Nuova Repubblica - anno II - n. 19 - 10 ottobre 1954

2 latosi nella realtà. In questo senso, ma solo in questo semo, la formu– la di Nenni « in mezzo non ci si sta » conserva un suo valore po– litico, anche se contenga un ben preciso equivoèo. E l'equivoco sta propriamenti: in questo: che l'impossibilità di esi-, stenza di una « terza forza » o di una « lotta su due fronti » nel senso tradizionale di c1uesteespres– sioni, non significa affatto che una funzione di « terza forza » ne/– I' ambito del movimento 'operaio e con upa sua specifica funzione ab– bia perso alcunché della sua es– senzialità, e che quindi sia fata– le una guida politica comunistica all'insieme delle forze di rinnova– mento politico-sociale (d1e è il sil– logisma cui Nenni perviene). E qui giunge appunto a proposito l'analisi di «Emilia», come con– tributo al travaglio ideologico in atto fra noi. Non direi di essere a questo punto d'accordo compl\!– tamente sulla definizione di U.P. come « la punta più avanzata della borghesia democratica.», definizio– ne statica e formale, in contrasto - mi sembra - col successivo ri– conoscimento di « anticipazione di una sinistra democratica e sociale, come elemento partecipe e con– corde di una più ampia direzione socialista». L'affermazione me la definizione di U. P. come « parti– -to operaio » può riuscire una mi– stificazione pericolosa, facendo per– dere al nostro gruppo la sua fun– zione di « prospettiva politica », è esatta, alla condizione che non si tenti d'altronde una definizione opposta, qual è appunto quella di « punta avanzata della borghe– sia democratica » : e ciò perché, in (:ntrambi i casi, si verrebbe ad of– fuscare la funzione reaie, di una sinistra insieme demornitica e so– cialista o - per ripetere ancora una espressione che mi sembra fe– lice - di « elemento partecipe e concorde di una più ampia dire– zione socialista ». Se dunque eliminiamo l'equivo– co della tradizionale « terza for– za» e della « lotta su due fronti », se - contemporaneamente - eli– miniamo anche l'altro equivoco di una « purezza socialista» fatta so– lo di affermazioni verbali, distac– cate da una concreta problemati– ca storica, è miaro che tutti questi equivoci tornano ad essere formu– le accettabili e discutibili Ùna volta che sia determinata una scelta fon– damentale del campo, del versan– te in cui operare. Se riconosciamo di essere compartecipi, nelle sue linee essenziali, di quello che sto– . ricamente può definirsi come « mo– vimento operaio », se facciamo no– stre cioè alcune delle essenziali ragioni di critica alla «struttura» ( e non soltanto politica, ma socia– le ed economica) della società a tipo capitalistico in cui operiamo, proprio da questa scelta di fondo emerge quella funzione di « terza forza » che su diverso terreno di– venta equivoca e sostanzialmente conservatrice. Manca al « movimento operaio » in Italia precisamente un raccordo, quel ponte di passaggio attraver– so il quale è possibile trasferire all'interno del movimento aspira– zioni ed esigenze liberali. Manca alle forze più aperte della « bor– ghesia » (nel senso più politico che sociale del termine) la possi– bilità di un contatto col « movimen– to operaio » che non lè costdngà contemporaneamente ad una crisi profonda e a una scelta insupera– bile. E fin troppo evidente che- le istanze liberali non possono e,;sere «importate» all'interno del movi– mento operaio con operazioni spu– rie, che esse debbono svilupparsi spontaneamente dalla realtà poli– tico-sociale in cui esso opera; ma resta vero anche che, perd1é ciò avvenga, è essenziale che il « mo– vimento operaio» non si chiuda, resti aperto alle forze in mo!'imen– to, dia e riceva, in un confronto dialettico continuamente rinnovato fuori di se stesso. La tragedia del movimento operaio italiano consi– ste precisamente nel difetto di que– sta dialettica (e non mi riferisco alla pseudo-dialettica d'impostazio– ne comunistica, che cerca alleanze f 