Nuova Repubblica - anno III - n. 4 - 25 febbraio 1955

2 città voce éhe attribuisce finanzia– menti bancari a persone in grado di ,1doperarsi per tale suddivisione. Intanto si grida e si urla (da parte dei governativi) che qui è Italia, che niente differenzia Trie– ste dallltalia; ma le poche volte d1e si sarebbe potuto a ragione applicare la legge italiana, si. è ricorsi ad artifici· ed a soperchie– rie che l'onestà dègli amministra– tori del precedente G.M.A. (par– liamo del dott. Sartori) non aveva mai sopportato. Tipico esempio: la nomina di noti personaggi (ec– cetto un cooperativista) nel consi– glio di amministrazione delle coo: perative operaie, dove sono entrati due tra i più discussi esponenti della D.C., legati l'uno all'altro a doppio filo (uno commissario dell'ENALC e l'altro direttore dei corsi dell'ENALC). Poi, logicamente, se qualche « operatore », già conosciuto per la sua fede in Francesco Gmseppe prima, in Musso!ini e nei nazist! poi, vende, per paura, le azioni del complesso «Aquila» ad espo– nenti industriali francesi, tutti stan– no zitti, casomai è da meravigliar– si che non abbiano ancora dato la colpa agli operai. Anche gli americani, abituati a gettare i denari dalla finestra, que– sta volta hanno posto il veto al conglobamento dei rientri ERP Trieste (22 miliardi) nel fondo per l'incremento dell'economia trie– stina, finché non sapranno chi am– ministrerà quel (ondo; dopo nove anni di occupazione essi conoscono sin troppo bene le camarille che infestano la città e gli intrighi che vengono orditi a Roma nei gabinetti dei ministri e nelle se– greterie dei partiti. L e questioni economiche, quelle che sembrano di difficile solu– zione e che caratterizzano in modo specifico la crisi triestina, risen– tono dell'orientamento diverso e della diversa impostazione d1e i dirigenti l'economia locale voglio– no darle. Alcuni desiderano che lo svilup– po economico avvenga sulla falsa– riga di quella che era la funzione del porto di Trieste sotto l'Austria, incrementando l'attività portuale e chiedendo interventi governativi per sostenere i traffici, riportando a Trieste le navi e le linee di navi– gazione che le ,on state tolte, sol– lecitando aiuti di carattere valuta– rio agli operatori commerciali e fa– cilitazioni di tariffe per l'uso delle ferrovie che portano le merci da imbarcare o sbarcare nel porto di Trieste, a destinazione. Poid1é le tariffe ferroviarie ven– gono fissate dalla nazione che è soggetta al percorso più breve (at– tualmente parte delle tariffe che servono i traffici triestini è fissata dagli jugoslavi proprio per tale motivo), sembra strano che da Trie– ste non sia mai partita la proposta di raccorciare la Tarvisiana (esem– pio : congiungendo Sagrado con Connons o Manzano mediante un . rettilineo che lasci fuori Gorizia e le località viciniori), ed assegnare così all'amministrazione italiana il diritto di fissare la tariffa più utile al porto. Altri invece vedono possibili so– luzioni della crisi con l'impianto di industrie italiane o straniere nel– la pianura di Zaule, dove si è po– sto mano a un complesso di gran– de importanza: il Porto Industriale cli Trieste .. Ahinoi, diverse imprese già sor– te con aiuti notevoli di carattere B1bl1ote. a no finanziario e fiscale da parte del Governo, si trovano con l'acqua al– la gola e desiderano chiudere i bàttenti; altre industrie, d'impor– tanza nazionale, che qui sono at– tese come provvidenziali, non si sognano nemmeno di venire. Si pro– fila quindi il fallimento di una iniziativa buona, quella appunto del Porto Industriale, e non è del tutto inesatto attribuirne la respon– sabilità alla leggerezza dei suoi di– rigenti. Infatti, una prospettiva co– me quella dell'Ente Porto Indu– striale non si doveva risolvere in una spinta data a qualsiasi indivi– duo per mettere su una fabbrichet– ta, quando le"possibilità di esisten– za di tale fabbrica non reggevano al vaglio di una seria analisi tec– nico-economica! • Ovviamente, le soluzioni (traf– fici ed industrializzazione) non so– no né a scadenza immediata né in– compatibili fra di loro. Cèrto, il rifiorire dei traffici, che attualmente passano per Amburgo, Brema e Fiume, l'aiuto dato alla marineria triestina con la restitu– zione delle navi e l'assorbimento di parte dei marittimi disoccupa– ti (oltre 1.500) hanno dei limiti, come pure tutte le misure tendenti a favorire piccole industne, le quali assorbono solo qualche decina di persone. . . Bisognerebbe po1 cercar d1 le– gare, con provvidenze, capitali stra– nieri all'industria locale: così come esiste la legge Tambroni per le co– struzioni navali, per cui sono am– messi ad usufruire delle provviden– ze