Nuova Repubblica - anno V - n. 19 - 12 maggio 1957

(iG2) ritrova repubblica 3 , L' I N 'f E L L I GH E N Z I A · CO ltl U N I S 'f A E J.-·r. SARTRÈ LA CLASSE ·sACERDOT ALE Per molti "intellettuali,, comunisti Stalin era soltanto un mito : il simbolo della ragion <li stato, <le! potere polizi'esco, della storia capace di assic,uare un 1·iparo sollo la comocfa stola <lei "lavoro intellellualc,,. A questo mito e,'a dovuto l'incenso dell'adulazione di PIERRE NAVILLE Cominciamo la pubblicazione, in trciduzione italiana, di uno scritto d·i Pierre Navitle che costituisce it II capitolo deL volume L'intellectuel communiste (A propos de Jean-Paul Sartre), Paris, Librai-rie MarceL Rivière, 1956. L'opera del NavHle, attivo militante della Nouvelle Gau– che, sarà futta conoscere anche in Italia dall'edi– tore Schwarz di Milano. P ER IL COMUNISMO - o meglio per lo stalinismo, che è la so1a forma a venir considerata in questa sede - l'intellighenzia ha finito per diventare una sorta "di classe. Non sofo è stata « considerata » in quanto tale, e « immaginata » come raggruppamento, ma, poco a poco, eretta in istituzione, di fatto isolata, con propri compiti e funzioni. Essa è venuta determinandosi prima di tutto sul piano professionale, poi su queJlo sociale. Il processo risulta evidente nell'Unione Sovietica, dove trova il suo posto nello sviluppo dello Sta1o, ma esiste egualmente, seppure in !orma latente, embrionale, lar– vata, anche nei partiti comunisti degli st~ti capitalisti. Di che specie di classe si tratta, e com'è composta? Innanzi ·tutto, è evidente che la « classe intellettuale» si contrappone immediatamente alla classe dei lavo– ratori manuali. Dato che la società racchiude, sottò uria forma o l'altra, una opposizione tra lavoratori del braccio e intellettuali, questj ultimi tendono spontanea– mente a costituirsi in classe. Si può obiettare che i la– voratori manuali e intellettuali sono tutti quanti lavo– ratori - o meglio, salariati, benchè molli di loro non siano affatto tali nei rapporti sociali capitalistici - e che.. questa condizione determina una comunanza 'di interessi tra loro. In questo modo, però, non si arriva a cancellare ogni differenza: infatti «lavoratori» è un termine abbastanza v~go e non riesce a definire con un minimo di precisione, oggi, una o più clas.si o categorie della società, sovietica o capitalista che sia. Lavoro ma– nuale e lavoro intellettuale sono due cose piuttosto lon– tane tra loro, separate da uno degli atteggiamenti più tenacemente· antagonisti in seno alla società: una diffe– renza meno fondamentale forse, ma certamente più du– ratura, di quella che oppone il capitalista al proletario. Le funzioni intellettuali godono indubbiamente di un prestigio superiore, sia agli occhi di chi non le esercita che nello spirito di chi ne ha la prerogativa. Tuttavia que– sta superiorità non è ben chiara, e non riesce a dimostrarsi da sé se non nel caso del filosofo e dell'intellettuale « puro» di cui torneremo a parlare, e per di più si rife– risce, più o meno spontaneamente e con oscillazioni assai freqllenti, a1l'esistenza di altre classi. Nei riguardi della borghesia, la prerogativa di intellettuàle cons_acra l'appartenenza alla élite sociale, vale a dire la parteci– pazione alla condizione dei padroni. Di contro, gli intel– lettuali potranno dichiararsi << sulle posizioni della classe operaia », il che significa sulle posizioni di una classe diversa dalla loro. Ma, invece di assimilarsi completamente alla classe operaia e di rifiutare per sé u~ raggruppamento sepa– rato, l'i.nteUighenzia si tiene· attaccata con tutte l• forze alla propria sedia mentre fa mostra di sedersi su quella del vicino. Allora non le resta altra scelta che procla– marsi, modestamente e non senza disagio, classe media - o almeno parte integrante di quella nebulosa sociale che in Francia chiamiamo << le classi medie ». Questa è la qualifica che, in ultima analisi, gli intellettuali del. partito comunista si attribuiscono. Iffsomma, questi in– tellettuali sono elementi delle classi medie che « si por– tano sull~ posizioni della classe operaia». Non resta loro altro da fare che definire una linea politica e trovare un atteggiamento conforme a questa posizione ambigua. Che· questa definizione non sia una mia invenzione, scaturisce con grande evidenza da una lunga mozione approvata daJ}a 5.a sezione parigina (Quartiere Latino) del PCF e pubblicata dall' Humanité del 31-5-56. Vi si legge: « Allo scopo di ritardare e di impedire il pro– gresso· verso l'unità d'azione della classe operaia, non– ché di frapporre.ostacoli alla tendenza delle classi med-ie (sopra.ttutto · intellettuali) a riunirsi intorno é\lla classe ·operaia· e al suo Partito, la borghesia, i