Nuova Repubblica - anno III - n.28 - 18 settembre 1955

(76) nuova repubblica IL FESTIVAL DEL CINEMA LATORTA D·IVIS.A di LUDOVICO ZORZl L A SECONDA SETTIMANA di proiezioni si è aperta con l'esordio cleÌla Germania occidentale. Esordio quanto mai significativo, se non sul' piano artistico,. su quello psicologico: un fedele paradigma dello stato di animo incerto e contraddittorio con cui la cinematografia tedesca si riaffaccia alla ribalta internazionale dopo la pa- 1·entesi degli anni-zero sncceduti alla guerra. Il film pre– sçelto, Des '1.'eu/els General ( « Il generale del diavolo >), un bianconero diretto con innegabile impegno da I-Ielmut J<aentner, raccontn i casi di I-Ianas, un alto J?apavero della Luftwaffe, partendo dal momento in cui, .dentro il gallo– natissimo be1Tetto cli ènstui, e pe,· il solo fatto che un certo numero di Stukas concludono le picchiate infrangendosi di– rettamente al . uolo, comincia a insinuarsi il sospetto che il regime nazista, in n1erito a questi aeroplani mal co– stn,iti, menta spudoratamente per salvare una determinata cricca. Con generalesco lealismo e candore, ha la dabbe– naggine di esprimere i suoi dubbi durante un festino in onore del collega colonnello Eilers (che rientra in famiglia dopo un periodo di eroici bombardamenti), senza subodo– rare che le terribili , 'S banno installato nella stanza un apparecchio sul quale vengono registrate le chiacchiere de– gli invitati: comprese le parole di compianto - un po' di mea culpa anche per i crimini razziali non guasta mai - per due coniugi ebrei prossimi ad essere deportati in un campo di sterminio. Ce n'è abbastanza perché il prods generale, appena tornato a casa, abbia la sorpresa di ve– dersi prelevare dalle bieche SS e l'inchiudere in gattabuia per diversi giorni, con la prospettiva cli essere fucilato da un momento nll'altro. Invece, quando già si aspetta di esse,·e condotto al m Lll'O, viene tradotto al cospetto clell'in– siclioso comandante delle SS Schmiclt-Lausitz, il quale, dopo avere invano tentato di guadagnarlo a una più ri– gorosa ortodossia nazjsta, trova più conveniente, in con• siclernzione della sua utilità aviatoria, rimettedo provvi– soriamente in libertà. 'Seccatissimo per il trattamento ri– cevuto, del tutto indegno di un generale tedesco, il nostro 'l.'eu/el sente per la prima volta vacillare la sua fede in Hitler. Poco dopo, il decesso dell'adorato amico· Eilers, ri– masto vittima di uno di quei maledetti aeroplani, gliela fa perdere ciel tutto. Arriva al puntò di spianare la pi– stola. sotto il naso dell'oclioso Schmidt-Lausitz, ma in– vece di far lo debitamente fuori, non trova di meglio, per manifesta.re la sua protesta contro il regime, che salire an– che lui a b ordo di uno di quei dannati apparecchi malco– stnùti, incontrando così volontariamente la morte, fulgido esempio di dedizione al dovere e delle più alte virtù mi– litari della stirpe. C I SIAMO apposta dilungati a riferire la trama del film, percbè non è èe1-to con queste giaculatorie a base di generali e colonnelli del diavolo che i tedeschi riusciranno a convincerci della sincerità del loro confiteor, specie gio– cando, con gusto e scaltrezza discutibili, su una discrimi– nazione tra le responsabilità dei leali soldati della Wehr– macht e quelle dei subdoli scberani delle SS. Questa della_ pseucloresistenza dei generali tedeschi al nazismo, almeno finché proposta nei termini semplicistici del film, è una storia destinata a non convincere nessuno. Al massimo (nonostante il pezzo di bravma dell'interprete principale, Curd Juergens) serve a fare un film come questo, osses- sivo, sterile e noioso con,e un vizio solitai·io. . Anche quest'a.nno aspettavamo a pie' fermo l'imman– cabile film francese sadico e atroce, cbe in(atti è pun– tualmente arrivato con Les héros sont /atigués cli Yves Gampi. Il « maledetto» cli turno si rifà stavolta (più che alla, casistica giudiziaria, per così dire, 111etropolitana, di• vulgata dall'avv. Cayatte), agli orrori «coloniali~ venuti cli moda da qualche anno a questa parte, dopo Le salaire de la pw,· cli Clouzot.