governative anche armatori stra– nieri. U N fatto strano da rilevare è da– to dalla varietà del capitale, per lo più di piccoli e ~cdi rispa_r– miatori, clic tende a ntornare 10 circolazione, mentre i grossi pa– paveri, quelli che hanno sfruttato la città e accumulato fortune, pre– feriscono trasferirle in altre zone ed usarle per altri scopi. Un amico, buon conoscitore della nostra si– tuazione, mi raccontava che quan– do esisteva l'ERP diviso, cioè quo– ta TLT e quota Italia, gli erpi– vori locali erano indipendentisti (come prima furono fascisti e suc– cessivamente filo-nazisti e filo-slavi), quando invece Trieste entrò nella quota italiana, divennero tutti ar– denti italiani. C'è stato un periodo in cui Trie– ste ha avuto un suo cittadino alla direzione del Lloyd Triestino (Compagnia di Navigazione del gruppo Finmare, quindi IRI) e nello stesso tempo a capo del Porto Industriale. Ciò, si badi, lasciava intendere che al Governo non fos– se estranea l'idea di sondare la possibilità di integrare ed armoniz– zare le due impostazioni econo– miche della città: traffici ed indu- stria. Purtroppo la persona scelta, che nello stesso tempo ricopriva la ca– rica di Presidente della locale se– zione del PLI, di consigliere comu– nale di Trieste del PLI, di asses– sore alle Finanze, ed esercitava ol– tretutto l'avvdcatura (avendo il so– prannome di « monumento nazio– nale » per la sua impassibilità ed imponenza), non fu all'altezza del compito e, finito il periodo di no– mina, la presidenza del Lhyd Trie– stino passò all'ammiraglio De Courte, uomo di ben altre capa– cità e di ben altro liberalismo; co– sicché il tutto si risolse in un sem– plic.e cumulo di cariche. rLOIIINDo PA\'AN (conlimm) anca NUOVA REPUBBLICA LETTERE DALL' AMERICA Guerra di cervelli EW-YORK, febbraio I L 18 gennaio truppe di Mao sbar– cavano ad Yikiang, isolcua si– tuata a pochi chilometri dalla costa cinese e, dopo breve combatti– mento contro una guarnigione nazio– nalista di 1200 uomini, se ne impa– dronivano. Il 20 era il secondo an– niversario di Eisenhower come pre– sidente della repubblica. C'era, alla Casa Bianca, una riunione del con– siglio supremo di sicurezza nazionale, composto dei massimi esperti civili e militari, incaricati di v~lutarc la situazione internazionale e, quando sorge una crisi, di proporre misure per fronteggiarla. Quando la riunio– ne si sciolse, i giornalisti si accorsero che i membri del consiglio avevano l'aspello più serio del solito. Il pre– sidente aveva parlato chiaro: la si– tuazione era seria; dopo Yikiang sa– rebbero venute le Tachcn, che or– mai sarebbe stato necessario evacua– re; poi le altre isole cd isoleuc lun– go la costa ancora controllata dai nazionalisti, poi I.e Pescadores e For– mosa. Mao evidentemente non cre– deva alla serietà degli americani i quali, già cinque anni fa, avevano dichiarato che non avrebbero per– messo un attacco delle truppe di Mao contro Formosa. Occorreva chiarire che gli Stati Uniti non in– tendevano scherzare: il presidente avrebbe chiesto al Congresso l'auto– rizzazione a prendere le misure ne– cessarie per par-drt"eventuali colpi di mano dei comunisti cinesi. La ca– mera dl·i rappresentanti concesse l'autorizzazione il 25 gennaio (con 3 voti contrari), il senato il 28 gen– naio (pure con 3 voti contrari). C'è oggi un accordo no1c,,olc, e raro, tra gli americani, che accomu– na repubblicani e democratici, con– servatori e liberali, credenti e mi– scredenti, bianchi e neri, capitalisti cd operai, industriali cd agricoltori. L'arnericano che è stato a scuola e cerca di farsi un'opinione sulla situa– zione internazionale (cioè uno delle diccinc di milioni di americani) è convinto che la prima e la seconda guerra mondiale hanno avuto luogo non perché i tedeschi le volessero ma perché i dirigenti tedeschi erano convinti che l'avversario non si sa– rebbe hat1uto. t stato ripetuto a sa– zietà che se non era per una dichia– razione disgraziata, nel gennaio 1950. che escludeva la Corea dalla zona di sicurezza americana, non vi sarebbe– ro stati un 25 giugno cd una guerra che a noi europei può essere sem– brata un piccolo inoidentc coloniale o semicolonialc, ma che per gli ame– ricani (e certamente per i coreani) è stata una cosa assai seria. In Asia comunismo e nazionali– smo sono spesso identificati. Gli ame– ricani non pensano mai al comuni– smo nazionalista (a meno che non parlino di Tito). Per essi il comuni– smo è un movimento internazionale; se si soddisfano le richieste na,iona– listc dei comunisti, si passa presto alle richieste imperialiste. on ci sono molti americani che abbiano simpatia per il generalissimo di Tai– pei; ma il generalissimo. agli