Nuova Repubblica - anno I - n. 12 - 20 giugno 1953

2 NUOVA REPUBBLICA L'anello di Saturno posizioni della destra socialdemocra– tica che costituivano una vera e pro– pria condanna a morte per il sociali– smo democratico in Italia. Che Romita, e soprattutto Mat– teotti, non si rendessero nessun con– to della politica in nome della quale governavano fu evidente anche ai compagni di base quando Matteotti, come vice-segretario del partito, im– pegnatosi al Congresso di Bologna a rispettare l'autonomia· delle sezioni nella scelta della tecnica elettorale da seguire durante il secondo turno delle amministrative, impose alla se– zione di Roma, dopo aver ncgoziatd per conto suo con la D.C. la parte politica e finanziaria degli accordi, l'apparentamento del P.S.D.l. con la D.C. alle amniinistrazioni romane. E il rcsultato che seguì fu il preannun– cio di quello che avrebbe significato una politica analoga estesa al piano nazionale: il Partito, che aveva avuto circa 40.000 voti alle elezioni del 1948, calò a 30.000, perdendone un quarto. Una reazione istintiva avrebbe in– dotto la sinistra - nel momento in cui Matteotti, con la tacita approva– zione di Romita, violava così palese– mente la politica di Bologna - a un colpo cli testa, come quello com– piuto da Andreoni e da altri com– p3.gni romani che per manifestare la loro legittima ira uscirono dal Partito e presentarono una lista av– versa. Sarebbe stato giusto per lo meno rovesciare la segreteria, che si reggeva solo grazie ai due voti della sinistra in direzione. Ma in tal modo sarebbe finito l'ostruzionismo alla ri– forma elettorale e Ròmita o Saragat o Matteotti avrebbero, prima dell'e– state, intavolato trattative con la D.C. e varato tranquillamente la loro legge elettorale fatta su misura. Romita rimase quindi ancora segre– tario con l'appoggio della sinistra a patto di rispettare i deliberati di Bo– logna. Si cercò, anzi, durante l'esta– te, in ·vista del Congresso straordi– nario fissato per il mese di settembre 1952 a Genova, di presentare al Con– gresso una piattaforma proporziona– listica unitaria di tutta la maggio– ranza uscente. Vincendo il Congres– so su quella piattaforma, anche equi– voca, Dc Gaspcri avr~bbc probabil– mente rinunciato alla riforma eletto– rale. Perdendola, Saragat avrebbe do– vuto tener conto di una sinistra rap– presentante poco meno della metà del Partito e battutasi in difesa della proporzionale, e quindi anche la sua adesione alla riforma elettorale avreb– be dovuto essere fortemente condi– zionata, sul piano tecnico come su quello politico. Nelle .riunioni tenute durante il luglio e l'agosto del I 952 fra i rap– presentanti dei vari gruppi della si– nistra (ossia delle vecchie correnti n. 3, 4, 6) a Roma, per concordare una piattaforma di intesa per il Con– gresso di Genova, Romita sembrò disposto a battersi in difesa del– la proporzionale pura e la sua relazione politica di segretario uscen– te testimonia questa sua volon– tà. Quella relazione doveva anzi essere la piattaforma unitaria su cui tutta la sinistra si sarebbe battuta al. Congresso. Ma fin dalla prima riu– nione Matteotti e Preti dichiararono apertamente di non crédcrc più pos– sibile il mantenimento della propor– zionale e di favorire anzi un sistema maggioritario con premio alla mag– gioranza, che presupponeva natural– mente un'alleanza elettorale del par– tito con la D.C. Preti aveva anzi in tasca un progetto bello c. pronto. Ma a denti stretti accettarono la rela– zione di Romita, come l'accettò Ma– rio Zagari, il quale aveva cercato di inserirvi una serie di formule equivoche. Romita tenne duro su quella posi– zione fino alla fine di agosto, quando fu invitato da Dc Gaspcri a Sella di Valsugana. Nel colloquio col Pre– sidente del Consiglio, a quanto egli ci riferì successivamente, e non ab– biamo motivo di n·on prestare fede alle sue parole, Romita