiamo alla concretezza dei fatti o l'inimitabile vivacità a.ene sue polemiche contro la re– torica, i luoghi comuni, le grosse parole generiche che sembrano dire tutto e _non vogliono dir nulla: anche se qualcosa del suo implacabile humour o del suo !))– stancabile amor di ricerca, per cui sino agli ultimi gior– ni sentiva il bisogno di ritornare sopra ai suoi propl"i lavori con incontentabile ed inesauribile spirito critico, ci resteranno a fianco, impedendoci di addormentarci su. vanità soddisfatte ·e dogmatismi presuntuosi. 'Ma pri– ma di tutto e sopratutto. una lezione di vita, per cui abbiamo appreso che a'"nche il nostro mestiere di sto– rici non è un divertim~nto ozioso di eruditi, destinato a svolgersi entro una piccola cerchia di iniziati, ma è atto di vita morale e testimonianza di fede, resa in pubblico, rivolta al nostro prossimo ed in funzione del prossimo nostro. Il problema storico Salvèmini non si affronta misu– rando la sua opera come quella di uno studioso qual– siasi: misurando, ad esempio, quanta parte dell'inda– gine erudita di Magnati e Popolani resista dol)o ulte– riori ricerche documentarie o quale materiale biblio– grafico indichino le note a piè di pagina di altri vo– lumi. E non si affrontà n"emmeno rilevando puntual- d'affitto) il piccolo tavolo ingombro di carte e giornali, i libri (al posto della libreria che non c'è) stipati in un valigione poggiato aperto su due seggiole. Ma sembrava che egli non sentisse il disagio nè la povertà, impegnat,o come era a continuare ~ sua battaglia. E come fa chi , guarda ancora davanti a -sé. Salvemini fermò ad un certo momento l'onda dei nostri ricordi per riportarmi dal pa~o al presente. Mi interrogò su uomini e cose che lo -ii\teressavano con domande precise e nette che esige– vano risposte altrettanto nette e precise. E, ogni tanto, senza interrompere il chiedere o l'ascoltare, prendeva qualche rapido appunto, come lo avevo visto f~re, qual– che anno prima, una limpida mattina in cui era giunto a Trieste e vi si era fermato poche ore soltanto per ren– dersi conto della situazione. E Fabio Cusin e Carlo Schif– frer ed io, nel giardinetto di una modesta villa alla peri– feria della città, eravamo stati sottoposti a quel suo mar– tellante interrogare. Come era possibile che, trent'anni addietro, la prima volta che lo 8vevo visto iÌi quell'aula universitaria, lo «zio)> mi fosse sembrato già un vecchio? Era una: cosa di cui non mi capacitavo e glielo dissi. Soltanto allora mi parlò, brevemente e senza impietosirsi su di sé, dei propri malanni fisici. Poi subito riprese l'interrotto di– scorso, Fu l'ora già fissata per la mia partenza da Fi– renze, e non la sua stanchezza, a troncare il co11oquio. Nello scendere le scale m'accorsi che avevo dimen– ticato su nella sua camera un mio libro e risalii. Salve– mini era già dietro il suo tavolo di'° lavoro, intento a scrivere. Levò gli occhi e sorrise: « Sai, ho così poco tem– po da:vanti a me ... ». Ora sappiamo che quello che voleva dirci (e non soltanto con la parola, ·ma con la sùa vita d'ogni giorno) lo « zio» è riuscito veramente a dircelo fino al suo ultimo respiro. PAOLO VITTORELLI: ALL'ESTERO L A VIA dell'esilio fu probabilmente più penosa per Gaetano Salvemini che per la maggior parte degli altri fuorusciti. Abituato a trovarsi sempre in mezzo alla mischia, egli. non lasciava l'Italia per tutelare la sua incolumità personale e ·neppure per difendere l'integrità della sua coscienza. Egli lasciava l'Italia perché solo da una terra libera gli sarebbe stato possibile proseguire la sua missione morale, consistente nel dire la verità, tutta la vei.-ità, agl'italiani come agli stranieri, sul regime dit– tatoriale italiano. Salvemini non poteva accontentarsi di dare vita ad un giornale clandestino contro la dittatur:a, sebbene egli fo'5se fra gli animatori del Non mollare; non poteva limi– tarsi a qualche opuscolo e a ·qualche volantino di propa– ganda stampato alla macchia; aveva bisogno di spiegare, di documentare rigorosamente quello che spiegava, di dare la prova provata di quello che sosteneva; e per fare questo, per mantenere accesa, in ~odo scientifico 1 la fiac- (180) nuova repubblica mente le successive influenze ideologiche, specie prove– nienti dalla sociologia contemporanea, 'che di volta in volta possano comparire nelle sue pagine: rinchiudere questa straordinaria figura di cercatore così pieno di umile inquietudine entro uno sche.ma ideologico rigido sarebbe veramente rendere il peggiore servizio imma– ginabile alla memoria di Gaetano Salvemini. Si affronta soltanto cercando di chiarire queqo che fu il nocciolo essenziale deUa sua personalità in ogni momento e quindi anche nel momento della attività storiografjca: Ja sua profonda fede morale. Gaetano Salvemini non è stato tanto un discepolo della scuola socialista o del pensiero del Cattaneo o della sociologia del Mosca e via -discorrendo quanto un credente ·in un -sua:-incrol– labile