Nuova Repubblica - anno III - n. 21 - 31 luglio 1955

!l f___ I _'l'_A_I_J I_· A;____p_· _O_L_I_T_I_C_A __ / FANPANIE l~Al~UNA e ONCFTJUSA LA CON.FERENZA di Ginevra, alla quale l'Jtalia avéva mandato un suo ossen·atore nella -persona del conte Magistrati, era giusto attendersi, da parte ciel governo italiano, ufficiale od ufficiosa, una presa cli posizione. Nessuna cfelle conclusioni dì Ginevra ci è estranea, ciascuna pone dei problemi specifici alla nostra politica estera. L'e\'entualità della riduzione degli arma– menti altera le attuali condizioni cli rapporto fm,m:oiario tra l'Italia e la NATO; dal punto di vista politico, pro– muove, come più urgente, l'istanza della nostra ammis: sione all'ONU, affinchò non si resti totalmente estrane~ all'elaborazione delle condizioni stesse della politica di disarmo. Ls,, stessa questione della riunificazione tedesca non ci è indifferente, dal momento che siamo legati, cume potenza fondatrice, all'UEO, e ind,,bbiamente, nella sospen– sione in cui sono rimaste le cos9, il rapporto tra il riarmo della Germania e la sua unificazione resta aperto alla cliscussione; quanto ad un sistema di sicGrezza emopa - sia che debba valere la formula a cinque, cli Eden, rispetto ali,; quale ci troveremmo ridotti sulla soglia come quasi tutti gli altri paesi d'Europa, sia che prevalga quella a venticinque, alla maniera proposta da Bulganin, in cui sarpmmo inclusi, ma secondo una lormula che resta com– pletamente da precisare - ci sembra che l'Italia non possa non avere qualche preferenza da proporre, e da prospettare non solo negli interessi suoi, ma anche cli altri paesi. La pochezza della nostra direzione cli politica estera ci è apparsa invece pa.lma.-e dinanzi alla perfetts,, assenr.a di opinioni del governo italiano. Certo, il presidente del con– siglio ha fatto subito capire che stimava la Conlerenza di Ginevra una bella cosa: ma per ora non è andato al di là di un generico apprezzamento. Più acuto, per fortuna, è stato l'on. Fanfani: il quale ha giudicato la conferenza da tre p1w1tidi vista: quello del cristiano, quello del democratico, e quello degli scambi. Ne ha dimenticato per l'appunto uno solo; il solo però, che avesse importanza: l'angolo visuale della politica estera italiana. Tutto il ragionamentino di Fanfani rivela il carattere scolastico di questa intelligenza. ù0me cristiano, il segretario del pa,·tito di maggioranza re– lativa intravvede nell'incontro dei Grandi una prima ap– plicazione del monito natalizio del Santo Padre. Come de– moc-ratico si rallegra che il dialogo sia stato un dialogo e non una rissa; con1e econmnista, pensa che, se viene la pace, siano possibili più intensi scambi nel mondo, e ne tragga -----profitto anche questo paese. Il cliscorsetto non fa una grinza; ha il solo guaio che in questi identici termini avrebbe potuto parlare un cittadino di qualsiasi paese non pagano. Esso rivela la totale insensibilità dell'uomo e ciel partito alla politica internazionale. Diciamo anche del par– tito, perchè in realtà le democrazie cristiane non hanno mai concepito, come propria iniziatiYa, se non quella po– litica cH compattezza europeistica che un emerito collega d!)l nostro, il ministro tedesco degli esteri von Brenta.no, non ha cessato di contrapporre, ancorn in data 10 !tiglio (otto giorni prima dell'incontro di Ginevra: proprio lui ohe dovrà recarsi a Mosca con Adenauer), all'orda di « no– madi pagani> che avanza da Oriente. Per il resto, l'on. Fanfani ha finito con una battuta di saggezza popolare: .: se son rose fioriranno». Non per scetticismo, beninteso; ma perché l'albero si riconosce dai suoi frutti, e dobbiamo attendere, a giudicare Ginevra, di vedere che cosa ne sa– pranno ricavare i ministri degli esteri, alla conferenza cli ottobre. B A noi francamente dispiace questa estrema leggerezza o scipitaggine nel trattare le cose della politica estera. Abbiamo detto che Fanlani parlava di Ginevra come della l~na: come di eventi, cioè, che non riguarclassel'O la po– litica italiana. C'è qualche cosa di peggio. Questo citare, in tale settore, solo e sempre (così, infatti, in ogni ac– cenno di politica estera del leader) il Papa, è segno di estrema provincialità. Non perché il Pa.pa non sia. quel personaggio universalmente a.