la Fiera Letteraria - XI - n. 42 - 21 ottobre 1956

Pag. 2 L ·------------------- Gli ermetici nelle scuole e occorre riescono? * (Continuazione da pag-. 1) saperla sceverare, illustrare. Quanti vi Ci limiteremo ad osserva1·e che ai fini scola lici se ne dà un'esemplificazione il più delle volte ambi– gua e scadente, anche perchè pletorica e confusa. Per antologisti della tempra di un Carducci, la promo– zione ad autore degno d'interloquire in un'antologia scolastica era riconoscimento di valore così signifi– cativo da venire accordato solo di rado e a ragion veduta. Tanto vero che le Letture italiane restano, ancora oggi, un libro modello. Nelle nitide paginette della prefazione sono contenuti avvertimenti d'una vigoria e d'una dottrina che sarebbe slato augura– bile non trascurare. Di anno in anno non si è fatto invece che aumentare il numero delle promozioni, fin– chè si è giunti all'odierno, increscioso e ridicolo re– clutamento in massa di soldatucci da spacciare per generali. La nostra diffida contro l'inflazione dei cosiddet– ti « classici minori • è cosi diventata una palinodia. Non è a siffatta stregua che ci si può rallegrare di vedere accolta nelle scuole la poesia del Novecento. E attraverso quali generiche o insulse o cervellotiche interpretazioni. Ci tratterremo dal citare esempi. So– lo aggiungeremo che ritrovarsi, dopo tante scorag– gianti consultazioni, a poter sfogliare un florilegio nuovamente guardingo nella scelta e nel commen– to, come quello del Getto e del Portinari, è motivo di sollievo. . . . Ma soddisf!lcente, al riguardo, e tuttavia corag– giosa, per quanto destinata a un pubblico più va to, più popolare, e non meramente scolastico, si era già dimostrata, ultimamente, l'Antologia popolare di poe– ti de! Novecento (Vallecchi, Firenze 1955), diligente– mente approntata da V. Masselli e da G. A. Cibotto. A parte, s'intende, la incredulità che ben può conti– nuare ad albergare in molti di noi circa l'assunto di render popolare, cioè di far capire anche al grosso pubblico, • la discussa poesia de] Novecento •· Basta mettersi d'accordo sulla portata da attribuire a un simile intento. E in proposito è stato subito il non fa– cile Eugenio Montale ad avvertire che • nessuno scriverebbe versi se il problema della poesia fosse quelle di farsi capire. Il problema è di far capire quel quid· al quale le parole da sole non arrivano. Ciò nol'l accade solo ai poeti reputati oscuri. lo credo che Leopardi riderebbe a crepapelle se potesse legge– re ciò che di lui scrivono i suoi commentatori». Possibile che giusto ai poeti contemporanei sia toccato di non saper più ridere? 'eppure Clemente Rèbora, quando in un'antologia per le cuole medie trova asserito che nei suoi Frammenti lirici del 1913 • sl hanno echi di Montale •, i cui Ossi d1 seppia recano peraltro la data del 1925? Neppure Carlo .Be– tocchi, quando in un'altra antologia trova che l'• al– batrella • di una sua poesia è scambiata per un uc– cello, mentre non è che l'albero chiamato comune– mente • corbèzzolo •, e così l'intero commento se ne va a carte quarantotto? Ma anche al vento e garbìno • è toccato, altrove, d'essere mutato in un uccello. Ed è risaputa la me– tamorfosi di un cane • bedlington • in un aeropla– no, verificatasi in uno dei Madrigali fiorentini di Montale. Qualcuno obietterà che, di fronte a simili smarro- nate, c'è poco da ridere. Dov1·emmo forse metterci a piangere? Meglio invocare una più severa cautela, specialmente quando ci si rivolge a studenti e farsi cogliere in !allo è quasi imperdonabile. ... Ma anche in materia di antologie scolastiche de– dicate ai poeti del Novecento esiste un rovescio del– la medaglia: e all'ottimismo confusionario di alcuni compilatori si contrappone il pessimismo reazionario di altri. Nè questo è meno errato e meno nocivo di quello, in quanto - a parte ogni altra conside– razione cli merito - verte su autori che, una volta prescelti ed inclusi, dovrebbero di conseguenza essere illustrati con un cenno favorevole, atto a giustificar– ne l'inclusione e a garantirne così l'esemplarità. Ap– punto l'e emplarità in virtù della quale sono stati ammessi a figurare in una antologia scolastica. E invece ecco qua una di tali crestomazie, dove a Giu eppe Ungaretti si muove ragionieresco addebito perchè « di fatto i momenti in cui aUinge la poesia sono pochi, nè è in lui (ma qui dal ragionieresço ·i passa al facilonesco) eco profonda dei valori della poesia essenziale quale si affaccia in altre•. E, poco appresso, della poesia di Eugenio Montale i senten– zia che • troppo è tentata più che realizzata, ancora allo stato di abbozzo, e gli accordi stridono o riman– gon germinali•· (Cfr. P. Acrosso: Poeti nostri, D'An– na, Messina, 1955). In