la Fiera Letteraria - XV - n. 40 - 2 ottobre 1960

Domenica 2 ottobre 1960 LX FIERA LETTERARIA Pag. 5 ( ~ SCRJCTTOJRJC JCN JPJRJC~O JPJCANO --- ) Parine inedite di Gian Gaspare Napo·Jita110 Addio a La nave partiva l'indomani per le ).farchesi. Era l'ultima notte di scalo a Tahiti. per la Ville de Verdun. Riman– data di giorno in giorno, per i continui temporali che impedh·.ano di caricare il copra nelle stive, Ormai quella partenza s'avvertiva definitiva. La lavagna appe– sa alla balaustra dello scalandrone. ac– canto alla lanterna, av,·isava i signori passeggeri che per nessun motivo si sa– rebbe prorogato lo scalo al di là delle ore dieci dell'indomani mattina. Michel. il meccanico maori. era ma– linconico . .e Ritornerete un giorno?~ di– ceva. • Noi siamo sempre qui, e vi aspet– teremo. Sarà facile ritrovarsi. ::\lichel, ri– cordatevi, basterà che ricordiate questo nome. Oggi ho diciotto anni. Ritornate qui. diceva Michel, qui le sigarette Ca– rnei costano tre franchi il pacchetto, e la birra quattro franchi la bottiglia>. Tutto il pomeriggio. a partire dalle due. Michel aveva sostato con la sua grande automobile color caf1ellatte, su– la banchina, accanto allo scalandrone. ]ola i miei compagni erano tanto avviliti che non volevano scendere a terra. Mi· chel. seduto al volante, guardava verso i ponti come un mendicante. Di tanto in tanto suonava la sirena, per richia– mare la nostra attenzione. Eravamo tut– ti. chi nel bar e chi nelle cabine, a scri– vere le lettere che il piroscafo americano avrebbe portato a San Francisco in nove giorni. Sarebbero arrivate in Europa tre settima.."le prima delle nostre persone. Il suono della sirena di ~iichel si faceva sempre più rauco, comunicandomi una ·vaga inquietudine. Qualcosa finiva, con quello scalo di Tahiti, che non sarebbe tornata mai più. Invece io immaginavo che sarei tornato a Tahiti un'altra voi• ta. con i capelli imbiancati alle tempie, dopo dieci anni, come un personaggio di film· americano. Andatevi a fidare dei presentimenti. Non Ci ho messo più piede. Michel sostò con la sua macchina ac– canto alla nave tutto il pomeriggio, poi venne la sera e la sirena non suono più. Dopa cena uscii sul ponte e vidi che Miche! s'era addormentato sul vo. lante. I miei amici. sbatbati di fresco, con indosso i loro migliori o biti di seta ll vecchio TI proprietario dell'Hotel Arronte. a Puebla de Los ..\ngeles, era un vecchio messicano di origine spagnuola e la co– pia esatta di un notaio che avevo cono– sciuto da ragazzo a Piana dei Greci, dalla papalina di seta nera agli stiva– letti con elastico 1aterale. Più lo guar– davo e più mi sembrava lo stesso: iden. tko l'abito nero a code. il pomo d'Adamo che veniva fuori, palpitando, dal collo di una camicia inamidata. gli occhiali di vetro verde montati in oro. Solo il volto piccolissimo, tagliuzzato dalle rughe, de– nùnziava una diffidenza enorme, un egoismo illimitato. una preoccupazione costante della morte. Il signor Proprietario aveva lasciato a metà la lettura del giornale, stava in piedi. piccoli e minuto, dietro un'enorme scri\•ania di noce a tamburo. cl\1uy bien•, ripeteva. e Muy bien >. La scrivania era scura. tarlata, sul suo piano s'ammuc. chiavano registri, gomitoli di spago. can– dele. pezzi di ceralacca. mozziconi di sigari. giornali vecchi, una sveglia e di– versi amuleti portafortuna. E tutto questo in vista di tutti, sotto il portico del patio, a due passi dal. l'ascensore ad acqua. Tahiti giapponese. le scarpe lucide e le cavi. glie brillanti per le calz.e velate. vennero a pregarmi di scendere. Non si pote\·a stare a bordo l'ultima sera. no? Li segai rassegnato; teme\·o, con quell'ul– tima serata. di guastare ogni cosa. Le dolci memorie sono delicate come ali di .farfalle. Ormai i miei taccuini erano ri. coperti di note: i rotoli delle