11oridi sé non per riconoscimento di nuovi essenziali apporti, ma an– zi per distruggerli dopo essersene servita). In verità, l'esistenza di una nuo– va componente, . politicamente e moralmente autonoma, del movi– mento operaio italiano, capace di tenere aperto l'affiusso di nuove enetgic, capace .di consentire ad istanze liberali di entrare in con– tatto con la lotta di classe senza esserne distrutte, è oggi la condi– zione essenziale per consentire al socilllismo il passaggio dall' orato– ria irresponsabile all'azione di tra– sformazione costruttiva e radicale. Il pericòlo che si profila immedia– to, a questo punto, è precisamen– te quello del « fronte popolare ».– La tattica comunista è stata sem– pre quella di cercare alleanze ester– ne al movimento operaio (consi– derato proprio dominio esclusivo); il problema da risolvere è l'oppo– sto: costituire un terzo elemento ctll'intemo del movimento operaio, la çui funzione di allargamento sia autonoma,~ non per cpnto della_ politica comunista; essenzìale all'in– sieme del movimento operaio, per consentirgli prospettive reali di tra– sformazione e di governo. Se vogliamo usare un'immagine, diremo dunque che non si pone un problema di scelta fra i due « versanti » in cui si svolge oggi la lotta di classe nella società; ma si presenta in tutta la sua gravità il· problema della « funzione spe– cifica » che, sul versante proletario, possiamo. assolvere. Non è certa– mente un'affermazione nuova, che in Italia una notevole porzione di forze sociali, i cui interessi appar– tengono direttamente al « movi– mento operaio » nel suo insieme (e non mi riferisco - è appena il caso di dirlo - soltanto o parti– colarmente ad operai, ma anme a Jav-oratori generalmente classificabi– li nella c. d. « piccola borghesia »), è nella impossibilità di determina– re un proprio efficiente e coerente strumento di lotta politica, e co– stituisce la forza di riserva dello schieramento conservatore domina– to dalla D.C. Questo fatto è così « grosso », cosl palese a tutti, che gli stessi partiti di obbedienza mar– xistica si sono posti il problema al ceni ro dell,1 loro lattica politica. Quando il P.C.T. spinge a fon– do, p. es., la campagna scandali– stica sul caso Montesi (contro la cui efficacia non è evidentemente valido affermare, come fa la so– cialdemocrazia, semplicemente che· lo scandalo non esiste), esso sa di agire precisamente su quel largo settore di voti che sfugge o è sfug– gito finora al suo controllo; es– so tenta di metterlo moralmente 111 crisi, e non ha quindi interes– se alcuno che si formi ùna forza democratica, non comunistica, ma sostanzialmente « elemento parteci– pe e concorde di una più ampia NUOVA REPUBBLICA direzione socialista », capace di rac- . cogliere, nell'interesse generale del movimento operaio, i frutti di que– sta crisi. Non direi che, da parte sua, il P.C.l. faccia così una cat– tiva politièa: ma i frutti che può ricavarne restano mediocri, nei' li– miti cioè della possibilità, assai incerta, che la crisi morale dei proletari del ceto medio giunga fino alla s'ua dissoluzione come ceto. Ove quest~ dissoluzione si determipasse, la direzione del mo– vim~nto diventerebbe non più « so– cialista», ma «sovietica»; può determinarsì comunque, alla lunga, più facilmente se manchi la forza socialistica capace di raccogliere lo «spostamento» e indirizzarlo con metodi Jibefali a sbocchi sociali– stici. 