credo interiore, che lo accompagnò •in 0g'ni trise della sua evoluzione intéllettu!ile e·, della sJa !.oper0sità politica e culturale. I priz:n,i g'.io,;anili eniuSi;smi 'per il verbo socialista poterono cedere ad una.. più Criti,ca !"i– flessione: queste o quelle asserzioni poterono essere di volta in volta da lui rivedute e. magari abbandona.te: quel nucleo centrale di fede restò intatto ed immuta– bile. Di definire in spiegato discorso tale fede egli non si curò in alcuna opera 1 particolare: e non se ne t:urò, probabilmente, perchè la viveva con tale intensità e certezz~ interiore da non sentirla come probleina. Nè tracciarne il contorno in sede storica sarà certo facile assunto per il biografo e l'esegeta di domani: ne~suno storico riuscirà mai a fermare sulla car.ta il senso pal– pitante della vita. Ma quella fede che sentivamo ir– radiare dalla sua persona, quando era vivente, le sue pagine continuano ad irradiare e continueranno anche in a.vvenire. E come nessuno di noi, che in qualche . mod·o abbiamo potuto avvicinarlo, ha potuto restare in– differente a quella irradiazione, così anche coloro che dopo di noi leggeranno le sue pagine continueranno a sentirsene colpiti ed avvivati. I lavori degli eruditi in– vecchiano e praticamente si annullano col progredire degli studi ed il passare del tempo: gli schemi degli ideologi si mummificano o cadono a pezzi con l'avan– zare di nuovi interessi e l'aprirsi di nuovi orizzonti spi-· rituali. Di là dalla tomba, il nostro indimenticabile pro- . fessore continua a farci lezione. cola che gli stava a cuore, doveva studiare, scrivere Hbe– ramente, diffondere largamente il risultato delle sue ri– cerche. Dal giorno in cui lasciò l'Italia, queste sue ricerche furono sempre « impegnate», furono semPre consacrate a un solo fine, quello di fare luce, tutta la luce possibile, col massimo di prove, sulle responsabilità del delitto-Ma teotti, sui crimini deJla dittatura, sui mezzi di cui questa si serviva per conservare ·il potere, sulle complicità delle quali aveva goduto, sulle avventure internazionali del fa– scismo e sulla connivenza con esso dei regimi conservatori dei paesi democratici, sulla sostanza reazionaria del co– siddetto regime corporativo, sulla triplice _alleanza fra monarchia, chiesa e grande capitalismo per mantenere in vita il fascismo. Senza l'azione culturale di Salvemini, molti giovani intellettuali italiani, attirati all'antifascismo dal rigore delle sue tesi e delle sue dimostrazioni, sarebbero rimasti scettici. di fronte a un certo sentimentalismo rettorico della Concentrazione antifascista, di fronte a un certo attivismo dei gruppi non comunisti che.sembrava privo di -basi teoriche, di fronte alle pretese avanzate dal fasci– smo e non sufficientemente confutate dai partiti tradizi~ nali, che il fascismo fosse una forma più moderna e più realista di regime politico e sociale. Salvemini seppe indicare nella cosiddetta dottrina fa– scista tutto ciò che vi era di falso, di demagogico, di su– perficiale, seppe preparare gli animi alle dure prove co– minciate con l'avventura etiopica, seppe, insomma, ri– durre a nudo il fasC!smo e far cadere ogni esitazione nella generazione che era stata educata sotto il fascismo. I giovani che ebbero l'occasione di conoscere Salvemi– ni di persona nell'emigrazione furono forse relativamente pochi rispetto alla grande massa che, in Italia, ne cono– sceva solo il nome; ma per quanti giovani - anche fra coloro che ne ignoravano l'opera schiettamente politica - la sua opera storiografica, la sua Storia della Rivoluzion.<e francese, per esempio, non furono una vera e propria scuoJa di libertà! Per quanti giovani, non appena riusci– vano a fare µn3 scappata all'estero, il compito più urgente non era que11o di leggere l'ultimo libro antifascista di Salvemini! Per quanti giovani antifasci~ti, l'azione più eroica non era l'introdurre clandestinamente in Italia una delle opere tanto documentate di Salvemini! Anche all'_estero, egli seppe distinguere la sua missio– ne di divulgatore della verità dalla sua azione di militante. Egli volle sempre essere vicino a Giustizia e Libertà, par– tecipò attivamente all'elaborazione del suo programma, scrisse sui Quaderni alcuni dei suoi più bei saggi politici, collaborò al settimanale, si interessò a tutte le attività del movimento. E quando suonò l'ora del ritorno in Italia, con la mer destia che lo caratterizzava, egli si rifiutò di sfruttare a scopi politici i suoi vent'anni d'esilio e si accontentò, prima da lontano, e poi riprendendo la sua cattedra di Firenze, di dare ai suoi discepoli, a coloro che gli erano stàti spi– ritualmente più vicini, un solo ammonimento: quello di non precipitarsi sul potere politico del nuovo stato demer cratico italiano, ma di preparare, con pazienza, per al– m·eno· diecl anni, lontani dai carrozzoni ministeriali, una nuova Jenerazione di democratici.

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