negative stavano in fondo aJ baule. Bastava un niente e tutto poteva sciuparsi. dh-en– tare laido e volgare. Mi sembrava di aver spremuto Tahiti come un'arancia. e che il profumo delicato me ne fosse rimasto sulle dita, indelebilmente. Le stive della nave erano chiuse, or– mai. e il copra dentro le sth·e. Le ra– gazze nostre amiche ci aspettavano se– dute sui gradini di legno della veranda della loro casa. nel quartiere indigeno. Kakao aveva la chitarra sulle ginocchia e ne traeva un suono flebile, lamentoso, distratto, appena intonato. Era la più al– legra delle nostre amiche, quella che raccontava le storielle più invereconde, e beveva con il più gran trasporto. Al. zò un minuto le grandi palpebre ciglia– te di blu, accennò un sorriso, lo tratten– ne. Jeannette disse: e Buona sera!> a denti stretti. Le altre dUe si strinsero nelle spalle mugolando qualche cosa. Erano di cattivo umore. Venne subito in chiaro che ci avevano aspettato tutto il pomeriggio. Maria si mise ad arroto– larsi una sigacetta fra le dita affusola– te. i\Ii sedetti sul primo scalino, le brac– cia deJla ragazza, nude, esalavano qn buon odore di mare. e E' questa la ma. niera di ricevere i vecchi amici? > disse il giovane '.\liche1 con un'intonazione di forzata allegria. Maria accese in silen– zio la sigaretta, poi si mise a fumare tenendo i gomiti sulle ginocchia. la testa fra le palme delle mani, aspirando il fumo senza togliersi la sigaretta di boc– ca. Guardava in avanti, verso la strada impolverata. Eravamo in una traversa della periferia di Papeete. Le case di legno s'alHneavano tutte eguali. con la veranda aperta sulla strada e in fondo si vede\·a il mare arricciolarsi sulla spiaggia fin sotto Je palme. Non c·era un'anima in vista. messicano Se non fesse stato che parlava ~pa– gnuolo gli avrei chiesto notizie di Piana dei Greci. Come il notaio odorava di vecchio cavrone. Saluto di New York Tornavo in Amed1 a dopo cinque anr .. i, e per la ten.a volta. Ms non ero mai sbar– cato a New York. Prima ero entrato ne– gli Stati Uniti una volta dal Canadà, la altra che venivo dal Messico. La mattina del mio arrivo a New York faceva fred– do, la notte aveva nevicato, c'era il ghiaccio sui ponti e sulle scvrastrutture della nave. Avvicinandosi la costa, verso l'alba, 1a tempesta di neve si calmò allo improvviso, restò il freddo. un vento che taglia·;a la faccia e il mare chiaro e ver– dastro. gelato verso la costa. New York sbucò all'ultimo momento. La costa americana, piatta enorme e sel– vaggia. difendeva il cuore della città, Mahattan dico, ancorata in mezzo ai due ir-andi fiumi, l'Hudson e l'East River. Sandy Oak e Long Island, sotto la neve, furono ]e prime a comparire. La statua della Libertà. grigia e fumosa e lucidata dagli anni e dalle tempeste, era eguale a come me l'ero immaginata. Ma aBa Qua– rantena. passando rasente Ellis Islanù, il penitenziario degli emigranti, il senso del paese, grande e terribile, mi strinse il cuore come in un pugno. Intanto si era accostat.o alla nave il bat.. tello del pilota e poco dopo fui chiamato nel salone per le pratiche di sbarco. Andò a finire che dopo averlo tanto desiderato mi persi il meglio, il grande panorama di New York con i grattacieli, la 1k11Ur..e, come si dice. Ma tornato sul pente appena possibile, mentre la nave sotto la spinta dei rimorchiatori manovra a motori spen– ti per andare a banchina. eccoli incom– bere, tutti in blocco, sulle nostre teste. cori il capa coronato di nuvole basse e sporche, con le finestre accese, nel giorno opaco, al di là dei tetti di lamiera dei ca– pannoni della Compagnie di Navigazione. )Ii fanno l'impressione di un groppa di giganti che osservino curiosamente una barchetta di carta in uno stagno, e cioé il Rex che attracca nel porto di New York. Esperienze dirette * di ALBEnTO BEVJl.,ACQll.,t Poche volte, nel corso dei due anni legati alla vita di questa nostra ru .