1l sottinte ~ che la grande forza politica idonèa a quest'azione, dal– la quale dipende, praticamente, se sia possibile~ o no trasformare la società italiana dallo stato semi– feudale in cui si trova, avrebbe dovuto essere il socia I ismo nel suo insieme, dovrebbe essere oggi il P.S.I. Ma è proprio perché esso non ha avuto, e non ha ancora, coscienza esatta èli questa sua fun– zione; è proprio perché esso cre– de di poter affrontare per suo con– to il problema nello stesso modo del P.C.I. che la funzione, non esercitata, è rimasta vuota. Può darsi che la pressione, la realtà delle cose finisca per costringe– re, ancora più che persuadere, il P.S.I. ad una politica più reali– stica, ad una larga e sostanziale (non semplicemente tattica) aper– tura verso altre forze, tendendo co– sl ad una, realizzazione laburisti– ca, nelle forme e nei limiti in cui essa sia poss~e da noi. Comun– que, finché' questa funzione non sia esercitata dal P.S.I. è neces– sario che venga ricoperta da al– tri. E dalla presenza di questi « altri » sulla scena politica italia– na, come forza autonoma, ben di– stinta, chiaramente programmata, che dipende probabilmente l'avve– nire immediato della lotta politi– ca della nostra classe operaia. Funzione di complementarità, al– jeata, parallela a quella del P.S.I.? Sono tutti termini egualmente ap– prossimativi ed incompiuti. Po– tremmo forse meglio definirla cosl: « terza forza del movimento ope– raio». Ed è implicita in questa stessa definizione la speranza d1e il P.S.I. saprà costituire ogni gior– no di più la « seconda forza ». Se alle tendenze ricostitutive di un nuovo P.S.U. su posizioni social– democratiche di sinistra abbiamo risposto nettamente di no, perché esse determinerebbero, inevitabil– mente, una concorrenza mortale èol P.S.I. e, quindi, probabilmente un servizio reso alle destre conserva– trici; dobbiamo anche dire con · tutta chiarezza che se l'ambiguità politica del P.S.I. dovesse a lun– go perpetuarsi ( cosa alla quale non crediamo, anche per recenti segni), diventerebbe alla lunga ine– vitabile una completa revisione delle nostre prospettive, nel tenta– tivo di affrontare noi, per difficile me sia, il vuoto lasciato dal Par– tito Socia!ista Italiano. Siamo tuttavia convinti che l'evo– luzione sarà diversa: e che nel– l'approfondimento dei rapporti, i;el riconoscimento delle specifid1e funzioni sullo sfondo d'un'azione comune, fra socialismo marxista e socialismo liberale, stia la chia– -ve della trasformazione democra– tica del. paese. TRISTANO~flDIGNOL.l Ll CED È MORTA, VIVA L'EUROPA ! ' L'UNlTA EUROP non è problema socialista Riprendendo '" polemic" federaliJJa, Mario Albe,·tini ,-is/J011dequi alla imJ,osta– zione che al p,-oblema della 1111ificaiio11europea aveva offuto, nel 1111111ero prece– dente, G11idoF11bi11i, U NA premessa. Non parliamo di: « Grande Europa Socia– lista». J sogni non fanno bene a nessuno, tanto meno se sono anche incoerenti. L'uni/i[azione eu– ropea è un problema 1 era! ista, non socialista. I termirµ, concreti dell'obbiettivo dellà lotta'Pcr l'u i;· tà europea stanno nei termì~osti– tuzionali di t-Jle unità, e queste ter– mini o sono federalisti o 1101) sono nulla. E poi, liberiamoci an– che da un'altra mitologia: quella dello Stato socialista in genere. Se lo Stato prende la figura d'una parte, il socialismo, si deve fare totalitario. Allora il probleim(non riguarda il socialismo. Riguarda l'azione comunista. Se il sociali– smo deve comprendere, e portare avanti, la democrazia, evidente– mente deve conservare gli istituti della libertà politica, la possibilità del gioco delle parti. Il problema autentico del socialismo non è il socia_Jismo di Stato: compitq del socialismo è la dura volontà di piantare, ·con la sua azione di go– verno quando sia matura, di co– struzione nel Paese per arrivare al– J'_azi<;>ne di gover!1_o,r_adici sociali– ste nella società. Perché i ricambi di governq, che debbono pure es– sere virtualmente possibili, non possano distruggere ciò che, per essere costruito nella società, sia davvero divenuto indistruttibile proprietà umana. Il fatto me il problema della unificazione europea non sia né pro6lema socialista, né democristia– no, né liberale ecc., ma bensì pro– blema federalista comporta certo almeno il sapere che si tratta d'una lotta per conquistare certe istitu– zioni, non per questo_ o quest'altro corso della politica di governo o d'opposizione, comporta certo al– meno la lettura d'un testo sulle costituzioni federali; ed insieme