Nuova Repubblica - anno II - n. 7 - 5 aprile 1954

IV Socialismo e 11opoli coloniali I LLUSTRIAMO questo spirito critico in rapporto al problema cruciale della guerra fredda. Abbiamo visto che, sebbene !°Unione Sovietica rap– presenti !°esempio estremo di Stato to– talitario, il comunismo appare a molti popoli coloniali come una forza libe– ratrice, e la democrazra come la difesa di una plutocrazia corrotta. Che fare, per il socialista, di fron– te a questo dilemma? Riporre fiducia nei piani di aiuto reciproco e cercar di persuadere gli,. americani che il solo modo di combattere efficacemente il comunismo è di fornire dollari e assistenza tecnica in modo da elevare il livello di vita dei territori arretrati? Nobile ideale; e certo, se gli ameri– cani impiegassero nella sua realizza– zi~ne una parte delle risorse oggi con– centrate nel riarmo, il pericolo di una guerra mondiale sarebbe sensibilmente ridotto . .B infatti l'eccessiva concentra– zione nel riarmo che deforma tutte le economie occidentali e va gradualmen– te creando una situazione in cui ci troveremo di fronte all'alternativa: guerra o collasso. Persuadere gli ame– ricani a dare precedenza assoluta al– l'a0iuto reciproco, sarebbe dunque una vittoria del buon senso e della misura. Ma è importante non chiedere al– raiuto reciproco più di quel che può dare e, sopiattutto, non cadere nel– l'errore materialistico di credere che reconomia fornisca la leva principale all°azione politica. L·etemento dina– mico della rivoluzione sociale in Asia e in Africa non è una domanda mas– siccia di trattori o di pane, ma la volontà e la coscienza di un piccolo strato intellettuale le cui aspirazioni (liberazione nazionale e modernizza– zione) non sono condivise né dall'oli– garchia dominante né dalle masse. Come sappiamo bene dalla nostra sto– ria, una rivoluzione non è voluta dal « popolo », ma da una nuova forza sociale, con una nuova filosofia. Ne segue che l'aiuto reciproco, an– che se combinato con la democrazia, non fornirà necessariamente un anti– doto alle rivoluzioni comuniste. Gli .#'istituti parlamentari ritardano le tra– sformazioni sociali provvedendo deli– beratamente affinché non incidano in modo eccessivo su gruppi minoritari, o non procedano a un ritmo che il naturale conservatorismo delle masse non tollera. Ecco perché funzionano con successo solo dopo che le libertà civili e una sana amministrazione so– no state saldamente stabilite e le mas– se liberate, generalmente con · mezzi non democratici. Sovrapporre la demo– crazia moderna a una struttura sociale feudale o primitiva non serve quindi che a dotare i gruppi dominanti di uno strumento di difesa dei loro pri– vilegi. Il quanto è avvenuto in tutto il Me– dio Oriente, come anche nelle Filip– pine o nella Corea del Sud, - tutti Paesi nei quali le forme democratiche sono state fatte servire alla lotta con– tro l'emancipazione popolare, esatta– mente com'era avvenuto negli Stati balcanici prima della guerra. L'assistenza economica e tecnica a « democrazie » di tal genere o andrà sprecata, o aggraverà i conflitti socia– li in atto. Comunque, le nuove éliteJ portatrici del comunismo la conside– reranno certamente un. tentativo di raf– forzare la controrivoluzione; e, molto spesso, così sarà. La situazione è ancor più grave se le potenze occidentali trovano neces– sario mantenere in queste « democra– zie » delle forze armate, o sfruttare le materie prime che ne sono, abitual– mente. le uniche fonti di ricche:zza. B1b1ot ca G NUOVA REPUBBLICA PAGINE DICULTURA CONTEMPORANEA VERSO UNA FILOSOFIA del Socialismo Allora, tanto le aspirazioni nazionali quanto ·quelle sociali si canalizzano contro l'occidente; nella Russia si ve– de una potenza rivale dei cui buoni uffici ci si può servire per sbarazzarsi dello straniero, e perfino l'oligarchia d~Jminante deve usare un linguaggio nazionalistico per distrarre gli occhi dalla crisi sociale. t la situazione a noi familiare in Egitto e Persia. Perciò il social'ista che vede una risposta socialista compiuta al ·comu– nismo: 1) nella cqncessione clell'in– dipendenza nazionale; 