~coltato che tutti sappiamo; ma perché questa riduzione dell'indirizzo politico italiano ad un'autorità non politica, anziché alle conenti d'opi– nione italiane, dà a vedere che le cose d'Italia non c'è propriamente bisogno di trattarle col governo italiano, ma che basta, agli altri paesi, e,ssere rappresentati presso la Chiesa. Il « fanfanismo > dir,ostra ogni giorno di più il suo valore e i suoi limiti; e •'g1scia prevedere, ad ogni espe– ri-enza, che questi siano moì!ìo più pesanti di quanto quello non sia vitale e creatore. C:è un altro aspetto di Ginevra de l quale in Italia non si è ancora incominciato a parla.re , ma di cui non dovrebbe essere difficile prevedere la prossima attualità. Ed è. che, col declino della guena fredda, sono portate ad esaurirsi persone, col'l'enti, indirizzi, che della guerra fredda erano il mero frutto. Già questo discorso eone, per altri paesi, sulle bocche dei commentatori più accorti. Il 20 scorso, l'editorialista di un giornale perfettamente mode– rato, come la Siiddeutsche Zeitttn(I, già scrive tranquH– la:mente che l'avvicinamento di Russia ed Amedea mette in ombra il valore politico rappresentato per la Germania dalla persona di Aclenauer; due giorni dopo, Le monde scrive in tutte lettere che Adenauer non è che un « pro– dotto della guerra fredda»; il caso vuole che il giornale teclei!co che abbiamo ricordato, con bella lealtà, adope– rasse la medesima espressione, nientemente, che per il « miracolo tedesco> dell'economia di questo dopoguerra. Questo dimostra cl)e vi sono opinioni pubbliche tese eçl 1>ttente, ed opinioni pubbliche svagate e distratte. Ma poco importa: ciò che è nell'ordine dei fatti, venga prima o dopo alla coscienza pubblica, si imponga alla previsione, o sia passivamente vissuto sotto la specie delle « cns1 », si veri(ica egualn1ente: forse con tanto maggiore in1ponenza, quanto più si è tardato a riconoscerne l'ineluttabilità. Le democrazie cristiane sono poste in causa dalle con– clusioni cli Ginevra, perché, senza una profonda ragione ideale della loro egemonia, si sono tuttavia imposte in questo dopoguerra, in Italia e in Germania, come « pro– dotti della guerra fredda». Esse hanno rapprnsentato in– fatti, sui fronti interni, quella stabilizzazione dello statu quo, che si richiedeva nel periodo di una lunga attesa, di una lunga sospensione, tra le scelte del conservatori– smo e quelle ciel socialismo. Esse sono state quindi un por– tato, non una soluzione della guerra fredda. NeJ-la prova che tutti i paesi usciti dalla guerra avrebbero' offerto, circa la loro capacità di ritrovare le linee maestre delle loro trad:~ioni statali, o di rinnovarle in relazione alle nuove esigenze maturate durante le stess e esperienze della guerra, le democrazie cristiane oflriva.no un alibi alla de– cis~one politica, tenendosi o muovendosi su due piani eva– sivi: quello dello Stato come « posizione» di sostegno e di presidio della Chiesa e quello della ricostituzione cli regimi economici che 1·ibadissel'O il principio, caro al magistero della Chiesa, della intangibilità della proprietà privata. I N NESSUN MOMENTO esse sono state dav,·ero Concia– trici di democrazia: la accettabilità e anzi la plausi– bilità delle loro egemonie stava soprattutto rn;l fatto che altre forze politiche più decisamente reazionarie, o in– novatrici, erano egualmente contenute dalla guerra fredda. Che poi questi partiti di moderata conservazione potes– sero anche amministrare passabilmente, questo non dipen– deva da loro: le classi d'amministrazione sono, in tutti i paesi dove c'è stata espe,·ienza democristiana, e partico– larmente in Italia e in Germania, apolitiche, e disposte a servire, secondo la correttezza delle rispettive tradizioni, a qualsiasi regime e indirizzo politico. Le democrazie cri– stiane non avevano bisogno di esibire un particola.re an– tifascismo, perché questo. era nei latti: fascismo e nazismo erano stati sconfitti. Esibi,vano invece il più fiero anti- LE'l'TERE AL ~ ~Dire Ta verità è rivoluzionario FIRENZE, luglio Caro direttore, mi sembra che Nino I:aia nella sua lettera alla dire– zione, pubblicata nel n. 19 di N.R., abbia centrato il pro• blema ideologicò che sta alla base cli tutte le crisi socia– liste dalla Rivoluzione d'ottobre in poi. Egli dice: la si– tua:oione internazionale non consente soluzioni rivoluziona– rie ai problemi di casa nostra. Ciò non significa abbando– narsi alle soluzione rinunciatarie della socialdemocr!V.