Lo Stato - anno II - n. 12 - 30 aprile 1961

Problemi militari e Con cattive armi non si garantirà mai una efficace difesa del paese anche se si disporrà di ottimi criteri di impiego, ottima organizzazione, ottimo materiale umano Oggi, con l'estrema tecnicizzazione •della guerra, anche i problemi militari sono diventati, in parte, problemi indu– striali. In quanto tali, poi, escono dai limiti nazionali, poiché non tutti i paesi dispongono di una adeguata attrezza- . tura in fatto di industria bellica, parti– colarmente riguardo agli armamenti pe– santi. E', in termini estremamente sem– plificati, la situazione stessa dell'Italia, che costruisce solo una parte minima del proprio materiale da guerra, mentre tutto il resto ha origini americane (non .sempre recentissime). Comunque, acquistate o costruite, le armi devono sempre essere funzionali, rispondenti alle esigenze di quel parti– colare paese in quel particolare periodo. Anzi, proprio in ciò dovrebbe consistere l'opera di uno Stato Maggiore: garan– tire alle proprie forze armate - oltre che una adeguata dottrina militare, buona struttura organica, appropriata soluzione dei problemi di addestramen– to e mobilitazione, ecc. - il materiale da guerra necessario a risolvere tutti i problemi della difesa, .jntegrando oppor– tunamente le costruzioni nazionali con i mezzi di importazione, secondo i cri– teri della convenienza e delle esigenze delle proprie forze armate~ Certo, non secondò criteri di altro genere, o peggio senza criterio alcuno. Ma talvolta, in Italia, si verificano proprio questi ultimi due casi; così, si rendono inutili e vani tutti gli sforzi compiuti negli altri settori della prepa– razione militare. Con cattive armi non si garantirà mai una efficace difesa del paese, anche se si disporrà di ottimi criteri di impiego, ottima organizza– zione, ottimo materiale umano. Per intenderci, qual'è il criterio va– l.id per accettare se il materiale da guerra è ali'altezza della situazione? Confrontare detto materiale con i mezzi similari in dotazione negli altri eser- 14 bibliotecaginobianco citi, arruc1 e nem1c1 potenziali, tenendo conto inoltre delle proprie particolari esigenze dovute a cause geografiche, strategiche, politiche. Per il materiale da guerra in dota– zione alle unità dell'Esercito vanno con– siderati in primo luogo i mezzi coraz– zati, oggi niente affatto superati dalle «super-armi>; anzi riconosciuti dalle dottrine militari moderne come i mezzi più idonei ad operare in ambiente ato– mico. Il carro-base della divisione co– razzata italiana è il « Patton », nella versione « M. 47 ». Si tratta soprattutto di materiale antiquato, entrato in ser– vizio fino dal 1952 nelle unità ameri– cane ed europee NATO; già sostituito in entrambe dal « Patton-M. 48 » e ora - nei reparti USA - dal più recente « M. 60 >. E' un carro, il « Patton », che anche negli anni passati non è mai stato all'altezza della situazione, un carro che ha una giustificazione solo come stadio di transizione per arrivare ali'« M. 60 ». Il « Patton » - nelle sue tre versioni: « M. 46 », « 47 >, « 48 > - era definito un ca:rro medio, quindi non adeguato a misurarsi con i carri pesanti sovietici del tipo « Stalin > e con il successivo « T. 10 ». Ma anche come carro medio, aveva un temibile con– corrente nel « T. 34/85 » e poi un av– versario nettamente superiore nel « T. 54 ». Come carro medio occidentale, il britannico « Centurion », nelle versioni III-VII, era senz'altro superiore. Ora, comunque, il problema è stato risolto da Stati Uniti e Gran Bretagna, i pri– mi con il nuovo « M. 60 », la seconda con una ulteriore versione del « Centu– rion »: entrambi sono armati con il pezzo c/c da 105 mm. di costruzione inglese cd entrambi sono tecnicamente superiori ai mezzi similari russi. Ma, l'Italia? L'Italia è ferma al « Patton-M. 47 >. In altre parole, è fer– ma ad armi che se fanno impressione industria sul pubbJ.ico profano durante le sfilate annuali del 2 giugno, tecnicamente so– no inadeguate. Non si ·tratta soltanto dei « Patton », ma anche degli altri tipi di mezzi corazzati. Il carro da esplorazione in dotazione ai nostri re– parti è ancora oggi l' « M. 24-Chaffee >, che risale al 1945 ed ha partecipato agli ultimi mesi di guerra in Europa e in Asia; tutti gli eserciti del mondo, non escluso quello cinese di Formosa, ha sostituito l' « M. 24 » con il più mo– derno (e più efficiente) « M. 41 - Wal– ker Bulldog >. Ancora, l'Esercito Italia– no conserva quei decrepiti ammassi di ferraglia sconnessa che sono gli « Half– u·ack », i semicingolati del lontano anno 1942; gli altri eserciti occidentali di– spongono invece dei carri-veicolo cingo– lati « M. 59 » e « M. 113 », i primi del 1954 e i secondi del 1960. Anche qui, non si· tratta semplicemente di vetustà, ma principalmente di efficienza. Lo stesso discorso è poi valido per le autoblinde, che sono ancora le « M. 8- G[eyhound » del 1943. Mma esigenza, dunque, adeguare 1 mezzi corazzati del nostro Esercito. Ma, costruirli, o acquistarli? L'Italia non di– spone di una adeguata attrezzatura in– dustriale - non l'ha mai avuta, nep– pure durante la guerra, purtroppo - per costruire carri armati di produzione nazionale, specie di tonnellaggio medio e grosso. E' dunque opportuno conti– nuare a servirsi del materiale straniero, anche americano: « M. 60 », « M. 41 », << M. 113 ». Per i mezzi corazzati legge– ri e le autoblinde anche l'industria na– zionale potrebbe attrezzarsi e iniziare una produzione specializzata in pochi tipi di carri: qualcosa del genere ha fatto la Francia, costruendo gli ottimi carri leggeri « AMX. 13 » ed « ELC », i carri-veicolo leggeri « TT. 6 » e « VTT. AMX», le formidabili autoblinde «EBR. 75 » ( versioni 54-10 e 54-11). Forse migliore la situazione del ma– teriale d'artiglieria, con l'entrata in servizio, negli scorsi anni, di buoni pez– zi di costruzione italiana. Tuttavia, il vecchio obice americano da 105/22 (che ha fatto la seconda guerra mondiale) resta il pezzo-base dell'artiglieria da

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