2) nell'incorag– giamento della democrazia parlamen– tare; 3) nell'offerta di aiuti economi– ci, sorvola sulla vera difficoltà che si presenta. Quand·anche gli U.S.A. (co– sa estremamente improbabile) fornis– sero risorse sufficienti a un•offensiva su scala mondiale contro il basso livello di vita, il risultato sarebbe, in molti paesi, non già di contenere _il comu– nismo, ma di creare alla rivoluzione sociale condizioni più favorevoli. Ci si ripresenterebbe quindi il problema: che fare quando, in un Paese arre– trato che siamo cercando di moder– nizzare sotto patronato occidentale, una dittatura rivoluzionaria conquista il po– tere, quasi certamente con l'aiuto della Russia? Schiacciare la rivoiuzione co– me hanno tentato di schiacciarla i francesi in Indocina, o tollerarla come il governo laburista ha tollerato i co– munisti cinesi? E, se riconosciamo ri– voluzioni vittoriose - e perfino le as– sistiamo, quando bisticciano coÌ Crem– lino, - perché continuiamo a procla– mare di condividere l'obiettivo ameri– cano di contenere il comunismo in tùtto il ·mondo? Ecco una contraddi– zione insoluta, che impedisce ogni for– mulazione precisa di una politica so, cialista. Nella sua forma più cruda, questa contradizione appare a chi consideri due coppie contrastanti di Paesi: Ju– goslavia e Grecia, Turchia e Persia. Jn Grecia, a prezzo altissimo, la rivo– luzione sociale è stata schiacciata, e somme ingenti sono state profuse nel– l'assistenza economica a sostegno di una democrazia parlamentare inefficien– te e corrotta. In Jugoslavia, la rivolu– zione sociale si è imposta sotto con– trollo russo. Qr3 Tito ha rotto col Cremlino, abbiamo finalmente un esem– pio di comunismo nazionale: chi può onestamente affermare che le speranze di rafforzare la libertà siano maggiori nella Grecia democratica che nella J u– goslavia comunista, o pretendere che la Jugoslavia avrebbe dovuto preferire l'occupazione anglo-americana nel 1945 e il ristabilimento della democrazia sotto re Pietro? Ugualmente istruttivo è il confron– to fra Turchia e Persia. N"ella prima, con la benevola assistenza dell'Unio– ne Sovietica, Kemal Ataturk ha con– dotto una guerra rivoluzionaria di li– berazione conlro Inghilterra e Grecia, poi ha istituito la dittatura al fine di modernizzare il Paese. Per parte sua, la Persia, come il resto del Medio Oriente, è retta da un parlamento con– trollato da un'oligarchia. Il partito ri– voluzionario Tudeh è stato soppresso con l'incoraggiamento inglese e ame– ricano, e si è tentato un compromesso con l'oligarchia al fine di mantenere il controllo britannico sulla produzione petrolifera. Il risultato di questa po- B ne litica è stato di svuotare di qualunque significato la dichiarazione di Bevin ch'egli perseguiva l'obiettivo di ele– vare il tenore di vita dei poveri fellahin. La Turchia può mostrarcisi amica (come Israele) perché ha vinto la sua guerra rivoluzionaria di libera– zione: la Persia, flraq e !°Egitto no. Essi trasudano rivoluzione repressa e aperta xenofabia. La lezione del falli– mento del governo laburista nel Medio Oriente non è forse che può essere meno pericolòso consentire la rivolu– zione e la dittatura (anche quando la loro forza animatrice è l'odio per noi), che difendere i nostri interessi stra– tegici e commerciai i mediante una com– binazione di forza militare e inganno politico? Il socialista deve mantenersi scettico di fronte a piani di lotta con– tro il comunismo che implichino, in realtà, la soffocazione della rivoluzio– ne nazionale e sociale dei popoli colo– niali. Nella storia di ogni democrazia occidentale, il primo atto di naziona– lità è stata la guerra rivoluzionaria o la guerra civile, esattamente come il primo strumento di unificazione na– zionale e di educazione popolare è stato l'esercito rivoluzionario. Sono, questi, fatti storici che i marxisti russi hanno accuratamente studiato e dai quali hanno tratto importanti conclu– sioni. Il tempo che anche noi li stu– diamo, e impariamo dall'esperienza francese in Indocina che J· espansione del comunismo può essere un male minore del suo