<ia in genere. Anche nel caso - come il nostro - in cui per il socialismo si pone esclusivamente un problema cli trasfor– mazione democratica, tale trasformazione deve esser~ in– trapresa e condotta in senso rivoluzionario, cioè cli-rottura col passato. Rottura col nostro passato: fascista, 1·eazio– nario, clericale, borbonico - ché pmtroppo l'Italia altro non ba conosciuto - in quanto si tratta ancora di realiz– zare la repubblica democratica, quella forma di stato cioè che, secondo Engels, è l'anticamera necessaria per le rea– lizzazioni socialiste. Ora, se è ancora giusto per i socialisti il eletto che l'Ordine Nuovo cli Gramsci portava in manchette: « cifre la ve,·itù è rivoluzionario», il PSI è pt1rtroppo il partito meno rivoluzionario del paese, in quanto dalla Liberazione in poi, in questi dieci anni perduti, esso si è sempre ,·i– fiutato di dire la verità, accettando come vangelo le « ve– rità:> di Mosca. Là non partecipazione della base operaia alla politica del partito, l'assenza di 1cmademocrazia inter– na, l'intolleranza e il conformismo more comunista contro ogni forma cli spregiudicatezza ideologica, tolgono al PSI ogni parvenza di spirito rivoluzionario. Quando lo Isaia afferma che il PSI al congresso cli Torino ha indicato al paese la strada di una trasforma– zione democratica, mi sembra che non abbia valu– tato attentamente il grosso problema che - in Italia - si trova al fondo di ogni questione politica: il problema della Chiesa cattolica. Con abbastanza superficialità, sempre secondo il si– stema astratto dei comunisti, il PSI ha creduto di risolvere il problema ideologico intrinseco al problema dell'incon– tro con i cattolici - ignorandolo. Noi non crediamo che i socialisti abbiano definitivamente gettato alle ortiche ogni principio la.icistico, ma certo negli ultimi tempi essi hanno dato l'impressione che ben volentieri mollerebbero Istru• zione e Giustizia a qualche monsignore (anche se in pan– taloni) in cambio di un piatto di lenticchie di riforme SO• ciali. Sarebbe il modo - questo - di dar vittoria com• piota ai clericali. L'integralismo cattolico non pretende al• tro che il monopolio politico dello Stato, anche se le cir– costanze costringono a· conceder~ qualcosa sul piano econo• mico-sociale. I savonaroliani della ne· - si sa - sono nuova repuhblica con1t1nis1uo, non solo porché il socia1isn10 era oggi il ne– mico ideologico tipico, come era stato un tempo il libe– ralismo; ma p~rché, senza il comunismo, il loro potere po– litico avrebbe immediatamente perduto ogni ragion d'es– sere, e la religione sarebbe risalita alla sua autentica con– dizione, che è soteriologica, non politica né amministra– tiva. Il peggio che Cosse quindi potuto capitare a questi pa,·titi sarebbe stato proprio quello che sta accadendo: il verificarsi del dualismo teòlogicci tra civiltà occidentale e mondo collettivistico, tra capitalismo e comunismo. Per– ché una volta che queste due formule abbiano accettato di confrontal'Si nei loro effetti, anziché di aggredirsi in un prncesso alle intenzioni, come ~arebbe ancora possibile ai partiti cattolici inserirsi, con la potenza e insieme con la degradazione della religione, entro quell' « infinito :> che è costittùto dalla indeterminatezza delle azioni possibili, at– tribuito all'una o all'altra delle due parti, in quanto ac– cusate di totalitarismo? Alle Chiese non resta che tornare sul loro piano, che è quello dell'infinito della lede, non del finito della politica. Potrebbero allom riacquistare la loro maestà sulle coscienze, tanto più agevolmente quanto più puro avessero mantenuto il loro prestigio. Questo, crediamo, non è allatto un discorso anticleri– cale; è la constatazione degli el(etti normali della guerra fredda e della coesistenza appena iniziata a Ginevra. Non a torto il Pontefice ha constatato, con amarezza, come gli uomini si fossero, nelle settimane scorse, dimostrati più sensibili alla paura fisica, suscitata dal messaggio Ein– stein-Russe!, che non al suo monito contro le armi nucleari, in