Nuova Repubblica - anno IV - n. 51 - 16 dicembre 1956

. (141) ;n&o'wa·répuliblica DlBA'l'TITI ~ PETO~FI - u Chiedo la parola n J==L=U=C=I =D=E=L=L=A==R=I=B=A=L=T=A===--1 RICCi\RDO di FERNALDO DI GIAMMATTEO A LLA SUA maturità di interprete cinematografico shakespeariano, Laurence Olivier è giunto con un film "orripilante" e quasi grandguignolesco, tratto da una non meno "orripilante" tragedia. Meglio: per intelligenza e forza di attore,. il Riccardo. III supera i limiti della semplice inter.Pretazione e tocca il livello deila creaziOne. ' Dopo un fiero, sottile e patriottico Enrico V, un tor– turato e psicoanalitico Amleto, ecco un satanico e ser– pentino Riccardo. Non si tratta di accademiche eserci– tazioni, in nessuno dei tre casi, né di spettacoli togati e « culturali » come imporrebbe la tradizione del teatro classico inglese. Sono, piuttosto, tre opere che si inne– stano al punto giusto nel vivo dei problemi contem– poranei: direttamente e quasi smaccatamente la prima, nel< 1944, quando urgevano i problemi della vittoria al– leata e dello sbarco in Europa; indirettamente la se– conda, nel 1948, con non trascurabili accenni alle in– certezze degli uomini in un caotico dopoguerra; più genericamente ma forse con maggior t'fficacia la terza, oggi, per sottolineare il feroce machiavellismo cui sog– giacciono le relazioni sociali e umane nel mondo mo– derno. Quest'ultima è la prova definitiva dell'impegno realmente culturale che giustifica le trascrizioni cine– matografiche di Olivier. Non è poco. L'attore e il regista hanno, naturalmente, i loro di– fetti. Che sono grossi e riguardano in particolare il gusto e _ la misura. Se il gusto dell'attore possiede una sicurezza sconcertante, quello del regista oscilla fra una rigida compostezza figu~ativa e i cascami di un volgare eSpressionismo ritardato (le ombre « sinistre » che si pÌ-oiett'ano sui pavimellti e sui muri, le fluttuanti appa– rizioni dei fantasmi-, ecc.). C0sì per la misura, che Olivier troppo spesso dimentica, abbandonandosi alla furia degli episodi raccapriccianti o plateali (le ucci– ·sioni di Clarence e dei due principi bambini, la testa mozza di Hastings, alcuni particolari della battaglia). Ma il difetto fondamentale, stavolta, risiede nel testo, uno fra i più convulsi e disorganici di Shakespeare (se ·ne mette in dubbio perfino la completa paternità), e relle varianti adottate sulla base del rifacimento sette– centesço di Colley Cibber. E' tanta l'accumulazione degli 1 orrori che perfin0 i brani di più intensa verità poetica l:ischian0 di pèrdère mordente, perché soffocati dal mec- 1canismo dell'intrigo, una specie di « romanzo nero» sce– neggiato. Perchè l'ha scelto, allora? C'è una ragione impor– tante, quella che abbiamo detto prima ricordando la « attualità» di Riccardo. Ma c'è una ragione più in– tima e rivelatrice, radicata nella personalità stessa di Olivier, che ·appare incline adt Un certo satanismo di origine letteraria.. Già nell'Amleto era visibile, qui è visibilissimo e più ancora lo sarà n~l Mac~eth _ che ha in animo d~1-are (se gli riuscirà di farlo). In questo, a dire il vero, non sbaglia, giacchè nella espressione del satanismo lo aiutano non soltanto la naturale sen– sibilità ma anche il tipo fisico e, più ancora, i mezzi vocali impostati sui toni freddi e taglienti d'una reci– tazione quasi tutta di testa. Alcuni brani del Riccardo III - gli ,, a parte » con cui il re confida allo spettatore le malvagità che sta per compiere e, per non citar altro,_ la celebre battuta « Il mio regno per un ca– vallo! » - ottengono effetti che a nessun interprete moderno riuscirebbero così tremendi e angosciosi. Ricop·osciamo che questo sarebbe ancora poco se Olivier non sapesse dare una mirabile unità al per– sonaggio. La figura dello sciagurato Plantageneto che semina strage intorno a sé per impadronirsi del potere e conservarlo, non varrebbe nulla se fosse composta di pezzi staccati o di brevi illuminazioni: sar~bbe, al più, apprezzabile come una esibizione di « bel canto». Olivier, invece, costruisce il personaggio secondo una traccia di rigorosa coerenza e gli infonde tanta vitalità da sop– perire anche alle notevoli lacune del testo. Lo sforzo gli è riuscito in modo quasi perfetto, dall'inizio (la scena dell'incoronazione di re Edoardo, ricavata da un'altra tragedia, l'Enrico VI) sino alla fine, dove campeggia la superba intuizione della morte di Riccardo, che s1 divincola furiosamente come un serpe ferito. Molti sa– rebbero gli esempi da fornire lungo questa linea, ma per tutti basterà la doppia scena dell'incontro di Ric– cardo con LadY Anne e della seduzione, ottenuta dal regista ambientando in due luoghi e situazioni diverse l'unica scena scritta da Shakespeare. Tutto ciò, aggiungiamo, non annulla il divario esi– stente fra la lucida impost3.zione del personaggio prin– cipale e la farraginosa atmosfera che nel film avvolge la guerra delle due rose. Né, d'altra parte, possono an– nullarlo la struttura piuttosto anonima della scenografia e l'impiego eccessivamente ricco del colore, cui avrebbe giovato una maggiore aderenza al senso della tragedia (non basta vestire Riccardo di cupo rosso prugna o di rossi ·e neri appaiati per definire il personaggio). Gli squilibri rimangono tali e quali, in piena evidenza. Sem– brano quasi inscindibili dal temperamento del regista e dalle sue intenzioni, come se fosse stato necessario commettere questi errori per poter creare quel perso-– maggio con tanta energia spettacolare. Una strana con– traddizione, dopo tutto, ma una contraddizione innega– bile e chiarissima. Fatta eccezione per John Gielgud (Clarence) e Claire Bloom (Lady Anne), i collaboratori di Olivier sono, chi più chi meno, inferiori al loro compito. Inferiori in mi– sura assai più grande i· volenter-osi doppiatori italiani, i quali hanno però l'attenuante di essere incappati in una traduzione bolsa e talvolta addirittura impronun– ciabile. 