Nuova Repubblica - anno V - n. 9 - 3 marzo 1957

(t52)'-' nuova repubblica LA RISERVA: DELLAFRANCIA di GIUSEPPE ANDRICH I L MERCATO cosidetto comune è stato visto con sim– patia da coloro che in ogni tentativo di raggruppa– mento di diversi paesi vedono un passo avanti ve1'– so un·effettiva unità internazionale. Ma in questo ie– nere di accordi, è sempre necessario vedere se gli inte– ressi egoistici di ciascun paese non finiscàno per mettere nel nulla i fini superiori che si dovrebbero raggiungere. Un caso tipico di questa mentalità è dato dalla Fran- _ eia, paese di nobili e generose, nonché gloriose ideologie, ma sempre il più restio ad applicarle quando si tratta di estenderle oltre i suoi confiini. La Francia, per esempio, aveva accettato in passato la liberalizzazione degli scambi, ma quando si trattò di porla in atto, essa trovò mille prestesti per esimersi da– gli obblighi contratti, cosicché non solo essa è oggi il, paese che ha la percentuale più bassa di prodotti liberi all'importazione, ma li.a trovato una forma per impedire, mediante l'applicazione di « sovratasse provvisorie», la importazione di molte merci « liberate ». Rimpasto spagnolo (Dis. di DiJ/o JJoschiJ Il governo francese ha clccettato con apparente en- SJiJTTE GIORNI NEL MffNDO UNITA' EUROPEA E AUTONOMIA AFRIC~t\NA G . L'INCONTRI di Parigi fra i capi del governo e i minis'tri degli esteri dei sei paesi interessati. a1la ci'eazione di un mercato comune europeo e del– l'Euratom segnano una tappa importante sulla via ini– ziata in questo dopoguerra per la creazione dell'unità europea. • Due fatti nuovi caratterizzano però la situazione nella quale le intese di massima raggiunte a Parigi sono potute avvenire: l'esclusione di una prospettiva di tipo CED e l'estensione delle forze Politiche e . sociali che, all'iTlterno dei sei paesi, appaiono oggi disposte a favo– rire'--' e a garantire con la loro pre·senza - la forma– zione di organismi europei. La· CED è stata il tallone d'Achille del federalismo di questo dopoguerra. Dal momento in cui l'azione per la creaziorie di una federazione europea si è posta sul terreno della realpotitik, accettando come una situazione favorevole la divisione permanent~ dell'Europa e del mondo in due blocchi ostili e puntando proprio su que– sta divi.Sione per mobilitare attorno all'idea della difesa militare del mondo libero tutte le forze nazionaliste e .conservatrici, da quel momento l'àzione federalista si è inqu'inata, si è esaurita nei contatti fra le cancellerie e i vari ambienti affaristici nazionali, ha fatto affidamento sull'appoggio più o meno larvato e più o meno 'Segreto àei s~rvizi politici delle grandi potenze occidentali, e ha perduto quella libertà di movimento che le sarebbe stata necessaria non appena le potenze, interessate anzitutto a mascherare il 1;iarmo tedesco dietro la comoda facciata dell'esercito europeo, lasciarono tranquillamente insab– biarsi il progetto di Comunità politica europea, ritenendo che questa facciata della facciata del riarmo tedesco fosse solamente d'intralcio al proposito princi{?ale. Ma la liberazione dall'ipoteca della CED ha pure consentito a larghe forze operaie (che, proprio perchè l'europeismo cedista mas~herava una determinata poli– tica d-i potenza, guardavano con diffidenza ogni tipo di azione federalista) di cominciare a interessarsi ai pro– getti di mercato comune e di sfruttamento in comune dell'energia termonucleare, .e di pr;omettere il· loro ap– poggio di massima a questo tipo di politica europeista. Fra queste forze, cospicue perchè assicurano l'apporto effettivo o potenziale della maggioranza della· classe ope– raia, vi sono. la socialdemocrazia tedesca e il partito so– cialista italiano, entrambi favorevoli in linea di massima sia all'Eui;atom che al mercato comune, sia pure a cer– te condizioni e con precise garanzie. Si8 la liberazione dall'ipoteca cedista che l'af)porto di nuove forze operaie a sostégno della politica europeista son9 evident~~nte il prodotto di Una certa distensione fra i due blocchi; ma sono anche la risultante di una maturazione politica che rende permanente la crea'zione delle nuove condizioni favorevoli al rilancio europeo. Noi siamo convinti che, anche se lo sviluppo della politica. sovietica o di quella americana creasse di nuovo uno stato di tensione nel mondo (e in certi periodi e a proposito di certe situazioni, come 1a rivoluzione unghe– rese o l'attacco contro l'Egitto, si è avuto uno stato di tensione non inferiore a quello esistente, per esempio,, nell'epo~a del blocco di Berlino) di~Umente si tente– rebbe di fare dell'europeismo sulla base del presupposto di una divisione perinanente dell'Europa, anzi, come fat– tore di cristallizzazione di questa divisione, e ancor più difficilmente delle forze come la socialdemocrazia tede– sca o il socialismo italiano potrebbero disinteressarsi nuovamente dell'Europa