• brica ci siamo trovati di fronte ad una personalità cosi articolata e sostan– zialmente complessa come queUa di Gian Gaspare Na– politano. Ma se dovessimo dire che Utl<J siffatta com– plessità ci mette in disa– gio, nel senso di limitarci la chiarezza di prospettiva critica e la possibilitd di un sintetico inquadramen– to, diremmo cosa non giu– sta. Se è vero, infatti, che molte volte la molteplicitd è facilmerne_ riconducibile ad un solo comun denomi– natore, questo è proprio il caso di dire che anche la movimentata. e impre– vedibile, vita ( cosi interio– re come esteriore) di Na– politano ha una sua chia– ve, unica e risolutiva. Ma, per spiegarci meglio, ricorreremo a quanto lo scrittore steuo dice di. sé, nella simpatica confessione rilasciata per i e: Ritratti su misura > di Elio f'ihp– po .4.ccrocca: e Scrissi il mio primo romanzo fra H 1927 e il 1928 ("Scoperta dell'America'') che mi pro– curò parte del premio dei 10 net 1929. Partii per il Congo prima che l'anno fi– nisse. Da allora non ho piU avuto si può dire grossi problemi pratici da risol– vere. I quattrini sono an– dati e venuti, ma non pos– so dire d'es,enni mai sen– tito povero. Il problema è per me un altro. Scrivere e vivere ... >. Ecco qui il punto, ecco la chiave di cui parlava– mo. e Seri.vere e vi.vere • è stato un obiettivo che ha tenuto polarizzato, fra du.e estremi apparentemen. te facili o conciliarsi, tut– ta la carica vitale di Gian Gaspare Napoli.tono, che ha sempre adottato, come regola, quella di non ri– sparmi.arsi nel tentativo, coraggioso, nella prova, net soddisfacimento di una curiosità mai fine a se stes- sa, ma sempre ancorata a scopi ideali e creativi.. che (i viaggi in Africa, Asia, Oceania, Balcania, Qualche volta, forse, la necessitd di vivere, o me– glio di calarsi nella vita, ha posto restrizioni. all'al– tro bisogno, cioè al bisogno di scrivere, ma questo in– conveniente - così. comu– ne, purtroppo, al narrato– re moderno che non voglia contentarsi. semplicemente di intingere la penna nel calamaio - non ha impe– dito a Napolitano di crear– si una propria, e bene in- Conadd, M es.si.ca , Etiopla, Eritrea ecc.; le guerre; le corrispondenze speciali; la attività cinematografica e documentaristica). Da una simile, diretta interdipen– denza fra movimento e pensiero, scaturisce un simpatico merito per lo scrittore siciliano (Napo· litano infatti, è nato a Pa– lermo): quello dell'auten– ticità, della sanitd che tra– spare immediatamente dal– la pagina scritta. Chi legge Napolitano, in~ somma, si accorge di cam– minare non S"ulle nuvole, Gian Gaspare Napolltano dividuabile, J:toria lette– raria. Bada pensare a libri co– m.e e Scaperta detl'Ameri.– ca> (1930), e n Giro del Mondo> (1933/, , Trop– po grano sotto Ja neve> (1935), e La Mariposa,. (1950), cTom-tam Mavum– be > (1954), e Il figlio del capitano> (1958). Legata a questi titoU e a queste date la cronaca culturale di Napolitano si mantiene ininterrottamente impron– tata da una serie di espe– rienze varie e davvero uni- ma nel vivo di una realtà, come quella dei nostri tempi, tormentata e soffer– ta. Ed è rimarchevole H fatto che lo scrittore, dal– la memoria delle sue espe– rienze, non si fa prendere la mano ma con.serva una precisione obiettiva, un ri– gare di stile che lo pongo– no net ristretto gruppo dei più incisivi narratori ita– liani d'oggi. La migUore confermo di ci.ò, H lettore potrà averla leggendo le pagine, assolutamente ine– dite, che qui presentiamo. E' ormai un fatto accet· toto che il Hue!lo della cosiddetta cultura media italiana è tanto basso da destar e giustificate op· prensioni. TJICCUINO DEI.LO SV~G.llTO il gusto>, e di cui ogni e brava persona che bado al sodo> (alle cose pra• tiche: agU interessi della propria famiglia) può giu· di....