contenimento attra– verso una rovinosa guerra coloniale. Ma non è affatto sicuro che qua– lunque rivoluzione sociale venga sfrut– tata dal Cremlino, se si lasciano libe– ri i suoi capi di svolgere la loro po- R.H.S. CROSSMAN I v11uhi srolari di R .fl.S. Crossma11 lo ricordano come 1111n /ig11ra significativa d,;i loro tempi st11de11teschi, giacché l'at/1,ale membro del Parlame,110 per il collegio dell'East Coue,itr)• cominciò la sua car– riera t:ome i,ueg,ianle ad O:.'ford. Nato il 15 dit:embre 190i, figlio di 1111 giudit:e della f-Jiglt Court, egli seguì brillantemente gli st11di a Wi11d1esler e al New College di O:i:ford, dove t:onseg11ì una doppia laurea i,i Modcrations e Litcrac Humaniorcs. 1'iseg11ò per selle a1111ial New College, dove era popolare fra 1:li studenti per la s-ua t:apat:ità di rendere ogni argomento vit.·o e affast:i11ante. Si spet:iali::ò in filo– sofia politit:a antica e moderna e pubblit:ò, nel 1937 « Platone, ozgi ». Un altro suo libro, ust:ito successivamente, « Governanti e iovernati », è una rassegna storica di idee • di prassi tJolitica. Crossman diuenne noto in una cerchia • b,n più lari:a di quella detli sllldiosi di litica. Dopo la guerra, Indonesia e Birmania hanno scelto l'indipendenza e soppresso i rispettivi partiti comu– nisti; e Tito ha rotto col Cremlino. Se il partito Tudeh in Persia, il Viet– Minh in Indocina e Mao-Tse-tung in Cina sono ora alleati della Russia, bisogna riconoscere che la politica oc– cidentale non ha fatto nulla per dis– suaderli. Sempre, in un Paese arretra– to, la rivoluzione sociale comincia co– me alleanza di elementi quanto mai disparati, fra i quali è raro che gli staliniani siano i più importanti. Che i comunisti riescano a dominare la ri– voluzione dipende non meno dalla po– litica occidentale che dall'attività del Cremlino. Troppo spesso, politiche strategiche ed economiche intese a con– tenere il comunismo~ hanno, in realtà, fatto il gioco dell'Unione Sovietica con l'appoggiare la controrivoluzione. La guerra fredda, come spinge l'Unio– ne Sovietica ad adottare nell'ambito del suo impero metodi sempre più brutali, così favorisce nelle democra– zie un tiepido ritorno a metodi impe– rialistici che gettano la coscienza socia– le dei popoli coloniali nelle braccia del totalitarismo. L'isolazionista ame– ricano che reagisce con tanta violenza alle gigantesche spese per il riarmo e per gli aiuti alJ'estero, è più vicino alla tradizione dell'americanismo che i profeti new-dealisti delle responsabilità mondiali dell'America. La viri~ pre– minente della democrazia americana è stata, un tempo, il suo orientamento anticoloniale. Invece di cercar di in– coraggiare gli americani a vincere que– sto complesso e a sottoscrivere i no– stri impegni imperiali, dovremmo in– fluire perché ritornino alla politica mo- Oxford /un le sue trasmissio11i alla B.B.C. sui pi,ì i1ari soggetli, per i suoi srrilli e le sue t:011feren:e su problemi di politira attuale e11ropea e per la sua particolare t:ompete11:a sulla Germania. Per alrnni anni /11 11umbro del Partito laburista e leader del Grnppo laburista nella Oxford City Corporalion. Nel 1937 dui.se di prese11tarsi candidato al Parla– mento 11el collegio del West Birmingliam e venne in seg11ito ac.,t:olto come candidato laburista per l'East Coventry. A11eva lasciato il New College nel 1937 · /Jer am1p1ere la carica di Vice Re,lattore del (< New Statesman ». Precede,llemente aveva tenuto delle le:ioni ad Oxford rul m,a classe mista di studenti e di operai, otle,ie,ido mt notevole s,ucesso. Dura11te la guerra Crossma11 suo/se un'importante attività nt:ll'organi:::a:ione delle trasmis– sioni ingles-i per la Germa11ia. l'iìi. tardi andò ad Algeri rame Dcputy Director of P!,:ycological Warfare, e dal '44 al '45 te,we lo stessa carira presso il puartier Get1erale di Eisen/iower. Ve11ne e/etio deputato f1er il Collegio de/l'East Couentry nel luglio 1945, e de– tiene ltltlora tale seggio. Come memb,o del Comitato Anglo-americano per la Pa– lestina, lavorò in America, a Lo11dra, in Europa. Nel 1944 pubblicò « Missio11e i,i Palestina ». Altre