Lo Stato - anno I - n. 2 - 31 dicembre 1960

LO STATO cesse. Lo scrittore piemontese diventò comunista « per amicizia > verso i colle– ghi della Casa Einaudi, che lo erano, ed accettò la tessera del P.C., compor– tandosi come chi prenda il biglietto dì una lotteria benefica. Così, tanto per fare cosa gradita alle patronesse. Durante tutti gli anI?,i della resi~ten– za antifascista e della guerra civile, e anche dopo, Pavese si era tenuto lonta– no dalile avventure cospiratorie e dalle esperienze politich~ dei suoi amici. Ave; va assistito, diremmo con indifferenza indomita e con la voluta ignoranza de– gli eventi, al maturarsi e al compiersi del.la tragedia. Ma forse non si era nean– ~he sentito di assistervi, ed aveva conti– nuato a leggere, a scrivere, a tradurre libri, piegandosi di tanto in tanto in due su se stesso, per frugarsi dentro alla ri– cerca avida di una soluzione ai più riposti, tumultuanti, priva:tiss,imi pro- .. blemi. Anche quando nel 1935 era finito al confino, in seguito ad una retata nella casa Einaudi, fu pronto a dolersi, e a recr'imiinare, che una discraziata coinci– denza, e niente più, lo avesse portato a condividere le sorti di Massimo Mila, Vittorio Foà, Antonicelli, Bobbio e del– lo stesso editore, congiurati sul serio. Il sue epistolario dell'anno trascorso al do– micilio coatto di Brancaleone Ca.Iabro è pieno di queste lamentazioni, e le sole invettivie di un certo significato poli– tico sono quelle che traspaiono dalle an– notazioni, a volte ferocemente allusive, sul conto degli amici _che lo avevano « incastlrato ». S.olo molti anni dopo·, una crudele scena ~i guerra civile avrebbe ben 'di– versamente, e in tutt'altra direzione, scailfito il suo scetticismo e la sua di– stratta coscienza politica, non tanto pe– rò da indurlo a rinuncia,re al comodo ri– fugio e allo splendido isol~,mento in casa della sorella Maria, a Serralunga: « Ho visto i _;mortisconosciuti... morti repub– blichini. Sono questj che mi hanno sve– gliato .., Guardare certi morti è umilian– te. Non sono più faccenda altrui; non ci si sente capitati sul posto per caso. Si ha l'impressione che lo stesso destino che ha messo a terra quei corpi, tenga noi inahiodati a riempircene gli occhi. Non è Paura, non è la solita viltà. Ci si sente umiliati pe,-ché si capisce - si toc– ·ca con gli occhi - che al posto def morto Potremmo essere noi. Non ci sa– rebbe differenza e se viviamo lo dob– biamo al cadavere imbrattato». Non poteva essere, e non fu certa– .mente, né un fascista ardente come il suo amico Lajolo (Ulisse) né uno spie- b1 b 1ot·cag1no1anco tato antifascista come il suo amico Ulis– se (Lajolo); aveva in orrore il sangue, teneva alla pelle, e tutto sommato, l'idea di vivere pericolosamente, o di andare in montagna, non lo tentava affatto. Questo era Pavese, un essere solita– rio, un egoista forse, un uomo comun– que allevato e aggrappato a gelose con– tuetudini di vita borghese, un poeta im– pegnato nella ricerca della perfezione . stilistica, fino alla pedanteria, un indi– viduo incapace di accettare e di com– prendere le dimensioni del col,lettivo; al– lergico, per sua natura, a qualunque disciplina di massa. Tutto era, o avreb– be potuto essere Pavese, fuorché un comunista. Intimamente perturbato dall'angoscia che il suo destino si potesse compiere, senza che egli avesse svolto una sua vo– lontaria e libera scelta, egli subiva do– lorosamente l'oppressione dell'incomben– te pianificazione intellettuale, morale e spirituale, tipica dello spirito dd suo tempo. Quando -Davide Lajolo, rimproveran– dogli l'agnosticismo ,degli anni della guerra· civile, lo volle prendere pe.r ma– no e tirare dentro al P.C.I., costringen– dolo a vivere la vita di partito, fu come vedere un vite.Ilo indifeso e impaurito trascinato al mattatoio. Allora, e non prima, l'idea del suici– dio coltivata in gioventù, riaffiorò pre.