-iosamente fare a me– no; a parte il fatto - con– tinua giudiziosamente a e J)ensare > tale brava per– sona - che la e: cultura •, lei, ce l'ha gid, imparata con buoni. voti a scuola (vale o non vale una lau– rea?), e attestata da tanto di pergamena del Mintste· rO della Pubblica Istruzio– ne. Per cui, pensa ancora nel suo ineccepibile buon senso tale brava persona. non si vede proprio qual bisogno ci sia di cercare (tanlomeno di inventare) fuori e oltre la scuola, ciò che perfettamente, e sotto buona guida, già s'è impa· rato, come il Diplo7t1-a o la Laurea dimostrano agli scettici. * L'Italia, erede di Roma, è civile J)er antonoma.sia, e questo è un morbido cu· scino su. cui dorme tran– quilla la J)resunzlone dei più. Il ferro di cavallo Ma guardiamola dietro l'osso frontale delle per· sone che ci circondano, questa dciltd.; esamini.a· mo ciò che pensano, ciò che dicono, ciò che legao· no o meglio ciò che non leggono i nostri vicini di casa o d'uUicio: t una bo· .scaglia tale di equivoci e di superficiali opinioni, da scoraggiar sulla soglta il più intrepido e volente· roso esploratore. Si dird che le teste che contano sono sempre state poche (le teste che sepna· no il livello vero d'una cultura nazionale. o civiltd che di.r si voalia). e che la massa, alla fine, non ha mai avuto troppa impor• tanza. Si dirà insomma, a mo' d'esempio, che coloro che in questo senso con· tono non sono gli i.-nnume· revoli mani.scalchi che da secoli ripetono identico il ferro di cavallo inventato da altri, bensì. fra costo– ro. l'inventore del ferro stesso. nonché colui che a quel ferro piegò per pri· mo le estremitd in modo d.1 non Jar slittare la be· stia, o chiunque alt·r~ a; ferro di cavallo (qutnd1 all'uomo) TTipdificò qual· cosa in modo da segnare un progresso. L'osservazione è giusta fino a un certo punto, per– ché sarebbe altrettanto giusto osservare, su 11 o stesso piano a terra, che tutte te copie di questi fer· ri d.i cavallo, o meglio o.n~ coro la loro applicazione. tonto riu1ciranno migliori, quanto maggiore sarà il grado medio di cono,-cen· za e di addestramento del· la folla dei maniscalchi. lo credo, per tornare al soggetto, che tale deficien– za di una buona cultura media in Italia abbia ori· gine anche dal fatto che il cosiddetto ceto medi.o, da noi, non ha ancora trovato un s-uo definitivo assetto sociale e politico ( e lo san– no i politici, che cercano di accaparrarselo in ogni campagna elettoralP come facile e docile massa di manovra), e quindi una sua propria, precisa. llsio· nomia o persona; il che pressappoco equivale a di· re ch'esso non ha ancora preso coscienza della pro· pria realtà e della propria forza, la quale, come si sa, non consiste soltanto nel numero, ma più che altro nella ben definita volontd. Sino ad autocondannarsi a quell'immobilità (a quella · volubilitd: a quell'inerzia, facile preda di energie estranee e anche avverse) che deriva, al centro d'un gorgo mari.no , dall'urto e dal convergere di due cor– renti contrarie, inerzia che non dipende, si capisce, da profonda soddisfa.zione, piuttosto da un'intima e conseguente indecisione o dubbio (fra il conservato· risma e H suo contrario), e quindi da una specie di abulia che ren.de impossi· bile ogni concreto - elfi.