simili casi non sarebbe preferibile che i com– pilatori si fermassero a Gozzano e si tenessero paghi della Signorina Felicita? Perchè andar contro il pro– prio gusto e far passare quasi come accomodanti con– cessioni quelle che dovrebbero essere semplicemente delle ragionevoli ammissioni? Con l'aggravante che, presentate a quel modo, non riescono di giovamento, e se mai risultano assurde. certo inconcludenti. Quando si vuol essere severi, non si può a meno di assoggettarsi ad un'adeguata parsimonia. Ma per riuscire efficacemente persuasivi occorre anche disporre della necessaria coerenza. E quale coerenza, per citare un esempio tra i più significati– vi, può aver guidato Papini durante Il buon viaggio (Palumbo, Palermo,. 1954) da lui intrapre o con En– zo Palmieri? Fatto sta che, dopo averla mandata in– credibilmente buona a genterelfa di mezza tacca, in. meritevole perfino d'esser menzionata di sfuggita, allorchè gli venne a tiro un Dine, Campana il buon Papini credette di far centro sparandogli o, peggio, lasciandogli sparar contro il solito ritornello, secondo Il quale • in realtà era un mentecatto innocuo con barlumi di genialità, che si rivelano nella sua poe– sia. La critica recente però tende ad esagerarne l'ef– fettivo valore, scorgendo nelle oscurità di forma e di pensieri no:1 si sa quali ermetici segni di una irrive– lata grandezza di poeta. Ma diceva Amleto? - Pa– role, parole, parole ... •· A quale didascalico scopo, ,•uoi scientifico e vuoi poetico, comprendere dunque un mentecatto produt– tore di versi, se anche nelle riflessioni sul suo Basti– mento in viaggio • tutto si risolve in vaniloquio, in fl(ltus voci •? Verrebbe voglia di replicare con bene altre parole dello stesso Amleto: • Non sono pazzie quelle che ho detto. Mettetemi alla prova, vi dirò ancora tutto parola per parola, mentre la pazzia salterebbe chissà dove ... Per amor della grazia, parli la mia pazzia e non la vostra colpa ... •· Ma dalla pazzia di Campana sono in molti a voler · trarre profitto per mettere sotto stato di accu a e an– zi per condannare con infamia e senza appello il meglio della lirica italiana del ovecento. Anche E. M. Fusco, nel suo voluminoso dizionario critico della Letteratura italiana ( Scrittori e idee : Sei, Torino, 1956), non si è fatto scrupolo di ribadire, rinforzando, quanto aveva sostenuto nella sua non meno volumi- LETTER no a ma non più sostanziosa storia della Lirica ita– liana (Vallardi, Milano, 1950). Prova ne sia il car– telllno segnaletico da lui approntato, con gran gau– dio (cfr. L. Fiumi: Gazzetta del Sud, 8 giugno 1956) degli acrimoniosi sodali: • Letti e riletti i Canti orfici, con tutta la buona volontà di simpatizzare con un poeta maledetto - marca Rimbaud - il critico non può che constatare frammentismo e squilibrio. La sensibilità o la iper– sensibilità di alcuni momenti non alimenta quasi mai una lirica degna di attenzione. Questo del Campana è uno dei casi tipici della critica così detta d'avan– guardia. sempre pronta alla esaltazione o celebrazio– ne del paranoico e dell'abnorme •· Sulla scorta di siffatte aberrazioni è facile im– maginare il trattamento riserbato a molti altri poeti • nuovi. del Novecento, alcuni dei quali sono addi– rittura ignorati, o oppres i. Per esempio: Bertoluc– ci, Borlenghi, Caproni, Carrieri, Comi, De Libero, Lu– zi, Parronchi, Penna, Sereni. Per contro dà all'occhio il goffo favoriti mo esercitato verso altri, riportabili o raccostabili più o meno alla corrente neorealistica. Ma non che con i prosatori e con i narratori le cose vadano meglio e i giudizi siano più accettabili. Ba– sterebbe consultare le • voci • riguardanti Emilio Cecchi, Gianna Manzini e Ignazio Silone. Auguriamoci pertanto che un dizionario critico del genere non venga adoperato da chi già per suo conto non la sa abbastanza sulla letteratura del '900, sì da poter fare a meno, per orientarsi, degli illividi– ti lumi del Fusco. Dar di pazzo al Campana per squalificarlo come poeta. eppoi a proposito di un Giorgio Umani citare per buono uno squarcio pseudo critico di quel plagia– rio di 'ino Moraii, che dev'essere realmente un po– vero squinternato, cleptoname per giunta, è privile– gio di cui non da oggi il Fusco si è mostrato degno. ENRICO FALQUl Lorenzo Perosi * (Continuazione da par. 1) oggi per casi stilistici afiatto opposti, che quel che li scandalizzava era proprio la sincerità del compct– sitore. II suo impegnarsi a trattar di Dio con il lin– guaggio e il sentire del tempo in cui si trovava a vivere. La preparazione tecnica di quegli oratori tutti ap– parsi tr,a il '97 e il '900 (La Passione, La Risurrezione, Natale del Redentore, l'Entrata di Cristo in Gerusa– lemme, la Strage degli Innocenti) era stata scrupo– lrna. Si