indicò con chiarezza la posizione .della sinistra, pur facendo capire ad un uomo ca– pace di intendere anche a mezza voce come Dc Gasperi, che non sarebbe stato avverso a qualche leggero ri– tocco alla legge elettorale esistente. De Gasperi- capì benissimo, soprat– tutto quando la destra socialdemo– cratica gli fece intendere che una parte degli amici di Romita aveva ormai già aderito alle sue posizioni. Romita ~bbe paura di rimanere iso– lato con noi, con Mondolfo e Fara– velli, nel momento in cui Matteotti e Zagari si preparavano a passare dall'altra parte e quindi, pur avendo fatto lussuosamente stampare una relazione proporzionalista, si presen– tò al Congresso, insieme con Mat– teotti, Zagari e Preti, su una piat– taforma antiproporzionalista. La battaglia ostruzionistica era finita. Si erano guadagnati otto mesi. Poi cominciarono le trattative, le rinunce, l'abbandono da parte di Saragat e Romita delle precise con– dizioni poste al Congresso di Genova su loro stessa richiesta. Poi, la ri– bellione della sinistra, la sua espul– sione, il rientro di alcuni compagni nel partito. Ma intanto, per man– canza di tempo, di quel tempo che la sinistra aveva fatto perdere alla de– stra e a Dc Gasperi, la riforma elet– torale, davanti all'ostruzionismo par– lamentare dei socialcomunisti, si in– cagliò e dovette essere varata senza tener conto di alcuni degli articoli fondamentali dei regolamenti delle Camere. La situazione si drammatiz– zò al massimo con l'ultima seduta del Senato e col suo scioglimento. La gente capl e forse non avrebbe capito se il governo avesse avuto a sua disposizione un anno, anziché quattro mesi, per varare la nuova legge elettorale e se noi non fossimo andati fino in fondo, con l'aiuto di compagni di lotta cosl validi. come Parri, Zuccarini e Piccardi che ci permisero di portare davanti al Pae– se quell'istanza autonomista che era stata cacciata via dal Partito. Il P.S.D.l. ha perduto 600.000 vo– ti. Lo prevedevamo fin dal primo mo– mento e lo avevamo detto ai com– pagni della destra. Lo avevamo detto non solo in questo ultimo anno, ma da cinque anni quando Simonini ci rideva sopra. Avevamo detto che il P.S.D.I., entrato al governo alla fine del 1947, era solamente un troncone non solo del socialismo, ma della so– cialdemocrazia italiana. In tutte le elezioni anteriori al 18 aprile il P.S.D.l. aveva avuto infatti una me– dia del 4% dei voti, corrispondente esattamente sul piano nazionale a 1 milione e un quarto di voti. Il 18 aprile, nel momento in cui il P.S.l. si confondeva col P.C. nel Fronte DemocratiCo Popolare, noi costituim– mo l'Unione dei socialisti e, alleati col P.S.L.1. nelle liste di Unità So– cialista, riuscimmo a presentare al paese un'istanza di socialismo unita• rio e autonomo, almeno nelle inten– zioni, poiché Unità Socialista conte– neva l'impegno di fare un unico par• tito e di riesaminare, dopo le elezioni, tutta la politica di collaborazione con la D. C. Avemmo allora - buon auspicio - 1.856.000 voti. Ma quando, dopo il 18 aprile, l'unificazione non si fece e il P.S.L.l. continuò a collaborare in– condizionatamente al governo, in tutte le elezioni amministrative avve– nute fra il 1948 e il 1951, esso ebbe di nuovo una media del 4% dei voti,"pcrdcndo tutto il vantaggio con– seguito il 18 aprile. Il socialismo de– mocratico si presentò alle elezioni provinciali e comunali del 1951 do– po aver concordato nuovamente la formazione di un unico partito so– cialista democratico e dopo il distacco del P.S".L.I. dal governo. Ripetendosi le condizioni oggettive RISO AMARO che avevano favorito l'affermazione del 18 aprile, il socialismo democra– tico tornò, nei due turni delle ammi– nistrative del l 951 e 1952, a 1.800.000 voti. Ci siamo sforzati fra il giugno 1952 e la nostra uscita dal partito di spiegare che i 600.000 voti recu– perati erano tornati a noi