nome dell'amore divino che l'uomo deve all'uomo. In quel momento, la parola del Papa ha ripreso la s11~ piena natma religiosa, prececlenclo di un lungo tratto la sen– sibilità dei politici che parlano in suo nome. Quando !'on. Fanlani cita il Papa, e i suoi moniti internazionali, per esimersi dal pensare da solo una poli– tica estera, mostra di non essersi rnso conto del valore religioso che la Cbiess,, attribuisce ancora a se stessa, sapendo che tanto sarà c,·cduta quanto essa stessa crede alla sua missione. Ma il cristiano pigro, che coglie la lettera e non lo spirito, e tenta la buona organizzazione del suo partito, ma neppure si propone la questione, così decisiva per un cristiano, della radicalità delle scelte per l'intera comu– nità, e attende che altri ci pensi, riservandosi di giudi– care che cosa sapranno « tecnicamente» prodmre, que– st'uomo rischia di essere debole come politico, e poco incisivo anche come cristiano. Come era stato « portato > dai tempi, così i tempi lo deporranno. ALADINO DIR E'f TOR E dispostissimi a concederci il comunismo integrale, pmchè noi concediamo loro l'anima nostra. Proprio in questi gior– ni abbiamo avuto il piacere di conoscere un gustoso fo– glietto clericale e .fascista, finanziato da non so quale curia arcivescovile, che porta come significativo sottotitolo: « In– staurare omnia in Christo ». Omnia, anche le Ì·ilorme eco– nomiche richieste dai socialisti. Il guaio cli tutto questo è che il PSI non ha mai espresso una sua politica, non ha mai dato ai problemi po– litici sue soluzioni ed ha troppo dimenticato la sua glo– riosa tradizione rivoluzionari~, democratica e laica .• 11 par– tito al quale ci auguriamo cli cuore cli poter aderire in un prossimo futuro - poiché solo in un organismo di massa, a. contatto cioé delle lotte operaie, ci sentiremo a nostro agio - noi chiediamo di chiarire in modo concreto e de– finitivo, innanzi tutto a se . tesso, i problemi che presie– dono alla crisi della democrazia in Italia. Tali problemi sono: rapporti politici con i comunisti, rapporti con le forze cattoliche a.lla luce dei principii del laicismo, rapporti con i movimenti socialisti autonomi che hanno rappresentato in questi ultimi anni la crisi angosciosa in cui si dibatte il socialismo e allo stesso tempo la sincera, fedele adesione ai principii e alle lotte del movimento operaio. Una ultima preoccupazione - anch'essa di ordine ideologico - vorremmo far presente ai compagni del PSI. Dal momento che anche l'ordinamento capitalistico può assicurare un modo cli vita «decente» alle classi lavora– trici,. dal momento cioè che nel sistema borghese il tenore di vita delle classi operaie migliora, il socialismo, nella sua azione politica, deve far leva non solo su motivi di ordine strettamente economicistico (che contribuirono potente– mente, nel secolo scorso, a dare una coscienza cli classe alle plebi abbrutite dallo sfruttamento) ma anche su argomenti di carattere etico, fare cioè della questione sociale e del problema dell'uguaglianza una tota.le concezione cli iustice. Insistendo ancora sui motivi esclusiv amente economici, le 1·ecenti sconfttte di Torino - ove gli operai al primo segno cli crisi economica (la minaccia della Luce cli «tagliare» le commesse americane) votano per i sindacati padronali - si renderanno inevitabili. La coscienza cli classe ha va– lore quando essa è insieme anche coscienza morale e po– litica. La sola coscienza di classe rischia di essere abbattuta dalla più facile politica « lambrettista» condotta dalle clas– si dirigenti. Ciò non significa cancellare - come Bernstein e tutto il revisionismo - quei confini di classe ben -delimi– tati fra l'insieme del proletariato che non detiene i mezzi di produzione e la borghesia che li detiene, ma significa dare una coscienza politica ad una condizione cli classe, Un movimento rivoluzionario che si oppone ad una determinata società e inte11de superarla, deve porsi in pri– mo luogo in una posizione morale e politica superiore a quella che intende sostituire. Ed è in questa superiorità che il socialismo può porsi davanti alla società capitalistica in Iuniiono eminentemente rivoluzionaria. ·.Cordialmente, Filippo Calamai

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