· dente - movimento. Può darsi anche eh.e ciò provenga al e ceto medio > * di GIOHGIO CAPRO/Il dai suoi e contrCtStanti. in· teressi >, ma sta di fatto che è in tale inerzia la radice della sua, conti· nuiamo pure a chiamarla. cosi, disappetenza cultu· rale, in quanto la cultura è ed è sempre stata dram· ma, lotta, quari una vera. e proprio aggressione, e comunque uno strumento di cui bi.sogna impadro· ni.rsl per usarlo, e non una campana di vetro fatta ?et conservare U ricordo più misero (il souvenir) dei defunti. (Del resto, la cul· tura non è forse filosofia, cioè impeto verso la cono· scenza, o amor di scienza, dove il verbo amare è più che mai un verbo attivo, critico o creativo?). n ceto medio per aver la prudenza del povero che, ricevuto finalmente quel tonto che gli dà la garanzia. oltre che del pa· ne, di qualche elettrodo· mestico, della teletiisione, del cinema, dello stadio e, col mutuo. persino deU'ap· portamento, di tutto ha paura come d'una minac· eia a tale fittizio benessere, e più d'ogni altro cosa te– me l.a e novitd > (la quale non si sa mai qual tra· bacchetto nasconda), in· tendendc per e novitd > qualsiasi linguaggio che non sia ,di pu.ro conformismo, e quindi, e in primo luo• go, il linguaggio della cul– tura, di cui a questo modo - per un falso i.stinto di conservazione - di;tJùùi in ?(lrtenza.. 11 ceto medio in realtà pensa che il minimo di benessere materiale sia un fine, e non la piattaforma - necessaria se voglia· mo - per uno slancio verso la conquista del vero essere spirituale, e, rag• giunto tale minimo (che to qualifica), crede sul serio di far bene, e di far tutto, alzando un ponte levatoio che poi Si risolve, stando al sodo, in un penetrabilis· simo muro d'indi:lJerenza. Infatti quel ponte alzato (q u e 1 l'indifferenza) non difende un bel nulla, non solo perché non c'è nulla di concreto da difendere, ma perché, torni.amo a di· re, anche il Conservatori· smo (che è una forza!) deve avere (ed ha infatti) le su.é armi e le sue mili· zie agguerrite, capaci ad ogni momento giusto d'una propria sortita e di sven· tare (se non addirittura di capovolge-re) l'assedio, che a lungo andare significa sempre resa o morte certa. Ma usciamo dalle iin.• magini, tanto più" che non son peregrine. Anche la vera borghe· sia, dopo la travolgente azione rivoluzionaria, s'è fatta lopicamente conser– vatrice, ma con quale pre· ciso coscienza persino negli aspetti più reazionari. Essa conosce oerfetta· mente il J)roprio ,nemico>, e sa perfettamente che se vuol lottaTe (come vuoi lot· t4re) contro di lui. non deve contentarSi di •tor sulle di· fe-nsive e di costruire mura lntorn.o a sé, bensi deve concorrere alla gara del· l'iniziativa, e comunque combattere sull'unico pia– no possibile che è quello, in primo luogo, dello cul· tura. Ma non vorremmo con questo andar troppo lon– tani, e per di più attra· verso campi che non son di nostra proprietà. Non vor· remmo nemmeno giungere a una di.1criminazione t'ra cultura e cultu.ra (cultura rossa e cultura azzurra, stando alla terminologia in uso nelle grandi mano· vre), certi come siamo che Za cultura è unica nella s-ua continua dialettica, e tanto più essa è viva (di· remo meglio: vivente) quant'è maggiore l'e-ner· gia delle sue continue - necessarie - contraddizio– ni. Giacché siamo tra c~ loro che credono che la cultura vera di un popolo, per esser davvero tale, debba testimoniare questa suprema e in apparenza paradossale necessitd: di dover di continuo lottare contro se stessa, e coi suoi medesimi mezzi, per la sua medesima vitalitd. Ora, per rifarci ancora da capo, ciò che manca al cosiddetto ceto medio è proprio questa coscienza, 11 ceto medio continua a con..siderare . la cultura come qualcosa di esterno ( come un oggetto di ltu· so o, peggio, pericoloso, a se stante), appannaggio di pachi che e ne h.anno C'è forse bi.sogno, ad esempio, di rompersi il capo, che so, con Montale o peggio ancora con Eliot o con Pound, quando si sono appresi a memoria (per dimenticarli poi, na– turalmente: ma qualcosa - e questo è vero - ri– mane) tutti i commenti a piè di pagina alle Odi barbare, mentre per tali su nominati Signori tali commenti (sui qual i si cammina tranquilli e sicu– ri come su un marciapie– de) dovremmo farceli da soli, come se non avessi· mo altro a cui pensare? Quelli son dei moderni, dice