suoi· ideologi e alcuni rinnegati al suo servizio,. cercano di presentare in forma menzognera, di deformare e di offuscare i _principi del nostro Partito, sul triplice piano ideologico, Politico e organizzativo. E' questo il compito particolare di France-ObservClteur, pove dei piccoli-borghesi irre– sponsabili criticano continuamente il ·nostro Partito, qualsiasi cosa faccia, e si sfo1·zano di convincere gli in– tellettuali che l'abbandono dei nostri principi equivale alla realizzazione dell'unità». Valutate questo documento, dovuto ai cervelli « la– tini » delio 'stalinismo, analizzate tutti i sofismi e l'amorfa logomachia che esso contiene, notate bene il meccanismo della .calunnia strumentale: tutto è imper– niato sulla funzione burocratico-sacerdotale deiì'intelli– ghenzia. I rapporti tra questa classe e la classe operaia sono risolti mediante la funzione di interprete assegnata al Partito, donde deriva una confusioi;ie pianificata e · sistematicamente incoraggiata alla quale mi rifiuto di dare il nome di «dialettica>>. In primo luogo, gli intel– lettuali sono ben caratterizzati come elementi costitu– tivi delle classi medie; essi ne fanno parte in quanto tali, <<"Soprattutto)); ed è altresì evidente che non ne rap– presentano la parte minore. Vengono chiamati quindi dei piccoli-borghesi, altro termine P.er Jjefinire questa nebulosa sociale che comprende_ il meglio e il peggio, la tenebra e la luce. Se essi si volgono verso la luce, co– stituiscono l'intellighenzia <e sulle posizioni della classe operaia », stelle oscure o brillanti con la tessera del Par– tito Comunista nel portafogli ma, una volta che la tes– sera venga loro tolta, come ad esempio è successo a Pierre Hervé, ritornano ad essere soltanto degli spre– gevoli piccolo-borghesi orientati verso la tenebra, stru– menti odiosi della borghesia, il cui compito specifico è quello di criticare sistematicamente il partito al quale non appartengono o del quale non fanno più parte. La « classe intellettuale>> viene ad avere una doppia faccia, conservando però sempre il sy_o profilo; puÒ presentare una maschera cupa come un volto onesto e chiaroveg– gente, può essere un gruppo definito o esistere nella so– cietà solo ·ièr mandato altrui, è se stessa ed altra .cosa, sempre soddisfatta e sempre inquieta, pericolosamente instabile, votata ad ogni perfidia, ai più alti trionfi come alle svolte più insidiose, or'gogliosa e sottomessa nello stesso istante: bisogna sorvegliarla! Questa classe che appartiene ad una nebulosa, si pt,1ò anche definirla più precisamente cOme istituzion.e. E' Proprio un articolo uscito sull'Humanité del Lo giu– gno 1956 che ce lo spiega; l'intellighenzia ha nello Stato, in quello d'oggi come i)l quello cli domani, una strut– tura sua propria: l'Università. co·n tutti gli annessi e connessi. L 0 Università considerata come istituzione e come gerarchia burocratica del· pensiero è in effetti, se– condo tale articolo, « una delle cerniere tra la classe operaia e le classi medie>>. A questo punto l'intellighen– zia veste l'uniforme, si sente funzionaria e si vede in pari tempo destinata a unire le classi medie cui appar– tiene con una classe operaia cui deve disperare di polE;!r appartenere. Questi intellettuali universitari, da onesti mediatori, si attribuiscono una funzione: relativa alla loro struttura dì classe media, alla loro costituzione in casta e all~ loro affinità con le e<posizioni della classe operaja ». Tanto è vero che nel testo· si legge: « i nostri intellettuali hanno la pesante responsabilità, nel quadro della politica generale del Partilo, di raggruppare l'Uni– versità C1ttorno aUa classe operai~ peT la difesa deUa cultura)); « raggruppare >>,e non di più, dato che gli intellettuali debbono restare classe a parte. E infine si assegna .agli intellettuali del PCF questa direttiva: « sul piano politico, portare risolutamente l'Università -a fì,rmco della classe operaia nella lotta per la pace in Al– geria, per il disarmo, per la Ubertà >>,poichè è sottin– teso che_ gli intellettuali, essendo distinti dagli altri, non possono essere che a fianco degli operai, come il lavoro intellettuale resta distinto del lavoro manuale. Non si ammette neanche che gli intellettuali possano lottare per la pace -in Algeria per conto loro: no, essi non pos– sono combattere che per procura, solo a condizione· di es~ere « a fiarico >>della classe operaia, il che, nell'inten– zione dei redattori dell'articolo, significa sotto la dire– ziorle del Partito comunista francese. T ALI sono i termini di questa situazione ambigua: l'in– tellighenzia, in quanto classe inquadrata dall'appa– rato del Partito Comunista, è una classe piccolo-bor– ghese che si porta sulle posizioni dena classe operaia. Ecco