nob esime mi se lo proponga dal giudicare i dati politici generali, nei quali quelle cose, le ideolo, gie, sono contenute, ma ancor di più è contenuto, quindi è deter– minante, il corso concreto- della politica. La costruzione federalista non può essere rapportata in mo– do immediato all'una o all'altra li– nea politica propor,iibile oggi, per– ché queste sono largamente deter– minate dal!' esistenza del contrario del federalismo, cioè dall'esistenza del sistema degli Stati nazionali europei. Si tratta soprattutti di prendere coscienza di qualche dato di fon– do. Diamo per concesso d1e la im_postazione generale della politi– ca estera mondiale possa mutare. Ma sarebbe ,pur sempre da folli sostenere, ritenere che avremo con noi, nel tentativo di costruire la Federazione, la politica estera del– l'URSS, per le ovvie esigenze del– la sua ragion di Stato. Quindi che potremo avere amico, o perlome– no non nemico, il P.C.I. Qualcu– no definirà dunque sempre in ter– mini di anticomunismo una politi- ca federalista. Dovremo rinunziar– vi per questo? Gli Stati nascono vivono e muoiono a quel livello di realtà che è l'ordine internazionale. Che l'Europa_ possa essere autonoma prima ancora di nascere è un so– gno. E poi nessuno Stato è au– tonomo : i rapporti fra Stati sono dettati dalla ragion di Stato. Si tratta di ficcare lo sguardo lì den– tro, e lì vedere che gradi d'autono– mia sono possibili, lì vedere che equilibrio internazionale il sistema degli Statì realizza. È abbastanza chiaro che è pro– prio il disordine del sistema in– ternazionale, rimasto fluido dopo la conclusione della guerra,, a de– terminare ciò che in parole ab– bastanza vaghe, talvolta abbastan– za equivoche, vien detto volta a volta «distensione», « guerra fred– da » ecc. La Russia e l'America, i due pilastri del sistema dell'equi– librio, sono all'erta perché i punti di fluidità del sistema possono essere altetati a proprio vantaggio o svantaggio. Per ciò che ci riguar– da i punti di fluidità _del sistema sono proprio la Francia la Ger– mania l'Italia, non l'Inghilterra. È assurdo pensare, in questa fase della politica internazionale, che l'Inghilterra, solida in sé, solida nel sistema internazionale, possa federarsi. È meno assurdo pensar- ~ lo per i tre Stati nemir\ati, non solidi in sé, non solidi nel siste– ma. La politica internazionale è largamente determinata proprio dal problema della loro sistemazione. È abbastanza chiaro che alla si– stemazione federalista è molto più interessata l'America; che la Rus– sia, al contrario, è interessata allo status quo _europeo. Si tratta di scegliere. Nella politica interna c'è lo stesso problema. Anche per la po– litica interna il federalismo non può correre sullo stesso binario della linea politica di (1uesto o quef partito. Questi sono definiti, in termini di coscienza e di azio– ne, dalla gestione dello Stato na– zionale: ciò che per il federalismo è senz'altro, è unicamente, la po– litica, pe"r questo o quel partito può essere al massimo, e quando di fatto possa annidarsi nelle pie– ghe dello svolgimento della poli– tica, una politica estera. Tuttavi,i anche in questo setto– re il federalismo non può astrar– re dai rapporti reali che l'azione dei partiti determina negli schie– ramenti politici. Per chi s'avveda che il dato di fondo della politi– ca italiana è nella tragica consta– tazione me non si danno, se non in termini interlocutori, alternati– ve di governo, ma alternative di Stato allo Stato -democratico; che queste alternative sono altrettanto determinanti per la stessa azione federal-ista, i I problema non può essere difficile. Naturalmente lo sforzo della democrazia italiana, sul settore interno, ad un livello diverso rispetto a quello dell'azio– ne federalista, deve tendere a far– ci uscire da questa disgraziata con– dizione. _Ma ciò non toglie che essa oggi sia tale. · Ed anch~ a prescindere da que- l

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