sue opere sono: « So– crate» ( 1938) e « Come siamo governati ». Nel J950 curò la pubblica::ione di « li Dio che /ia fallito », co11Jene11te una serie di saggi di perso11alità già appartenenti al Partito Comunista. Crossma11 fu leader del grnppo dei « ri– belli » nel Parlamento del '45-50 ed è uno dei « socialisti dissidenti» - come li ha t:hiamali recentemente Churchill - che ap– poggiarono Bevan al tempo delle sue di• missioni e dopo. Neili ultimi due anni è stato membro del Comitato Esecutivo Na– ::ionale del Partito Laburista. L'anno scorso è stato nominato rappr,– senta11le sostituto del Reino Unito ali' ÀJ• semhfea Conrnltii•a del Consiilio d'Europc,. 7 derata del periodo degli Aiuti .Mar– shall, limitino il programma di riar– mo alle spese che possono realmente sostenere per almeno una generazione, e, in Asia e in Africa, ac~ettino il ris.chio di lasciare incolmato il « vuoto politico » apertosi in seguito allo sman– tellamento degli antichi imperi eu– ropéi. Un vuoto incolmato è, a volte, meno pericoloso che il soffocamento della rivoluzione sociale in nome della democrazia. Conclusioni : politica interna E , ora tempo di tornare al problema dal quale eravamo partiti. Aveva– mo osservato come il partito la• burista avesse, prima delle elezioni del 1950, perduto il senso della direzione. Possiamo valerci del quadro mondiale più sopra delineato per ritrovare il nostro orientamento? Certo, non siarno ancora in grado di tracciare sulla car– ta la nuova via del socialismo. A que– sto fine sarebbero necessari: I) un cal– colo preciso dell'equilibrio mondiale delle forze, in particolare delle forze interne che modellano la politica estera degli Stati Uniti e delrUnione So– vietica, e perciò condizionano gli svi– luppi della guerra fredda; 2) un'ana– lisi delle nostre possibilità, commisu– rate agli impegni che ci siamo assunti jn un mondo in cui l'emancipazione coloniale, combinata con la pres~ione demografica, ha vòlto a nostro penna– mente svantaggio le ragioni di stam– bio; 3) un'indagine aggiornata della modificazioni avvenute nella struttura interna del Paese dal 1940 in poi; tutti punti vitali di cui non si è ancora iniziato lo studio. Frattanto, il meglio che possiamo sperar di fare è di sol– levar le questioni più importanti che attendono risposta prima che il sec.,ndo stadio del socialismo possa delinearsi. Il primo traguardo è già dietro alle nostre' spalle; ed è quello che il go– verno laburista ha tracciato. Se è vfro _che il capitalismo « assistenziale » sYi– luppatosi dopo il 1945 è in alto grado instabile, quello che rimane fermo è la trasformazione avvenuta nel clima so– ciale, una trasformazione pari in im• portanza alle rivoluzioni liberali del 1832 e del 1906, e la cui essenza possiamo condensare in due principi. Il primo stabilisce che lo Stato demo– cratico ha la responsabilità di garan– tire ad oghi cittadino, come ,un suo diritto, la sicurezza contro la disoc• cupazione, la malattia e la vecchiaia. Il secondo assegna allo Stato il com– pito di pianificare l'uso delle risorse nazionali in modo che vi sia lavoro per tutti e i diversi settori della co– munità partecipino equamente al red– dito nazionale. Certo, v'è ancora chi ritiene che que• sti due principi non avrebbero do– vuto essere riconosciuti, perché la lo– ro applicazione piena porterebbe ine– vitabilmente o al crollo economico o alla socializzazione completa. Il partito conservatore, per esempio, li accetta con la clausola limitativa che non si debba far nulla da cui possa risul– tare un freno agli incentivi della libera impresa - cioè li accetta in teoria, ma non in pratica. Resta comunque il fatto che il clima sociale - e con ciò le categorie del dibattito politico - hanno subito una trasformazione decisiva da quando il governo laburi– sta è riuscito, dopo la fine della guer– ra, a mantenere la piena occupazione, il sistema di tassazione redistributiva e la pianificazione centrale dell'econo– mia, fin allora considerati espedienti temporanei di guerra. R, H. S. CROSSMA~ (continua)

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