occhi loro, c'entra poco o niente. La guer– ra ·di Corea è stata una guerra di coreani contro americani, è stata una guerra di russi e di cinesi contro gli americani; la guerra d'Indocina è stata anch'essa una guerra non di indocinesi, ma di cinesi aiutati dai russi. Hanno torto? quello che con– ta è quello che uno crede sia vero. Presa Formosa, toccherebbe alle Fi– lippine, ali'! ndoncsia, forse ali'Au– stralia. (Esagerazioni? ·non era esa– gerato per i giapponesi di Togo, per– ché dovrebbe esserlo per i cinesi di Mao?). C'è dell'altro. Gli americani hanno · paura della guerra, sono convinti che loro- non l'inizieranno e che il bloc– co sovietico.cinese aspetta l'occasione favorevole per scatenarla. Suppongo che anche i sovietici cd i cinesi han– no paura della guerra; certo sono di lllAX SALV ADORI ressi economici e tl"rrltoriali, vi sa– rebbe la possibilità di una discussio– ne tra blocco sovietico-cinese e Stati Uniti (sul terreno degl'intercssi qual– che compromesso si può sempre tro– vare: e facciamo a metà > aveva già proposto Stalip). Il guaio è che vi è qualcosa di più grosso dcgl'intercssi: i cervelli se ne sono andati per vie diverse. Disse una volta Attlee, credo nel 1944 : « le guerre nascono nel cervello degli uomini >. Oggi non si traila della conoscenza di dati ob– biellivi: gli americani sanno quel che è noto ai russi cd ai cinesi. Si traila <jella valutazione di questi da– ti: anche se la sociologia unisce, l'etica divide. Quello che per uno è bene (divisione del potere, diritto del singolo di fare quel che crede meglio della propria vita, regime parlamentare, capitalismo), per l'al– tro è male. Vi sono negli Stati Uniti ollimi libri sull'Unione Sovietica e non credo che molti russi obbiette– rebbero per esempio alla descrizione che delle loro istituzio~i fa Fairlsod in How Russia is ruled. Sono sicuro che non mancano ottimi libri sovie– tici che descrivono con cura e con esattezza la nazione americana. Ma i fatti non sono tutto; c'è quel chr se ne pensa. Non mancano i russi intelligenti che riconoscono i difcui del sistema sovietico, ma alzano le spalle e dicono: « Bazzecole ». In quanto agli americani se ne trovano pochi che n'\n riconoscano i difetti del loro sistema, i quali sono però per essi clementi di secondaria im– portanza. Le parole possono essere anch'essi convinti che loro non l'ini– zieranno e che gli americani aspet– tano il primo momento favorevole per auaccarc. Per diccinc di milioni di comunisti il ragionamento non fa una grinza: la proprietà privata è l'origi~e di tulii i mali; negli Stati Uniti vi è più proprietà" privata che in qualsiasi altro paese; dunque negli Stati Uniti vi è maggiore capacità che in qualsiasi altro paese per fare del male, la guerra inclusa. La cosa è cosi chiara che non vale la pena di essere discussa. Ma anche gli americani hanno il loro ragi6namcn– to (era il ragionamento di quanti nel 18° e I9° secolo imprecavano - c'erano anche d~gl'ltaliani - · contro l'assolutismo): ogni governo fa 0 del male quando ha troppo po– tere in mano; negli Stati Uniti il potere è stato diviso per ridurre al minimo la possibilità del governo di fare del male; in Russia e in Cina c'è un massimo accentramento del potere si che il governo ha la mas– sima possibilità di fare del male; finché ci sono in Russia cd in Cina delle dillature totalitarie c'è il pe– ricolo di guerra. Corollario: occorre armarsi. / le medesime di qua dcli' Atlantico e di là dei vari sipari: ma varia il peso che viene dato loro, e anche quando si mettono insieme le stesse parole in russo cd in inglese si ouengono risultati completamente diversi. G LI americani ritengono con tut• la sincerità che la loro è cd è stata una politica puramente difen– siva, mentre quella dcll'Unionr So– vietica è stata cd è una politica cli aggressione. Cli argomrnti non man– cano. Si trattasse semplic.cmcntc d'intc- .... Quando i cervelli se ne sono an– dati per vie diverse, manca la pos– sibilità di dialogo. E allora? Per evitare conflitti non resta che il vcc~ chio e precario sistema: l'equilibrio di forze. In quanto a quelli che sin– ceramente credono di essere au des– sus de la mé/ée e che ambiscono a rappresentare la terza for,a, farebbe– ro bene a lavorare' su quello che pii, conta: i cervelli. Se si riesce a ra– gionare, e per ragionare si usa lo stesso metodo, si troveranno dc11c so– luzio.ni ; se non ci si rirscc-. le cose' possono mettersi male. Lettera 22 Inautoe in treno in aereo e in albergo sulleginocchia, sultavolo d'unbar, esatta e leggera scriverà lavostra corrispondenza gli appunti di viaggib i ricordi dellevacanze. olivetti

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