il ceto medio che di sbieco. alme-no al dnema, ha sentito nominare Za– vattini, sino a poterlo in· volontariamente parafra· sare; e i moderni. si sa, sono matti. Dai matti che c'è da a.spettarsi se non, giustap– punto, l'invenzione, o il perfezionamento, o la ap· propriata e giusta appli– cazione, del ferro di ca· vallo? Gli agguati della memoria A volte. a mezzo di un discorso. mi torna la memoria vicina, e q'Jasi direi palpabile, di un giorno passato in un'al– tra parte della Terra. )1i viene una spe– cie d1 capogiro. Sono questi gli agguati de.Ila memoria. E però l'unica cosa di cui mi sono ridotto a fidarmi è proprio la memoria, nonostante tutti i suoi tradimenti. Non ho mai viaggiato per vedere dei paesi, ma solo per conoscere degli uomini. Questo è tutto. C'è persino un proverbio che dice: viaggiando s'impara. Ma il fatto si è che bisogna prima imparare a viaggiare. Il gusto dei viaggi è come quello del· la vita: bisogna spremerselo da ogni giornata. A ogni giorno ba.sta la sua pena. Tutto serve a preparare la commozio. ne di un minuto. Chi ha detto che. nei viaggi. sono le prime impressioni quelle che contano? Certo, sbarcando in un pae– se nuovo, sconosciuto. si vorrebbero ave– re gli occhi di un bambino. U mondo vuol esser guardato con occhi vergini. 1 la invece non c·e n1en e che si consu– mi come la vista. Due occhi non ba– stano. C'è troppa. a questo mondo. da vedere. Vale a dire che, a furia di guardare. la vista si stanca. La vostra retina non reagisce più. E' un brutto momento Il mondo diventa come quello di un miope: ogni cosa ha il contorno incert~ dei paesaggi affogati nella nebbia. E certo i paesi perdono. una volta calati sul posto. buona parte ài quel fa. scino che abbiamo loro prestato nelle nostre fantasie :tdolescenti. Ma un altro incantesimo sopravviene. un affetto n·a• gione"·ole verso la natura infida. o l_a esperienza rischiosa. l'inclemenza dei cli– mi. la diversità e difformità dei cibi e delle parlate. E' l'effetto della memoria. questa seconda vista dell'anima. Quando Stanley scriveva del Congo: e: Questa stravagante natura respinge ogni senso di affetto> è chiaro che si trova ancora sul posto. che vede le cose ancor3 troppo da vicino. che non le ha affidate tuttavia alla memoria. lo appartengo a Glasgow Il Maggiore Shaw apparteneva a Glas- 2ow. e Glasgow a lui. Questo almeno di· ceva il ritomel!o della sua canzone pre• ferita. 11 ::Vlaggiore la cantava ogni sera che avesse bevuto un po', la qual cosa vuol dire che la cantava tutte le sere. cosi che perslno l'uffto:iale di collegamento italiano aveva finito per imc:,ararla. L~ciale italiano aveva una voce c.hia· ra e squil!an!e, ma di tanto in tanto. quando le cose sembravano andar meglio. stonava. e Che cos"\ ti piglia. John? • esclamava il ).laggiore. e Non conosci il bel canto? • Dice\"a bel canto m italiano, credendo di far piacere a Gio\•anni P:.nto. e lo appartengo a Glaigow, cara vecchia ciud • cominciava il Maggiore. e Ma cosa le prende a Glasgow. che ora mi gira intorno intorno?• continuava. E si divertiva un mondo perché Pinto si sforzava d:i im..itare l'accento scozzese. e Sono solranro un qualunque lavora– tore • p.ecisa\•a la canzone. e ma quando ho in corpo un paio di bicchieri, il sabato ,era., allora Gla.tgoW appartiene a me •· La cosa più curiosa dell'intero affare è che il Maggiore Shaw non era affatto di Glasgow. Ma era comE: R vJ fosse nato avendovi passa!o l'adolescenz.a e parte della giovinezza. Quanto all'ufficiale di collegamento non era mai stato a Glasgow. Pure. a furia di sentirne parlare, aveva finito per conoscerla; sporca di carbone, scura. con le g:randi banchine lucide sotto la pioggia, e le str.ade acciotto!late. e la ç'31lde v.ia asfaltata che pord.ava alle col– l:ne sop:-a la città. le colline do\·e sono le vme dei rioch.i. Era