Lo Stato - anno II - n. 11 - 20 aprile 1961

stri"'ale. Di noi il popolo americano -non ha quei timori che, invece, altri riesce a suscitare. Una penetrazione italiana non vulnera il principio del– l'America agli a.mericani, se non al– tro. per quella nostra caratteristica di popolazione assimilabile. Gli oriwndii italiani negli Stati: Uniti so– no una dimostraz,ione inoppugnabile di come sappiamo totalmente im- 1/'~ergercie profondamente innestarci nelle comunità che ci ospitano. Ciò non pertanto, il sentimento di unità spirituale con la patria d'origine ci piene meno. E lo provano le acco– glienze riservate al Presidente Gran– chi, il cut ricordo gli italiani in Pa– tria sapranno conservare come il messaggio più caro di quelli che pur avendo cambiato il ciclo, non hanno cambiato l'animo. La politica del passamano Si è parlato molto, negli ultimi dieci giorni di questioni economiche: di agricoltura, di tributi, di petrolio, di scambi commerciali con l'estero. E, ciononostante, al commentatore non riesce di trovare un elemento nuovo sul quale intessere la sua consueta nota. Semplicemente perché, pur essen– dosi molto parlato, sostanzfalmente non si è iLetto alcunché di nuovo. Hanno parlato un po' tutti.'. esper– ti. tecnici, operatori, politici. Le pri– me ire. categorie hanno parlato so– pratutto perché gli ultimi conclu– dessero, ma non vi è stata alcuna conciustone. Si sono fatte molte diagnosi. So– no quindici anni che si fanno dia– gnosi. Meno frequentemente si in– dicano terapie adeguate, assai ra– ramente st· decide di s,cegliere, tra le tante proposte, la terapia ritenu– ta più giusta. Da c,t;·ca un anno in qua scelte non se ne fanno addi– rittura più. Un tempo; si lamentava che si prendessero decisiont senza un pre– vio approfondito studio circa la bon– tà e l'efficacia dei provvedimentt che si adottavano. Ora, sta accaden– do il contrario. Le discussioni, i di– battiti, talora le polemiche sono am– pi e profondi e tutti vi concorrono arrecando preziosi contributi di co– noscenze e di esperienze, ma non seguono quasi mai scelte chiare e ferme decisioni. Gli economisti, gli esperti possono affermare, a ragione, che in difetto oggt sono t politici. Prendiamo, ad esempio, l'agricol– tura. E' un settore malato, non sol– tanto da ,noi, ma in tutto il mondo. Per guarirlo bisogna rinnovarne la intera struttura e poiché un tale rinnovamento -non può essere che un processo di lungo termine, biso– gna, contemporaneamente adottare provvedimenti immediati per un im– mediato sollievo, ad evitare che, con una cura necessariamente lunga, sopravvenga la morte prima della guarigione. Per far l'una e l'altra cosa indi– cazioni ed indirizzi abbastanza pre– cisi esistono. Non si tratta che df adottarli concretamente: ma non lo Lo STATO bibliotecaginobianco si fa, forse perché cio comportereb– be, .inevitabilmente, resistenze di va– rie categorie; per taluni aspetti, pro– babilmente, anche di quella degli agricoltori. E così è per moUi -altri settori: per quello della politica tributaria, per quello della politica meridiona– listica e. via dicendo. Si sostiene da più parti che man– ca una politica economica. Senza voler giustificare alcuno ci sembra sia più esatto dire che ·manca uni'/, lìnea. chiara in tutta la politica ge– nerale. Per fare una buona politica eco– nomica, occorrono una politica in– terna· che la sorregga ed una poli– tica estera che le sia ,compatibile; · occorrono una politica agraria, in– dustriale del lavoro che non la con~ trastino. E perché ciò si verifichi bisogna che un governo sia capace di un coordinamento rigoroso. Ciò che, almeno oggi, non è. La col1Ja non è sempre dei singoli Ministri e ministeri, è più spesso di chi dovreb– be e non riesce a coordinarli, lo è assai di più di chi o di coloro che hanno ,deter:minato una situazione politica oggettiva assai difficile, tale da aver causato un sostanziale im– mobilismo deWesecutivo. In queste condizioni ragionar di cose economiche significa fare della accademia. Quaiche volta accade pu– re che si faccia della confusione.· Ma ciò che è più grave è che ri– manendo senza prender decisioni, se si evitano grane politiche, non si ri,e,sce ad evitare i guai ( e quali guaii) sul piano economico. E le conseguenze sono di due ordini: dan– ni immediati e prospettive di un cre– scente, inevitabile slittamento verso il collettivismo. I primi per la incer– tezza e le perdite di tempo e di da– naro di ogni giorno. Il secondo per– ché perdendo il nostro sistema, per la sfiducia di molti, gli stimoli• na– turali della sua evoluzione, diventa indispensabile integrarlo con mec– canismi artificiosi più propri del si– stema socialista. Già si è sentito parlare di agricol– tura come « servizio sociale» (si po– trebbe dire servizio pubblico). Si è sentito os'annare al sistema soci~li- • sta del passaggio dei prodot'ti (pe– troliferi a·d esempio) dalla produzio– ne alla vendita senza intermediari. Si é sentito proporre un istituto di Stato per surrogare una presunta mancanza di iniziativa e di compe– tenza da parte dell'industria priva– ta nel Meridione. E lo scopo per cui si va facendo tutto ciò è, 1J,ellein– tenzioni, buono e i risultati che si conseguono, posano anche sembrare positivi: sicché non ci sarebbe che da concluiLere che quella è l'unica via che rimanga da seguire. In effetti, ,senon ci si mette a ri– mediare con serietà e con capacità ai molti inconvenienti cui si è dato vita per poco chiara visione delle cose, per lentezza nell'azione, per in– decisione, per calcolo, per paura, si rischia proprio di finire in quel modo. E non si mobilitino economisti, esperti e tecnici, non si cerchi l'inu– tile avallo di · trust di cervelli. Qui la questione J un'altra: occorre il coraggio (ammesso che al coraggio preesista l'intenzione) di effettuare poche, chiare, semplici scelte, ma– gari anche impopolari per qualche categoria. Occorre un governo che governi, sapendo governare. A tale conclusione si deve giun– gere quando si constata che settori e categorie, la cui attività è deter– minante ai fini dì un ordinato ed armonico sviluppo delle attività pro– duttive, vengono spinte sull'orlo del– la ribellione dalle assurde incon– gruenze di disposizioni ministeriali. Quando i responsabili d,i grandi enti statali ribadiscono pu_bblica– mente la volontà di perseguire una linea di azione che ogni giorno di più batte vie che prescindono da una valutazione globale dei proble– mi politici, economici e sociali che al governo derivano da una sicura collocazione del paese nei grandi s-chieramenti internazionali. Quando non passa giorno· che mi– nistri, o lo stesso presidente del con– siglio, si sentono autorizzati ad im– pegnarsi per « piani di sviluppo>, sovvenzoni, ognuno per suo conto, al di là di ogni coordinamento e di ogni seria rift,essione sugli oneri fi– nanziari che essi comportano. 7

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