andava preparando nella chiesa cattolica la riforma della musica sacra. Ed egli, dopo esservi stato iniziato da uno dei più fervicti propugnatori in Italia, padre Amelli, volle recarsi a Ratisbona dove lo Haberl dava rigore tedesco alla restaurazione della polifonia religiosa e del gregoriano. Ma Pero i pro– fittò del soggiorno in Germania anche per allargare liberamente le proprie esperienze culturali, e giovane ed entusiasta com'era per vagheggiare un'attività di portata ideale più e moderna•· Lungi cioè dall'appa– garsi di ricuperare l'austerità alla musica liturgica volle evangelizzare quella profana agendo nelle ~aie da concerto. L'esaltazione ecces'iva di cui Rconain Rolland cir– condò la sua scoperta del pretino di Tortona ha pur essa una giustificazione. Non tanto parlava nello scrittore francese lo studioso di storia musicale, Domrnira ~1 ollohrr 19:i6 qu.anto l'umanitarista di Jean Christophe, l'aposloln di una religione laicizzata. Né, d'altronde la crisi spi– rituale che attraversò poi il suo protetto è forse da porsi unicamente sul conto <li una turbe psichica: a suo modo Perosi patì in ritardo la prcova di un proprio • modernismo•• figlio com'era di un'epoca che ri– solse unicamente sotto il segno sentimentale il rap– porto col tra cendente. Ma per lui a salvare l'artista e l'uomo sarà appunto la forza della sua fede. Anche quando più vicino sembrò essere l'ora della laicizza– zione completa e più pressanti si fecero gl'inviti a compierla, continuò a rifiutarvisi appassionatamente. E' all'indomani del Mosé: la involuzione massima del compositore in senso melcdrammatico, ch'egli di– chiara nel 1902 • quel po' che io sono capace di fare mi viene tutto dalla ispirazione ohe mi dà la reli– gione. La mia fede è la mia vita. Quando ne contem– plo la bellezza e la grandezza me ne esalto ed ho bisogno di esprimere questa esaltazione cc,\ linguag– gio che mi è naturale, cioè con le note musicali... quelli i quali dicono che in occasione del M osé io ho voluto aprirmi la trada ad un'arte nuova, a nuovi orizzcmti m'imprestano programmi estetici e m.agari filosofici che non ho. Io continuo a fare quel che ho !atto dal primo giorno cioè ... a can\are meglio che posso la irloria del Signore •· Né mancò di pagarne il prezzo Il cosiddetto mo– mento di Perosi venne dato per concluso sulla soglia del Novecento. Il 'nuovo secolo procedendo a mutare gusti e linguaggi, si credette che lo costringesse al ruolo di superstite o di un fuc,rviato dalla sua vera natura (l'operista che sbagliò strada) quando sua era stata la scelta di sottrarsi all'attuale. Sopravvennero gli anni del lungo silenzio. Quindi superato che fu il turbamento dell'intelligenza, placato lo spirito, ri– prese fa via del tempio che la giovinezza, i gran sogni di quell'età e i clamori dcmde erano stati circon– dati, avevano posta in ombra . Ed è poi di qui che la sua figura più s'individua nell'unitaria sostanza di artisìa-saceroote. La carica di maestro direttore della Cappella Sistina, che dal 1933 assorbì quasi completamente la sua attività, im– plica Il maggior sacrificio per le ambizioni di un compositore: un'antica disposizic,:1e pontificia esige che nessuna delle musiche critte per essa sia pubbli– cata e diffusa altrove. Perosi invece non se ne sgo– mentò continuando a creare ad uso delle fonzioni Messe e Mottetti • a cappella• con una fecondità pari a quella dei maestri del passato. Buon numero di tale produzic-ne sfugge quindi al– l'apprezzamento cri1ico. Ma quando si ricordi l'un– zione schietta e umile della Messa di Requiem, la concisione della Missa brevis, la tenerezz.a lirica di taluni mottetti di altra destinazione, e soprattuttc, il magistero spontaneo del suo scrivere per le voci e la poesia ohe traeva dal gregoriano, è lecito credere che anche la qualità raccomandi la parabola sacerdo– tale del suo far musica. E sia possibile oggi riconc,– scervi li Perosi migliore. Da ciò a volere .attribuirgli il valore di una lezione è come riaccendere una po– lemica a danno invece che a vantaggio di colui che s'intende onorare. Il caso infatti resta chiuso in sé. Impossibile ad assumersi cc,me modello oltre e più che la frattura coi lessici e con le tecniche odierne, per il diverso proporsi del fatto religioso agli artisti che vivono nel mondo. Tuttavia questo servir Dio in simplicitate cordis • e • simplicate artis • vuole già un poste, d'onore per il compositore che volle farne una divisa operante e seppe tradurla in realtà estetica. Pur se alterne furo:10 le riuscite che ottenne il proposito di • distaccarsi interamente• - com'egli stesso affermò - • dalle pas ioni della vita quotidiana e contemporanea•. EMILIA ZANETTI

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