una città brutta e con!ortevole. spie.ga \·a il M-a,gg:iore. con i piccoli pubs, dove si beveva la btrra di due qua.lita, l'ale. chiara ed e5ilarante. e lo itout, nera. pesante, buona per cantare. Piccole taverne illuminate e piene di fumo, vere e proprie ~lette nottume nel– la città ora nebbiosa, ora piovosa. e sotto la loro insegna il carbone che luccice ff'a l'interstizio dei ciottoh. E il Porto pieno di nav:i d'ogni pae5e che catùoano carbone. e Una città cordiale. jn_q()mma• spiegava. e In una città come quella. Signore • disse una sera Pita!frano. quando già erano entrati un poco in contl:denz.a, e Jinn"ei per morire di malinconia •. Il Maggiore lo guardò sorpreso, poi sor· rise e disse che capiva il suo punto di vista. e Non è che mi diverta molto a Glasgow neanch,io. Ma è come una donna brutta che ti sia entrata sotto la pelle. Ormai appartengo a quella dannata oirtà •. 11 Maggiore Shaw era un uomo alto. grosso. robusto e coraggioso. dec<xrato della Military Cross. di carnagione rossa come il ro.sbif e di collere sub!tanee. Non era di camera e non proveniva da una vecchia famig!fa, ma non si trovava in im· ba.razzo. come aY.ri ufficiali di modesta estrazione. davanti a Lord Douglas. Olìaro ohe fra j due u!fìcialt non cone1,-a buon sangue. Non che ci fosse stato mai uno S'C1"nio.solo qualche pi«ola schermaglia di pa.'"Ole, un parere diverso espresso con cortesia ma con più decisione del neces· sarlo. 11 Maggiore Shaw non aveva finito la Università, e que5to era I'! suo c:-uccio se· greto. Ma gli eca morto il padre mentre a.ttendeva a queg!J studi. ad Edimburgo, e aveva dovuto met~.si a !avocare pf:ma de.l previsto. Dai diciotto al trentacinque anni e ci<,è alla vigi!'.ia della guerra. aveva però avuto il tempo di accumulare una plcoola fortuna. tanto da poter reali~e la sua ambi:tione di andare ad abitare sul• la collina di Glasgow. e Dal diciotto aJ trentacinque anni. Vuol d4,re che avete ora quarant'anni, Mauio– re Shaw •· Il Maggiore beveva un sorso di whisky. socchiudeva le palpebre e faceva segno di sl. senza parlare. e Dai diciot.to ai trentacinque coro-ono diciassette anni. o sbaglio? >. Di nuovo il '.\faggiore Shaw faceva se· gno di sì con la testa. e dalle sue labbra us,civa un brontolio soddisfatto, come n ronron di un gatto che faces.se le fusa. Aveva Infatti gli occhi grigi come un gatto. e E S!ete stato sempre a GlaSl()w? • Ritrattino Conobbi la signora Hamilton nella sua casa di Toronto. La signora Hamilton era una dama molto importante, e non nascondeva di appartenere alla migliore società cana– dese. Alta, magra, coi capelli bianchi. parlava sottovoce con ostentato accento inglese. e aspirando un numero straboc– chevole di sigarette infilate in Un boc– chino d'avorio e argento. Discorreva del– l'Italia come un personaggio di Huxley. I suoi soggiorni vi furono lunghi; ha passato molti anni tra Firenze. Roma, Taormina e San Geminiano, ma con que– sto non parla l'italiano, 0 meglio l'ha dimenticato. Quanto alla sua casa, è arredata secondo l'idea dell'Italia che si sono fatta certi stranieri: mobili di stile quattrocento, damaschi, vecchie pia. nete, stampe di Piranesi alle pareti e Il )tagzlore Shaw guardava Pin1o un poco meravigliato di tinta inslstf'nz.a e taceva segno di no. Poi cominciava a p~· la.re. e Sono sta'to in giro• diceva. e In O.lente. sapete. Hong-Hong, mari della Cina. ma:-i del Sud, rappresentante di commercio. mercante. impiegato. COQta– bile •· Nient'altro. SI capiva che era ,rato di quelle domande, ma non gli riusciva di confidarsi. Una sola volta accennò al!a moglie morta. e sepo!ta a Sciangai. Pas· sava il suo tempo a leggere. come altri a fumare .. A. \·eva letto una quantità enorme cH libri, e con!.:nuava a Jecgecne. sotto la tenda. a mensa. seni.a apparente profitto. e Non mi ricordo mcd di quel che ho letto. Non sono fatto per le idee. mi ci vogliono fatti. ma leggere mi fa passare il tempo. mi diste:ide i nervi •· E subito si sprofondava nella lettura. come vergo– gnoso di a\'er detto troppo. Aspettava che finis..