su una piattaforma di sinistra, di autono– mia dalla D.C.; che quei voti, come .a.elleelezioni romane, se ne sarebbero andati via non appena gli elettori avessero avuto l'impressione che i di– rigenti socialdemocratici tornavano, anche per un buon motivo, a legarsi a filo doppio a Dc Gasperi. Cercam– mo di spiegare, a chi ci invitava alla disciplina, che la disciplina dei diri– genti della sinistra non avrebbe reso disciplinati i 600.000 voti che avreb– bero rifiutato di andare a un P.S.D.I. collegato con la D.C. Dopo la nostra espulsione cercam– mo di spiegare a Mondolfo e a Fa– ravelli che il nostro ritorno nel par– tito, senza l'abbandono del progetto elettorale da parte del governo, o senza per lo meno garantirci delle limitazioni serissime, non avrebbe fat– to tornare al partito gli elettori le cui esigenze cercavamo di interpretare. Noi avevamo sperato che Sara– gat, con un margine di sicurezza del quadripartito così ristretto, si sareb– be servito della nostra collaborazione per ottenere da De Gasperi condi– zioni migliori e per convincerlo che il gruppo di pressione formatosi al– l'interno del Partito, con l'appoggio evidente di larghi strati dell'opinione italiana, aveva un peso sufficiente a modificare l'equilibrio politico italia– no qualora le sue condizioni non fos– sero state accettate. Il problema politico da noi posto fu trattato da Saragat come un pro– blema di disciplina. Mattcottj giun– se perfino a chiedere in sede di dire– zione, in appoggio alla tesi di Sara– gat, che si facesse un codice della disciplina per meglio colpire i ribelli. E poiché il nostro caso fu trattato come un caso di disciplina, agli elet– tori della sinistra socialdemocratica non rimaneva altra via se non quella di applicare la sola disciplina del partito di Saragat, sottraendogli i loro voti. Una sinistra unita e decisa, come al primo convegno di Firenze, avreb• be conservato integralmente quei 600.000 voti. Ma i tentennamenti e le esitazioni di alcuni deputati ad impegnarsi su una via così rischiosa, il ritorno loro e di uomini aventi allora il presti– gio di Mondolfo e Faravelli nel par– tito, discreditavano la sinistra, anche quando gli uomini rimasti fuori di– mostrarono coerenza e decisione. Mondolfo e Faravcm si illudevano di riportare nel partito i voti della sinistra. Le cifre dimostrano oggi che hanno solo contribuito ad indebolire la forza di attrazione di Unità Po– polare e a fare andare verso il P.S.J. una maggior parte dei voti catapultati da Saragat in direzione di Nenni. Ciononostante, noi ci siamo as• sunti la responsabilità di mettere in scacco la legge elettorale e su questa azione abbiamo principalmente im– perniato la nostra campagna eletto– rale, convinti che il ritorno alla pro– porzionale era condizione per un ri– torno ad un giuoco democratico più ·sano in Italia e alla possibilità di un dialogo proficuo non solo fra le va– rie forze politiche italiane, ma SO· prattutto fra le forze che popolano il mondo socialista italiano. Cucchi e Magnani volevano an– teporre la formazione di un altro partito socialista a questa battaglia immediata per un obbiettivo imme– diato. Essi non avevano fatto le varie esperienze di unificazione che aveva– no travolto il mondo socialista ita– liano in questi cinque anni perché erano iscritti al Partito comunista. In un certo senso non le aveva fatre interamente nemmeno Andrconi che nel 1949, come direttore di Umanità, fu uno dei principali responsabili della decisione della destra del P.S. L.I. di non partecipare al Congresso di unificazione di Firenze del dicem– bre 1949. Noi sapevamo invece per le espc• rienze che avevano fatto, che i ten– tativi di unificazione ai vertici, scri– vendo lettere aperte a Nenni e a Saragat, per dimostrare la loro scar• sa fede socialista, non erano mai ar– rivati veramente in profondità alla base; sapevamo ...