7 BIBLIO'l'ECA LA CITTA'- INSORGE e HIUNQUE abbia provato qualche interesse a stu– diare la Resistenza ed abbia tentato, al di là delle generiche esaltazioni e denigrazioni,. di Iare un po' di luce in quello che a noi sembra il centro di tutta la recentissiina storia italiana_. sa quanto sia difficile docu– mentarsi con precisione e con sicurezza sui singoli epi– sodi: libri e documenti o mancano, o sono pressoché introvabili. Il pregio principale di questo volumetto (Aldo De Jaco: La città insorge, RolTla, Editori Riu– niti, 1956), in çui l;A. J;icostruisce con minuziosa fedeltà gli avvenimenti numerosi e caotici delle quattro gior- . nate napoletane, consiste proprio in queSto, che ufla vera mèsse di fatti, finora ignoti o mal noti, si offre qui, per la prima volta, alla conoscenza dello stµ– . dioso. Leggendo il volume, possiamo farci un'idea ab– bastanza chiara di come l'insurrezione si preparò, esplose e si estese, e ci accorgiamo che l'autore non ha solo consultato ·tutta la letteratura esistente sull'argomento, ma ha anche, evidentemente, raccolto i ricordi di quei giorni dalla vfva voce di chi partecipò o assisté alla rivolta. Il De Jaco accoppia d'altronde all'abbondanza della documentazione notevoli doti di scrittore: l'ingiustificata ferocia nazista, la travolgente ribellione popolare, il martirio della città trovano in lui un eloquente ed abile narratore. La sua prosa sa, a volte, suggerire l'atmosfera pesante della città occupata, evocare la de– solaziorie delle sue piazze deserte e delle sue vie per– corse dal passo concitato e Pesante dei tedeschi, scolpire in essenziale brevità i ritratti dei suoi martiri. Eppure il libro finisce, per altro rispetto, col la– sciarci insoddisfatti. Il fatto è che l'evidenza delJa nar– razione non riesce da sola a soddisfare il bisogno di qualcosa di più che una semplice rievocazione di fatti: qu~llo che chiediamo ad un libro come questo è, prima di tutto, una precisa valutazione storica; perché, ren– derci conto con esattezza di quello che fu la Resistenza - se fu consapevole insurrezione o ribellione passiÒ– nale, restaurazione o rivoluzione, fenomeno concluso in se stesso, o avvio ad azione futura, ·e se fu piuttosto tutto questo insieme, e. in che limiti -, comprendere a fondo la Resistenza, nelle sue cause e nei suoi esiti, è la condizione essenziale per capire quali siano gli obiettivi a cui noi possiamo e dobbiamo tendere con l'opera nostra di oggi. Ma è proprio a questa valutazione, che il De Jaco sembra sottrarsi; anzi, il giudiz.io che una o due volte (pag, 197 e pag. 301) ne dà di sfuggita, secondo cui la rivolta napoletana sarebbe qualcosa di più che uno scoppio incontrollato e veemente di furore, ci sembra infondato. Noi pensiamo infatti che il popolo napo– letano, sentito come non fosse ormai più possibile elu– dere il pericolo incombente, non ebbe fini politici pre– cisi da raggiungere, quanto una vita, se pur misera, da salvare. E ne siamo convinti, non solo perché sa– rebbe altrimenti impossibile spiegarci come da quél– l'eroica rivqlta si sia giunti ad una situazione così scon– fortante come l'attuale schiacciante maggioranza laurina, ma anche e soprattutto perché un'attenta analisi dei fatti di quei giorni non può non confermarci :1ella nostra tesi. E' d'altronde questo libro stesso a darcene con– ferma, ché in queste pagine s-i trovano uccisionj e ra– pine, atti di eroismo e nobili sacrifici, ma non emerge quasi mai una coscienza politica capace di guidare ve– ramente l'azione. Qua è là si muovono gruppi di operai comunisti, qualche intellettuale crociano, qualche stu– dente, ma la massa dei martiri napoletani è fatta di povere donne colpite a bruciapelo da una pistola te– desca mentre fanno la fila davanti a uno spaccio di pane o davanti a una fontanella, di ragazzi sbranati dalle baionette hitleÌ-iane mentre tremanti si stringono al padre, di vecchi' contadini falciati dalla mitraglia degli invasori mentre raccolgono un po' di patate o un po' d'erba in un campo. Se dunque il libro ha un difetto, sta proprio in questo, che narrazione e valutazi0ne storica sono in contrasto fra loro e generano una sorta d'a_mbigtiità che confonde il lettor;e. Tuttavia, nonostante le parole della prefa– zione, si ha l'impressione che esso voglia essere più una cronaca e una rievocazione che un'opera storica: e in questi limiti si tratta indubbiamente di un lavoro fatto con cura ed amore, di una lettura, perciò, interessante e Utilissima. MARIO MARTELLI Al prossimo numero la continuazione del saggio di G. D. H. Cole, "Rilancio del socialismo mondiale,,

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