- Non altro ci dicono gli sporchi eroi di Ciampi, che )ungo una filza di caricature, vuoi ciniche, vuoi crudelmente patetiche, vuoi pansessualistiche, vuoi soltanto bassamente immorali, vorrebbero farci prendere per buona la solita storia di tre o quattro farabutti, com– promessi politicamente in Europa e riparati oltremare (in Sudamerica o in Africa fa lo stesso), i quali, dopo al– ~rne vicenze e mascalzonate reciproche, finiscono per sbra– narsi coscienziosamente tra loro per il possesso del mal– loppo (nel nostro caso il « grisbi » è una borsa cli dia– manti sudafricani). Il bello è che frottole di questo genere (un «genere> che poi è una variante appena corretta del mito della legione straniera), ci vengono gabellate come prodotti del più puro realismo artistico; pare· infatti che il. Ciampi, per il suo film, si sia ispirato a un reportage della scrittt·ice Christine Garnier dall'Africa occidentale francese, ma con questo procedimento: dopo essersi a sua volta trasferito laggiù con i suoi collaboratori, il regista ha ricostruito in uno studio di J oinville un immaginario paese sudafricano, persuaso che il miglior realismo cine– matografico è quello che si può ricostru.ire nei teatri di posa, « car, aussi paradoxai que cela puisse paraitre, le cinérna p,end par-fois de mauvaises habitudes à pbotogra– fi~r la realité >. Opinioni. Dal punto di vista della confe- 7 ---- -. ---- . ~::~~i~ ' '1 IL PROBLEMA SVISCERATO - « Lei cerca il dialogo! ». ( Di stono di GaoJ zione tecnica, il film mostra pecche adeguate al fondo della sua ispirazione. Il falso folklorismo delle celebrazioni in– digene del Natale, per es., ricalca a filo doppio il car– nevale della Pasqua messicana, descritto in un altro fil. mastro del genere, il « maledetto > di turno alla Mostra di due anni fa: Les orgueilleux di Yves Allégret. Preceduto da una burrasca di pioggia e vento che ha reso d'un colpo ancora più squallido e desolato il pano– rama del Lido, spazzando, con i brandelli stra.pazzati e svolazzanti dei manifesti, anche l'ultima sopravvivenza della mondanità balneare di fine-estate, è apparso sul grande schermo del Palazzo del Cinema il mielato e caramel– loso cinemascope in eastmancolor lntern,pted melody, di– retto banalmente da Cmtis Bernhrdt, il film chiamato a sostituire, per volontà della signora Luce, il ben diverso Blackboard Jungle. Con questo film la Mostra ha toccato il Uvello più basso di questa sedicesima. edizione e di molte precedenti. Film di pura cassetta, del tutto degno del fu– mettistico titolo di Oltre il destino, col quale \'errà pro– pinato agli stÌ'!'tj inlel'iori del pubblico cinematografico. D OPO AVER appena ricordato la scialba prova di De– lannoy con Ghiens perdiis sans collier, opera gracile e, si direbbe, alquanto affrettata e sommaria del pur forte Tegista francese; dopo il fastoso Boris Godunov cli \'era Stroeva, film cli produzione russa, notevole solo sul piano musicale, soprattutto per la musica di Mussorgsky; dopo avere segnalato la comparsa in anteprima (fuori concorso) dell'esordiente Franco Brusati con Il padrone sono me!, che ricalca abbastanza fedelmente il qualunquismo ante littemm del romanzo di Alfredo Panzini (gloria letteraria del ventennio, i;,on senza ragione oggi dimenticata), venia– mo a discorrere degli ultimi due film della selezione ita– liana t1fficiale, Le amiche di Michelangelo Antonioni e l'at– tesissimo Il bidone di Federico Fellini. Il film cli Antoniani 1·iprende il tema della cormzione dell'alta borghesia itaUana, caro a questo regista (che ha dato con Cronaca di un a,no1·e una delle opere più sicure della cosiddetta scuola neorealistica). La vicenda traduce sullo schermo uno degìi ultimi disperati racconti di Cesare Pavese, il '1.'radonne sole de La bella estate, con una fe– deltà che è un segno dell'evidenza già «cinematografica» implicita nel tessuto nanativo dello scrittore. Merito del regista, comunque, l'avei· saputo trarre intenso partito da un realismo tanto eloquente e doloroso. La linea sulla quale Antoniani ha riletto Pavese è quella del racconto psicolo– gico e di costume, calato in un ambiente profondamente caratterizzato e definibile: la Torino edonistica, malinco– njca e un po' cinica della « buona società», che fa eia $foiiclo determinante al romanzo. Il film, realizzato con la consueta misura e abilità tecnica per quanto riguarda la fo– tografia, il comrnento musicale, il montaggio ecc., si avvale purt.roppo di interpreti di classe molto modesta, specie tra i giovani; ed è un sintomo dei risultati sempre più sca– denti cui finirà per condurre l'andazzo divaiolo oggi cor- 1·ente nel reclutamento e nella formazione professionale cli attori e soprattutto di attrici, reclutate per la maggior parte ai concorsi di bellezza anziché ai corso del Centro Sperimentale. Quanto al film di Fellini, non condividiamo gli entu– siasmi incondizionati del pubblico e di coloro che hanno visto Il bidone il capolavoro del regista rorna,gnolo. A par– te l'intelligenza e la singolarità del soggetto, il film in– corre spesso in ripetizioni e denuncia contjnua111ente una sOJta di spietata freddezza programmatica, di non cordia– lità umana, al limite del