-che tentativi d1 unificazione, come quelli compiu– ti con le liste di Unità socialista e con il P.S.D.1., non bastavano a ridare un'anima e una forza vera• mente socialista al troncone unifica– to. Sapevamo che perfino il P.S. U., costituito per disperazione dopo che P.S.L.l. e P.S.I. avevano dimostrato di non poter essere sganciati dalla D.C. e dal P.C.1., non aveva saputo di fatto resistere al mito unitario col P.S.L.l. Gli impedimenti alla unifi– cazione non erano quindi negli uomi– ni o nella loro buona volontà, ma nelle cose. Prima di cambiare gli uomini bisognava cambiare le cose e la lotta contro la legge maggiori– taria ci offriva, per la prima volta, l'occasione, come minoranza di pun- ta, di dimostrare al paese e ai socia– listi che con l'azione decisa anche di una minoranza si possono cambiare le cose. Bisogna ora perseverare su questa strada, continuare a cambiare le cose in Italia e ottenere il concorso di un numero crescente di socialisti. Cono– sciuti gli ostacoli che stavano nelle cose, la unificazione verrà poi da sé. Verrà da sé, soprattutto, se saremo capaci di creare un terreno d'incon– tro, una piattaforma di intesa, una prospettiva di azione socialista su cui si possano incontrare tutti i socialisti. Verrà da sé, se finalmente i socia– listi italiani vedranno chiaramente un'azione ed un programma che in un giorno non troppo lontano possa– no portare un socialismo unitario al potere. I' AOLO\'ITTORELLI UN VOLONTARIO DELlA MORTE RICORDANDO MATTE G IACOMO Matteotti vide nascere nel Polesine il movimento fa– scista come schiavismo agrario, come cortigianeria servile degli spo• stati verso chi li pagava; come mc;– dioevale crudeltà e torbido oscuran– tismo verso qualunquç sforzo dei la– voratori volti a raggiungere la pro– pria dignità e libertà. Con questa ini– ziazione infallibile Matteotti non po– teva prendere sul scrio le scherzose teorie dei· vari nazional-fascisti, né i mediocri progetti machiavellici di Mussolini: c'era una questione pii:t fondamentale di incompatibilità etica e di antitesi istintiva. Sentiva che per combattere util– mente il fascismo nel cal)lpo politico occorreva opporgli esempi di digni– tà con resistenza tenace. Farne una questione -di carattere, di intransi– genza, di rigorismo. Così s'era condotto contro tutti i ministerialismi, senza piegarsi mai. Ncl '2 l al prefetto di Ferrara che lo èhiamava in un momento critico della lotta agraria aveva risposto per telefono: « Qualunque colloquio tra noi è inutile. Se lei vuole conoscere le nostre intenzioni non ha bisogno di me perché ha le sue spie. E delle sue parole io non mi fido ». Il 12 marzo 1921 Matteotti dove– va parlare a Castelguglielmo. La lot– ta si era fatta da alcuni mesi violen– tissima; s'era avuto in Polesine il pri– mo assassinio. Quel sabato egli per– correva la strada in calesse e Stefano Stievano, di Pincara, sindaco, gli era compagno. Ciclisti gli si fanno incon– tro dal paese per metterlo in guar– dia: gli agrari hanno preparato una imboscata. Matteotti vuole che lo Stievano torni indietro e compie da solo il cammino che avanza. A Ca– stelguglielmo si nota infatti movimen– to insolito di fascisti assoldati; una folla armata. Alla sede della Lega lo aspettano i lavoratori e Matteotti parla pacatamente esortandoli alla resistenza: ad alcuni agrari che ~i presentano per il contradditorio ri– fiuta; era una vecchia tattica quan– do volevano ·trovare un alibi per la propria violenza: parlare ingiuribsa– mentc ai lavoratori per provocarne la reazione facendoli cadere nell'in– sidia. Matteotti si offre invece di se– guirli solo e di parlare alla sede agra– ria; così resta convenuto, e dai la– voratori riesce ad ottenere che non si muovano per evitare incidenti più gravi. Non so se il coraggio e l'avvedu– tezza parvero provocazione. Certo non appena egli ebbe varcata la so– glia padronale - attraverso doppia fila di armati - dimentichi del pat– to gli sono intorno· furenti, le rivol– telle in mano, perché s'induca a ri– trattare ciò che fece alla Camera e dichiari che lascerà il Polesine. - Ho una dichiarazione sola da farvi: che non vi faccio dichiara– zioni. Bastonato, sputacchiato non ag– giunge sillaba, ostinato nella resi– stenza. Lo spingono in alto a viva forza in un camion; sparando in alto tengono lontano i proletari accorsi in suo aiuto. I carabinieri rimane– vano chiusi in caserma. Lo portano in giro per la campa– gna con la rivoltella spianata e te– nendogli il ginocchio sul petto, sem– pre minacciandolo di morte se non promette di ritirarsi dalla vita po- . litica. Visto inutile ogni sforzo final– mente si decidono a buttarlo dal ca– mion nella via. Matteotti percorre a piedi dieci chi– lometri e rientra a mezza notte a Rovigo dove lo attendevano alla sede della Deputazione provinciale per la proroga del patto agricolo il cava– lier Piero Mentasti, popolare, l'avv. Altieri, fascista, in rappresentanza dei piccoli proprietari e dei fittavo– li; Giovanni Franchi e Aldo Parini, rappresentanti dei lavoratori. Gli abi– t.i un poco in disordine, ma sereflo e tranquillo. Solo dopo che usciro– no gli avversari, rimproverato dai compagni per il ritardo, si scusò sor– ridendo: - J m'ha robà.... Matteotti andò incontro alla mor– te. Ne aveva il presentimento. A Torino il giorno della conferen– za Turati un profugo veneto gli chiese: - Non ti aspetti una spedizione punitiva da qualche Farinacci? Rispose testualmente così: - Se devo subire ancora una vol– ta delle violenze saranno i sicari de– gli agrari del Polesine o la banda romana della Presidenza. Come segretario del Partito Socia– lista Unitario aveva condotto la lot– ta contro il fascismo con la più fer– ma intransigenza. Rimane il suo vo– lume: Un anno di dominazione fa– scista, un atto d'accusa completo, fat– to alla luce dei bilanci, e insieme una riyolta della coscienza morale. E fu Matteotti a stroncare, non appena se ne parlò, ogni ipotesi collaborazio– nista della Confederazione del Lavo– ro: non si poteva collaborare col fa– scismo per una pregiudiziale di re– pugnanza morale, per 1~ necessità di dimostrargli che restavano, quelli che non si arrendono. Come segretario del partito pensava al collegamento, animava le iniziative locali, le coordi– nava intorno a questo programma. Compariva dove il pericolo era pi l1 grave, incognito suo malgrado, a da– re l'esempio. Talvolta osò tornare in Polesine travestito, nonostante il ban– do, con pericolo di vita, a rincuorare i combattenti. Egli rimane come l'uomo che sa– peva dare l'esempio. Era un ingegno politico quadrato, sicuro; ma non si può dire quel che avrebbe potuto fa– re domani come ministro degli inter– ni o delle finanze: ormai è già nella leggenda. Ho letto una lettera di un lavo– ratore ferrarese, scritta il 16 giugno: « Come puoi figurarti qui non si parla di altro e i giornali non fanno in tempo ad arrivare in piazza per– ché sono strappati ai riuenditori e letti avidamente. La deplorazione è unanime e il risueglio non più nasco– sto. Pare che l'incantesimo • della paura sia infranto e la gente parla senza titubanze. La perdita però por– terà i suoi frutti di libertà e di ci– viltà che renderanno allo spirito elet- . to del nostro Grande la pace e la gioia per il sacrificio compiuto. M at- 1 teotti era un uomo da affrontare la· morte volontariamente se questo gli fosse 'sembrato il mezzo adatto per· ridare al proletariato la libertà per– duta». Non si può immaginare una com• memorazione più spontanea e più ge– nerosa. Come se i lavoratori abbiano sentito in lui la parola d'ordine. Per– ché la generazione che noi dobbiamo creare è proprio questa, dei volon– tari della morte per ridare al pro– letariato la libertà perduta. PIEROGOBETTI Luzlio 1924

RkJQdWJsaXNoZXIy