la .causa della sua coscienza inquieta e delle pe– riodiche depres~ioni ed esaltazioni a cui si abbandona; è qùesta' la c·ondizione che è necessario· cambiare. A questo punto occorre manifestare la nostra me– raviglia: come ha potuto Sartre, in questi ultimi anni, far propria una concezione di questo genere, oltre ai motivi specifici di confusione che g'.Ii sono connaturati't Rimuginava forse dentro di sé una tematica già aSsai diffusa intorno a lui, e tale da condurlo poco aUa volta al cripto-stalinismo di cui oggi tenta di sbarazzarsi con qua1che giuoco di bussolotti poco brillante, evitando di scendere alla sostanza delle cose? Non è vero, forse, che questo scivolamento gli è stato facilitato da una deter– minata concezione dell'intellettuale, e che solo una buona dose di malafede lo ha spinto a dissimulare tutto ciò'? Dietro la confusione permanente che egli fa tra co– mimjsmo - ossia marxismo - e stalinismo, non si an– nida forse un comodo equivoco derivato dalla sua ideo– logia, che .egli, checché ne dica, cerca di inculcare al movimento operaio'! Certamente, un giuoco di questo genere fton ha potuto· svolgersi senza contraddiziotii, ti~ pensamenti, scandali, e magari rimorsi, ma la direzione seguila non è per questo meno evidente e, quali che siano le posizioni che Sartre ha abbracciato in tempi successivi, ciò è accaduto sempre in nome delle steS'S<' ·idee: l'intellettuale esiste per giudicare quanto è accp– duto, e non per indicare ciò che bisogna !are; riuscire significa provare la verità; fallire è lo stesso che tradi\·e Tutti questi motivi non potevano che farlo cadere poco alla volta in quel fatalismo cripto-staliniano che è stato sì turbato improvvisamente dalla destalinizzazion~ ini– ziata nell'Unione Sovietica, ma solo col resultato di obbligare una volta di più lo stesso Sartre a compiere manovre equivoche. Infatti tutti i suoi colpi, e soprat– tutto quelli più bassi, sono diretti contro coloro che, all'interno del movimento Operaio, denunciavano lo sta– linismo e mettevano a nudo i delitti di quel regime, de– litti che oggi le ·autorità sovietiche sono costrette a ri– conoscere - o 1 a cominciare a riconoscere - come renl– mente accaduti. E ' TRISTE, ma bisogna ammettere 'che quando un Co~f– tade spiega oggi che col.oro che vedevano giusto avé– vano torto di aver ragione, mentre i tiranni avevano ragio– ne di aver torto, non Ia chè utilizzare - riferendovisi esplicitamente, del resto - argomenti trovati più di uqa volta in Sartre o nella De Beauvoir. L'elogio di- un Courtade è un riconoscimento infamante, che Sartre avrebbe dovuto rifiutare con la stesse energia da lui impiegata a stroncare coloro di cui avrebbe almeno do- vuto rjspettare la causa. Courtade, infatti, traduceva- in linguaggio più vol– gare gli argomenti .di Sartre; egli è ca.pace, come d~l resto lo stesso Sartre, di lasciar cadere Stalin, mant~ nendo la riserva, però, 'che, nonostante tutto, Stalin <eaveva ragione di aver torto>>, poiché, allo stesso modo di Sartre, faceva della metafisica intellettuale a propo– sito del processo storico, ed è sempre molto difficile trars.i d'impaccio da un ragionamento assoluto. A lui non bastava la giustificazione di una politica in termini politici: pretendeva di darle un fondamento morale e razionale. Courtade spiegava all'int•zWghenz-ia stalinia.~a che la Jugoslavia era uno Stato fascista e che Tito era un fascista e un agente della polizia americana, ma aveva inoltre bisogno di affermare che questa denuncia dei comunisti. jugoslavi era una manifestazione di onestà inteUettuaie. Scriveva sull'Humanité del 14-7-48: « I no– stri nemici ci accusqno di esser privi di onestà intel– lettuale. Ma quale partito e quali uomini, se non gli «staliniani>>, avrebbero avuto il coraggio e l'onestà (il corsivo è di Courtade) di fare quello che hanno fatlo i partiti coffiunisti in questa occasione? Bisognava essere « staliniani », in verità, bisognava possedere la perspi– cacia e l'esperienza politica "Cli Stalin e del Partito co– munista sovietico per scoprire questa deviazione pre– giudizievole alla causa popolare e, una volta ~copertala, per denunziarla e indicare la strada di una correzione necessaria, per ditncile che fosse. Ecco l'onestà staliniana ed ecco perchè questa qualifica di « staliniani» che i no-• stri nemici ci gettano in faccia come un insulto, noi la rivendichiamo come un merito, dato che nessuna con– siderazione può fermare uno «staliniano>> quando sia in giuoco l'interesse popolare>>. E' vero tuttavia che Sartre non ha mai unito la sua voce al coro dei detrattori di Tito. Prima di scivolare sul piano inclinato dello stalinismo - che oggi cerca (seglte a pag. 4, 1.a Cot.)

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