sadismo. Splendide invece le in– terpretazioni di Broderick Crawford e cli Richard Basehart nelle vesti di due dei principali « bidonatori ». Questo del Fellini, resta comunque un'opera cli evidentissima classe. E finalmente, sabato 10 settembre, la premiazione. Il Leone d'oro è stato assegnato, come si sa, a Dreyer, con una formula (dice il. verbale': « all'opera e alla vita d'ar– tista di C.T. Dreyer • Ordet >) che sembra rispecchiare le perplessità di una parte della c,;tica, e forse della stessa giuria, sull'effetti,·a portata artistica del film. li primo Leone d'argento (anche l'ordine di successione dei secondi premi ha a Venezia importanza notevole) è andato al so– vietico Pop,..ig"Ugna («La cicala>) di Samsonov. Dei due film s~ è detto nel numero scorso, e nulla vi è sostanzial– mente da obiettare circa l'assegnazione di questi due pri– mi premi (si trattava in realtà di una scelta pressoché ob– bligata, dato il resto dei film esposti). Il dissenso co– mincia invece daU'assegnazione del secondo Leone d'ar– gento all'americano 'Che big kni/e («Il grande - o lungo - coltello») cli Alclriclge, un film proiettato nel pomerig– gio del giorno della premiazione: interessante, se si vuole, per i suoi strettissimi rapporti con la tecnica teatrale (si potrnbbe parlare di una ripresa diretta dal palcoscenico di una nota commedia di Clifford Odets); notevole ucr l'aper– ta critica a ce,-ti sistemi cli produzione hollywoodiana (fatto interessante è che il film, come Fronte del porto, è cli pro– duzione «indipendente>), ma nel complesso nettamente in– feriore ad altre opere pres~ntate nel corso della rassegna. Fermo restando il giuclizio positi\'O. sul terzo Leone d'ar– gento, attribuito a Le a.miche di Antoniani, è un fatto che sia il premio· al film amel'icano, sia quello all'olandese Giske de rat («Muso di topo») per la regìa del tedesco Staudte (al quale è toccato il quarto ed ultimo Leo~e, e di cui pn,·e si è già parlato), sono chiaramente il frutto di un compron,esso tra un criterio di selezione artistica e una volontii di segnalare due cinematografie, l'una pode– rosamente affermata, l'alb·a appena esordiente, rimanendo nell'ambito della loro dive,·sa importanza (attuale o po– tenziale) nel campo strettamente industriale. Altrettanto si potrebbe dire dei premi supplementari, un certo numero di medaglie assegnate ai registi esordienti, rispettivamente Astmc, Krska, Fairchilcl, Maselli e Munk. Anche qui, se sulla menzione a Ma.~elli si può essere tutti più o meno consenzienti, la segnalazione degli altri registi lascia adito a parecchi dubbi, sia per Astn,c, autore del mediocrissimo Les 1nauvaises rencontres, sia per il polacco Munk, il cui film Gli uomini della cmce azzw-ra ha pregi appena docu– mentaristici,. sia per gli altri che presentano pregi più che modest;. E ' EVIDENTE, insomma., la pi·eoccupazione dj aver vo– luto conn1nqne Accontentare varie cinen1atografie, escluse dai premi maggiori, con criteri di scelta accettabili in sede di opportunità politica (chiaro l'innusso dello « spirito cli Ginevra»), ma assolutamente censurabili in sede di val'utazione artistica e tecnica. Discutibile l'asse– gnazione della coppa per il migliore attore al tedesco Juergens, anteposto (sempra per un principio distribu– tivo), per es. all'ottimo Crawforcl. E in· effetti, dei molti rilievi che anche quest'anno sarebbero da muo\>ere all'ope– rato della giuria, vorremmo segnalare almeno il maggiore, che resta legato all'equivoca fisionomia assunta dalla Mo– ·stra veneziana. La più gran parte dei film presentati in concorso (per non contare l'infìnità di proiezioni accessorie: tra personali, retrospettive, visioni private e opere fuori concorso sono stati proiettati in venti giorni non meno di un centinaio di film, documentari e mediometraggi) erano completamente fuori posto in una mostra d'arte. Si dice: bisogna modificare il regolamento di accettazione, la giuria deve scegliere al massimo quindici film e con vari mesi di anticipo, perché non abbiano a ripetersi gli inci– denti di quest'anno (ritiro di Blackboard J,ingle; ritiro della delegazione spagnola; ritiro del film cecoslovacco sul– la vita del riformatore Jan I-Iuss, giudicato pericoloso per il suo contenuto religioso). Si dice: bisogna decidersi alla creazione cli una n1ostra-mercato, da affiancare magari a quella d'arte, dedicandovi tutte lè proiezioni pomeridiane.· Si dice. Oppure dovremmo malinconicamente dar ragione a coloro che vedono nel cinema solo una colossale monta– tura industriale, sulla quale l'opera d'arte incide in misura del tutto irrisoria? ,-

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