Lo Stato - anno II - n. 11 - 20 aprile 1961

zione sembrava concludersi una polc;– mica che, se condotta fino alle estreme conseguenze e fino alla negazione di tutti i miti populisti - compreso quel– lo democratico - poteva divenire esemplare. ·Invece, in questi giorni, Zolla, dimen– ticando i suoi passi e contropassi che lo fanno apparire - di volta· in volta - il dispregiatore ed il negatore della « ci– viltà di massa > o il compagno di stra– da di coloro che di questa civiltà ·sono i più conseguenti ed impazienti. assertori, ha dato al,le stampe un breve romanzo in cui· ritorna sul tema della personali~à umana avvilita e in-tristita negli ingra– naggi della società contemporanea. La protagonista di « Cecilia o la di– sattenzione > è una ragazza del tempo nostro, una femmina ultramoderna che vu'ole condurre la sua esistenza al di fuori di regolari linee morali, .che re– spinge i legami familiari e rifiuta ogni sentimento, atterrita all'idea di dovere, pur se in un secondo tempo, costringere la sua vita entro schemi normali o, al– meno, considerati normali da chi sa an– cora scorgere gli steccati divi-sori tra bene e male. L'aspirazione dell'autore, però, era di riuscire a -presenta-re come vera p~':1- tagonista Torino, la ciittà-guida dell'm– dus·tria italiana, il centro-pi-Iota del mo– vimento di indus-trializzazione naziona– le, il « cervello > del neocapitalis.mo no– strano. La vera protagonista avrebbe do– vuto essere la Torino della oligarchia tecnica e delle aristocrazie operaie arroc– cate al.Ja FIAT; la Torino della « cul– tura massificata > che trova i suoi segua– ci perfino nelle grandi case editrici, nelle scuole e nell'Ateneo; la Torino che nel nome di Cavour, di Giolitti, di Gobetti e di Gramsci ha lanciato l.a parola d'ordine di un nuovo fronte de– gli intellettuali di sinistra. La vera pro– tagonista del romanzo di Elemire Zolla avrebbe dovuto essere la Torino ca– pitale della « smobilitazione ideolo– gica >; la città, cioé, dove i preti -:- come [)on Peyron, fratello del sin– daco - vogliono ad ogni costo « ag– giornarsi», magari dirigendo una casa di moda; dove gli studentelli demoori– stiani piangono Mounier scopiazzando i francesi di trenta anni fa; dove gli intellettuali cattolici imitano Guzzo nel vaniloquio neospiritualista e dove il marxismo tenta un innesto con il posi– tivismo logico di derivazione anglo– sassone. Indubbiamente lo spunto di Zolla era felice. Non si sarebbe offerta troppo fa- Lo STATO bibliotecaginobianco cìlmente al nostro un'occasione migliore per lasciar penetrare tra le maglie del romanzo impressioni e giudizi su quel– la società che si -presenta in Italia come la più avanzata rispetto al modello della .città massificata. Proprio un'intelaiatura narrativa che ha in Torino il suo so– stegno e, al tempo stesso, la giustifi– cazione per i più vari e contrastanti personaggi ed ambienti, offriva a Zolla il destro per un'autocritica c'.helo riscat– tasse dai trascorsi controsensi e ripie– gamenti. Invece, il suo discorso è rima– sto sfocato, appesantito dalle continue « tirate > contro -taluni modi di pensare e di vivere che, pe-rò, non hanno signifi– cato e forza di convincimento essendo avulse da ogni chiaro riferimento ideologico. I personaggi di Zolla sono tutte crea– ture fuori-centro; da _Cecilia che ci si rivela come la prima vittima della mito– logia di cui lei dovrebbe farsi propaga– trice senza crederci (ma questo è detto in superficie senza che nulla dia l'idea del giogo spirituale che opprime Ce– cilia) agli amanti acefali e svirilizzati, sempre nel dubbio e nella noia, e alle vecchiarde, dedite alle opere assisten– zial-i, intese come ultimo passatempo prima della morte. Sono, i personaggi di ZoUa, individui anormali, tutti - più o meno - pervertiti sessuali, che non hann~ nessun valore di esempio e che, al I • • nem1c1 massimo, possono stare a dimostrazione di un estremo grado di inebet-udine. Torino non c'entra. La Torino del neocapitalismo e del clerico-marxismo; la Tori-no del!'operaio « evoluto > che va in 600 e che ha sistemato Ia televisione nel più raccolto angolo della sua abita– zione; la Torino del proletariato droga– to dai prodotti molteplici della industria pubblicitaria e della borghesia « progres– sista >, assertrice di teorie politiche che sono il risultato di un eclettismo esa~ sperato (cristianesimo di « Exprit >, ra– dicalismo da « new dea!>, leninismo nell'interpretazione di Gramsci e neo– revisionismo marxista); la Torino del cosiddetto « esistenzialismo positivo > e della poesia neosperimentale; la Tori-no quetis.ta, tipica espressione dalla tregua ideologica raggiunta dalla nostra demo– crazia, che si è preclusa il domani per « godersi l'oggi»; la Torino del lavoro umano che si riduce sempre più . ad azione fiancheggiatrice del movimento dclle macchine; la Torino della realtà, insomma, resta fuori dal romanzo di Elemire Zolla. Ed è per questo che ogni accusa dell'autore di «Cecilia» si risolve in vano, inascoltato lamento. E per questo, al momento di. agire, a Zolla non resta che tirare un frego su tutte le sue pagine e darsi per vinto in mano di coloro che egli asse-riscedi conside- rare nem1c1. FAUSTO BELFIORI dei • musei Le rievocazioni di un protago– nista delle " serate futuriste,, [)a Benedetto Croce che lo considerò « altro dalla poesia », ad Alfredo Pan– zini che nel s-uo vocabolario ne conclu– se la voce fra l'ironico e lo scherzoso (« Certo distruggere i[)ante e Omero equivale a far apparire grandi i pigmei: certo il futuro di domani l'altro divora iì futuro di domani »), non mancarono al futurismo, anche dalla critica più accorta e provveduta, le stroncature in– discriminate e le testimonianze di scar– sa considerazione: in fondo si preferiva ridere e magari divertirsi, non esistendo ancora la prospettiva giusta che permet– tesse di giudicare quel movimento con sufficiente ·approssimazione. Oggi ci accorgiamo facilmente che molti fra i nomi più significativi della nostra lette- ratura sono passati attraverso quella esperienza, da Soffici a Papini, da Pa– lazzeschi a Govoni, sicché e naturale che si sia portati a volerne individuare il valore è la portata. Alla luce del tem– po e degli avvenimenti quei pugilati e quelle intempera,nze ci appaiono or– rna1 come qualcosa di diverso dalla esu– beranza e dalla sfacciataggine di artisti ancora troppo giovani. Nel .1959 un vo– lume di Enrico Falqui, Bibliografia e iconografia del futurismo, dimostrò lar– gamente come l'interesse non sia mai mancato intorno al movimento futuri– sta, e con una nutrita introduzione ten– tò esso stesso una interpretazione critica aggiornata del futurismo; e l'interesse si rinnova ora, con l'uscita di un libro 27

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