e assumere una posizione astrat– tamente e nazionalmente ·neutralistica o schierarsi col blocco orientale. e IO' NON significa che il bilanciò europeo che sembra varato negli accordi raggiunti a Parigi sia audace o sia interamente positivo. Se sul federalismo della prima maniera pesava l'ip-◊teca della guerra fredda, concreta– tasi sul piano europeo con la CED, sul federalismo ri– lanciato a Parigi, in termini forse più cauti e più rea– listici di quello della prima maniefa, pesa l'ipoteca di un'eredità colonialista che c0stituisce una realtà non eludibile con l'integrazione dei territori d'oltremare nel mercato comune. Noi non riteniamo che si possa ignorare in Europa la realtà africana. Né i territori francesi o belgi d'oltre– mare trarrebbe1 o alcun vantaggio da una rottura brusca e radicale con l'Europa, per conquistare un'indipendenza puramente astratta. L'indipendenza è oggi un fatto eco– nomico almeno quanto un fatto politico. Ma siamo con– vinti altresì che i loro vincoli con l'Europa possano essere saldi e profic-ui solo dopo un'operazione chirurgica del tipo di quella effettuata dai laburisti nei 1947 con l'India Se l'Europa economicamente unita avrà la capacità e la forza di rendere almeno una parte dell'Africa li– bera e unita, il Mediterraneo diventerà un canale di traffici che, nel contribuire a sviluppare le aree depresse africane, apPorterà all'E.urop~ stessç1. il beneficio (a lun– ga scadenza) dì un mercato molto più ampio di quello europeo. Ma se ciò non avverrà, allora rischiamo di es– sere tutti coinvolti in una serie di tragiChe avventure coloniali, in .cui l'Europa finirà dissanguata come già a suo tempo fini dissanguata la Spagna. PAOW VITTORELLl tusiasmo l'idea del mercato ccmune, malgrado le prote– ste di parecchie categorie di industriali e di cop1m~r– cianti; ma le riserve che esso ha fatto, ed ha fatto accet– tare nella conferenza di Parigi tra i pr'=sidenti del consiglio dei sei paesi della « piccola Europa >>, sono tan- te, che la Francia s'è in fondo riservata iÌ diritto di far' parte del mercato comune riservandosene i vantaggi e rifiutandone tutti i rischi e. gli svantaggi. In verità, il mercato comune ha servito alla Francia come un abile pretesto per compiere una manovra di apparente carattere economico e in realtà di carattere squisitamente politico. Offrendo ai cinque altri paesi del– la piccola Europa di prender parte agli investimenti per lo sfruttamento dei suoi territori d'Oltremare, essa aveva di mira soprattutto di garantirsi una certa soli_darietà di quei paesi ~Ila sua attuale politica africana. Questa po– litica africana, divenuta ancor più miope col governo « socialista >> d1 Guy Mollet, non ha più la minima spe– ranza di riuscita, e come nel novembre scorso il governo Mollet cercò di risolver,:la col disperato tentativo di in– ternazionalizzare, almeno a due, il problema, oggi mi– rerebbe a internazionalizzarlo a sei, attirando nell"Africa del Nord i c8pitali di questi paesi. Che questa manovra sia stata o no compresa dai capi di governo riuniti a Parigi, non lo sappiamo. Quel– lo che sappiamo 'è che la Francia non avrebbe nessun , bisogno di ·quegli éliuti economici nei suoi territori di Oltremare, perché essa h::i .disponibili ilTimenSi ·capitali reduci dall'Indocina e anche da quei territori stessi per Ìn Algeria e negli altri paesi dell'Africa ove la situazione i quali chiede l'aiuto estero. Cointeressando i suOi colleghi del mercatO comune sta avviandosi ·allo stesso stato di crisi dell'Algeria, il governo francese -pensa di comprometterli e di obbligarli a concedergli un· aiuto «politico'» per la conservazione di quei territori. Per quanto riguarda particolarmente l'Italia, è stato constatato dagli stessi esponenti del governo italiano che il mercato comune relega all'ultimo posto le que– stioni migratorie, che per il nostro paese sono invece essenziali, e che la Francia si ritiene autorizzatar di chiudere le sue frontiere all'immigrazione· ité'tlìa"na quan– do Io ritiene opportuno. Se oggi la mancanza di mezzo milione di uomini le rende utile introdurre dei lavoratori stranieri, d_omani, a conflitto finito, essa potrà rinviarli senza neppure bisogno di giustificarsi. La questioDe del mercato comune, specialmente nei suoi effetti rispetto alla Francia, è quindi un'operazione che l'Italia deve attentamente valutare; anche a pi"escin– dere dalla veridic7là dei motivi·« ideali >> che l'avrebbero suggerita. Pur senza arrivare alle affermazioni di certi competenti, i quali assicurano che il mercato comune ridurrà rapidamente l'ltalja a un paese di pastorizia, pensiamo che il problema menti un più attento esame davanti al parlamento. L'ECO m.LLA STAMPA UFFICIO DI RITAGLI DA GIORNALI E RIVISTE Direttore: Umberlo Frugiuelc Mi:ano, Via G Compagnoni 28 Corrisp Casr.lla Postale 3549 Tf>lPgr. &ostampa

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