– potente in Cesare Pavese. Eglii vi era spesso ritornato negli anni della, sua ma– _turazione di •uomo e di scrittore, ma più per derisione di se stesso e delle pro– prie debolezze, per sua ammissiorie, che non per un ef.fettivo bisogno di morte. L'ambizione di << vale,·e alla penna». di misurarsi con la mi-gli.ore letteratura mo– derna, lo aveva spinto a talune predili– zioni ma·cabre, più per una ricerca di effe.tto, che non per convinta repulsa, irresistibile e definitiva, della vita. L'idea astratta che tante volte, forte troppe :volte, era stata di spunto a Pa– vese per suggestive· esercitazioni lette– rarie, esplose imp"rovvisa in un gesto atroce, disperato, proprio quando lo . scrittore, poco più che quarantenne, era · all'apice del successo -nel pieno della sua maturità creati'Va. Perché? « Era un patologico, un debole, un vile dicono, con giudizio severo e approssimativo, i critici paludati di ri– _gore moralistico e pseudo-ideologico -– dunque era predestinato al suicidio. Niente e nessuno. glielo avrebbe potuto impedire. « Era in preda ai rimorsi per non avere fatto la guerra civile». - in– sinuano. i comunisti, privi, al solito, del senso del, ridicolo. 23 La verità è che fu proprio l'esperienza vissuta nel P.C.I. a dare il colpo di gra– zia a Pavese, is-tigandolo al suicidio. Nella vicenda umana dello scrittore pie– montese, chi vuole può intravedere .lo amaro destino della borghesia, che Pa– vese sinboleggiava egregiamente, con tutta la sua tolleranza rassegnata, con tutte le sue debolezze e viltà, con tutti i suoi congeniali difetti . La corsa al suicidio dell'amico Pa– vese, Davide Lajolo la chiama il « vi– zio assurdo >>, dedicandovi un libro che, · con il protesto di « dare l'assoluzione umana a chi ha tradito il compito di vivere >> (pietosa incombenza, da parte del gerarca comunista!), ha l'aria di chiedere per sé stesso, l' asso1uzione, nel proposito ancor più tommendevole di ri– parare al ·male fatto. Purtroppo però il libro, benché am– piamente rievocati•vo della vita e delle opere di Pavese, non fornisce nessuna ri– sposta agli interrogativi intorno al suo dramma umano. In questo ritratto del celebre scrittore si ritrovano, riconosci– bili a vista, i segni della scuola comu– n i~ta; non v'è d;ubbio che il Lajolo, quantunque venuto di molto lontano, il mestiere lo abbia bene i•mparato, e co– me gerarcha e come scrittore di parti– to, e che lo eserciti con qualche profitto! La sua biogI,"afia pavesiana, rice-rcata nei detta,gli, ricca di intenzioni realistiohe, trapuntata di sottintesi ideologici, appa– re di una lucidi-tà spettrale, Sarà forse un ritratto somigliante, fe– dele, e di una nitidezza sorprendente, ma è assolutamente privo del .necessario movimento di colori e del soffio di vi-ta indispensabile perché non se ne abbia l'impressione di .un cada 1 vere all'impiedi; ~ un ritratto privo di vita è anche un · ri-t-ratto privo di verità. Questo tramandare la memoria di Pavese,senza chiedersi e senza dare spie– gazioni del suo tormento, senza cercare di capir'lo e di aiutarlo, neanche da mor– to, sarà bravura, da parte di Laiolo, ma è bravura da imbalsamatore: egli ci con– segna una mummia, no.n il ricordo di un uomo vivo. Nel conflitto di pertinen– za fra i suoi buoni propositi di scritto– re in ce,rca di « assoluzione umana», e i suoi doveri di gerarca, Lajolo ha scel– to il mestiere di commentatore ufficia– le del P.C.I. Un << mestiere di vivere» come un altro. Davanti a lui il povero Pavese giace, morto per la seconda vol– ta, sul catafalco della impostura con cui si cerca, in nome s,uo, di rilancia,re tutta la let,teratura comunista . FRANCO DE SANTIS

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