-.ela guerra per tornare a Glasgow. Una \"alta. e-.a il settembre del 1944. chie· se a Pinto Se credeva che la guerra sa– l'ebbe durata ancora molto. e Per me SJamo aeJ,i Si()Ceioli ~. rispose Pinta. e Davvero? •. fece Shaw. E gua.rdò Pin– ta con interesse, prima di abbas:cs,are gli occhi sul 1-ib:-o. li Maggfore Shaw non ave.\•a molto da tace. Lui comandava adesso la Compa· gnia S.. iniziale di SupporL che signif\ca Appoggio. Er.a un'unità formata di carri cingolati. scoperti che traspo~avano pie· coli cannoni d'accompagnamento. anni di assalto e anticarro. l'ideale per ma.no \Tare. d'appoggio alla fanteria. nelle pianure e nel deserto. In V.bia la Compagn.!a S. era stata impiegata molto. e cosi nelle Fian– dre. Ma da quando era cominciata la cam· pagna d'Italia aveva avuto poche ooea· sioni di entrare in azione. Pe-r qut'Sto al Maggiore Shaw n tempo non pas.,a\·a mai. Ma non avrebbe mosso un dito per modificare il suo destino, perché questo. in guerra. porta sfortuna. Una mattina però comparve a mensa più allegro del solito. fischiettando la sua eterna canzone. Era stato ferito l'uffi• ciale comandante di una Compagnia fu– cilieri e il .'.\laggiore Shaw era stato comandato a rimpiazzarlo. La.sciava così la mensa del battaglione e anzi veniva a con~edarsi. Salutò PÌnto che gli disse scherzando che sarebbe andato a tro– varlo a Glasgow. Salutò anche Lord Dougla, che aveva firmato rordine d•l ~iorno con il suo trasferimento. Lo sa· lutò e lo ringraziò. Il Maggiore Shaw mori tre o quattro giorni dopo, alla presa di Cesena. Una raffica di mitraglia lo colpl che era ap· pena riuscito a raggiungere con il primo plotone il fossato perimetrico dell'aero– porto. L'ufficiale di collegamento lo vide arrivare in barella al posto di medica· zione, coperto da un telo da tenda in– sanguinato. Il sangue del Maggiore co· ]ava da sotto la barella sul terreno. e .'.\ii hanno beccato>, mormorò all'tta· liana con un sorriso. e Non debbo avere una bella Caccia•· Era pallido e puzzava di morte Il capitano medico fe,ce segno ai portafe– riti che posassero la barella per terra. e i1 '.\laggiore morl che 21i facevano la iniezione di morfina. Pinta avrebbe vo– luto dire a Shaw che la guerra era fi- ~!a ro~ l~ee f~ri~~~!~~~~a s~~~J~~~~ ancora, il suo sorriso di bravo soldato si pietrificò ne1la morte. Era come se non fosse mai esistito e nessuno parlò a mensa de] Ma![,a-iore Shaw. Poi una sera arrivarono certi ufficiali nuovi e fu cantata la canzone di Glasgow. e Povero Maggiore Shaw! >, mormorò l'italiano. L'imbarazzato silenzio che accolse le sue parole gli rivelò che aveva com· messo un·indi.screzione. Parlare di morti a mensa porta sfortuna. Ma doPo tutto ~~~~e e:;m~nii !~r~~~;!r:a r~no:it~ casione. canadese la riproduzione, in piccolo. dei putti cantori di Della Robbia sulla mensola del camino. La signora Hamilton e ancora una di quelle ospiti alla vecchia manier& che fanno aspettare qualche minuto il vi– sitatore; Il tempo sufficiente perché lo straniero si guardi intorno. apprezzi il gusto della padrona di casa, e sia messo al _corrente delle sue simpatie letterarie. Gh scaffali di una piccola libreria con– tengono libri di mistica e di teosofia. ab– bond_ano le_monografie su Assisi, lf! ope– re d1 Ruskm e dei Rossetti. . Mi venne incontro, altissima, ravvolta 1n u~a vestaglia dalle maniche di pizzo. ampie, sventolando dolcemente le mani cariche di anelli. dalle dita nodo5e e deformate dall'artrite, mentre le tintin– navano ai polsi un numero spropos1tato di braccialetti d'argento.

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