Lo Stato - anno I - n. 2 - 31 dicembre 1960

22 punto - che è nello Zibaldone - è del 26 novembre 1821, quasi un secolo e mezzo fa, e a leggerlo si resta piuttosto disorientati, considerando la g,ran som– ma di qualità positive che il Leopardi riscontrava nella prosa rispetto alla poe– sia: non perché essa non sia tale da pus– sederle, ma perché il gusto ci si è al– t~rato e l'orecchio indurito a contatto di tanta prosa melensa o falsamente .:.rdita quale è quella di coloro cui sopra ac– cenavamo e dei bro seguaci. Ma torniamo alla poesia. Che i poeti d'oggi l'abbiano tradita non c'è dubb10, più difficile è forse individua.re in che cosa e in che senso l'abbiano fatto. Se scartiamo i poeti (o sedicenti tali) che, polem,izzando con le astrazioni del sim– bolismo e delle analogie, pensano anco– ra essere l'arte « imitazione della natu– ra » e si regolano in conseguenza facen– do della pessima poesia; e se scartiamo i maggiori osservanti del marxismo, i quali fanno poesia d'occasione, non di– versa e non migliore dei tanti sonetti in morte, in nozze, in nascita O· in gloria di qualcuno, di che abbondarono le cro– nache del nostro Parnaso fino a qualche decennio fa; quelli che restano hanno iu realtà agito in nome e in funzione del– la buona poesia, ne hanno vagEato le esperienze, le si sono dedicati in modo tale da non assegnarle altro fine se non se stessa, superando perfino quel fine di << diletto » assegnatole dal Leopardh E pazienza se hanno sbagliato p·er eccesso, non comprendendo che proprio quel di– letto giustificava l'obiettività e l'autono– mia dell'arte. poetica, laddove la formu– la l'arte per l'arte non significa nulla. Comunque, se una estetica del genere mortifica, nell'arte, l'uomo non è pro– prio in questo .che possiamo trovare le origini di quel tradimento del quale ci ·stiamo interessando: esso va più a fon- do; e forse ci riuscirà di individuarlo ricapitolando quanto già detto. Dobbia– mo dunque riconoscere che il decadi– mento così palesemente riscontrabile nel– la nostra poesia contemporanea non na– sce da difetto di umanità, perché uma.– nissima è la lirica dei nostri maggiori poeti d'oggi: ed abbiamo nominato, a dimostrazione, Ungaretti o Quasimodo bibliotecaginobianco o Saba. Né nasce da scarsa aderenza a1 problemi della società moderna, perché anzi se ne è fatta una formula dalla quale so1o i migliori, e con grandissi– mo sforzo. riescono ad uscire, acquistan– do fisionomia poetica originale Ma allora non resta che ricorrere ad un elemento che permea di sé la ·poesia, come ogni altra espressione dello spi– rito, pur. non comparendo palesamente e dichiaratamente come fatto poetico: la cultura. Dobbiamo dire cioè che i no– stri poeti hanno tradita la poesia per scarsa, o nessuna sensibilità culturale; in ultima analisi, per ignoranza, intenden– do il termine come mancanza di una c,ensibilità critica che pe,rmetta di ripro– porsi in modo totale ed originale la cul– tura del proprio tempo e quella dei tem– pi andati. E in questo consiste l'assoluto conformismo dei nostri scrittori. Unga– retti o Montale Moravia o Pasolini tan– to per riprendere i nomi già fatti han tutti chi più chi meno cqmposto saggi critici, esposti principi estetici, indagato poetiche e poeti di oggi: orbene sono proprio questi saggi a dimostrare i loro limiti e il loro conformismo culturale. Esaminandoli si nota subito e con chia– rezza che essi si muovono nell'ambito di quella cultura che credendo di partire dall'uomo e di concorre•re al riconosci– mento dell'uomo lo ha adulterato· e qua– si distrutto: é la cultura insomma del falso umanesimo che nasce (lo abbia– mo ormai detto infinite volte) con Lu– tero e si conclude con il marxismo se proprio non dovrà concludersi - e sa– remmo tentati di augurarlo all'angoscia– to o scombiccherato intellettuale dei no– stri giorni - in un secondo Medio Evo. Ora come è poss~bile creare una poesia cioè possedere un linguaggio ed una co– noscenza del tutto originali ed autono– mi, senza essersi formata una cultura originale e autonoma? Nel mondo at– tuale, scentrato,. disarmonico, che sì di– batte ma non combatte, i poeti hanno tradito la Poesia perché hanno tradita la propria funzione, essendo essi confo,r– misti fra conformist_i, succubi fra suc– cubi, impotenti a libe,rarsi dei complessi dei quali soffre la società in cui vivono. N. F. CIMMINO LO STATO CESARE PAVESE è Inorto due volte Dieci- anni fa, nella intimità fittizia e nel'la solitiudine dis,perata di una anoni– ma stanza d'albergo, dove si era rinta– nato, Cesare Pavese affidava ad un tu– betto di barbiturici l'epilogo del suo dramma terreno. Si ~ sempre detto, piuttosto sbrigati– vamente ,che l'autore di_ << Lavorare stanca», di << Paesi tuoi>>, di « .Feria d'agosto», dei <<Dialoghi con Leucò», e di alcune fra le opere più rappresen– tative della moderna letteratura italia– na, si fosse fina.lme11te deciso un bel giorno ad una vecchia idea, accarezzata fm dall'adolescenza e coltivata <loluro– samente negli anni della mat'Uriità. E così b sua memo-ria di individuo e di uomo è stata elegantemente liquidata . . . con accenm, non sempre genene1 e pru- clenti, a.Ue origme patologic~e della sua follia suicida. · Sono stati i comunisti per prun.i, ed avevano ,ed hanno i loro buom motivi per farlo, a tradire il ricordo umanu <li Pavese, pur celebrandolo come lo scrit– tore più valido di tutto il mondo cu!tu– rale di sinistra. Essi, · volendone ad ogni costo tare una bandiera di partito, monopolizzan– do il paitrocinio ìntellettruale delle sue ope-re, non ebbero esitazioni, da vivo, a scavare ndla sua più delicata natura in– teriore, a v1iolare e a sottomettere 1a sua persona'lità individuale, profittando dd– k sue debolezze morali e delia sua estre– ma mitezza. Da morto è stato anche peggio, perché i comunisti hanno con- _.;_ tinuato a strapazzare la memoria di Pavese manipolando le cose delJa sua vita, sì da idea1i~zare una figura dt in– telfottuale, patito del marxismo e dom1- nato da un'ansia di socialità e di col– lettiivismo, che non corrispo.nde mlni– mamente a-Ila complessa ,contraddittoria e dolente personalità dello scrittore pie– montese. Cesare Pavese si era iscritto a,l P.C. negli ultimi anni della sua vita, ma fe– ce in tempo a pentirsene subito dopo, giudicando con profonda perplessità le a•marezze che _gli venivano dai suoi compagni di Partito (<< ... discorsi di in– trighi dappertutto. Losche mene che sa– rebbero poi discorsi di quelli che più ti stanno a cuore»). Comunque è impro– babi.Je che avesse letto Marx, che gli pia-

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