la Fiera Letteraria - XI - n. 38 - 23 settembre 1956

Domenica 23 settembre 1956 LA FIERA LETTERARTA Pag. 3 NARRATORI DELLA '' FIERA LETTERARIA" * LamagiadelMuottas 1Iuragl Non fu una gita organizzata tra i clienti dell'albergo; . accadde naturalmente, a causa di bel tempo, del cielo di turchese, dei voli degli ucceLli che scintillavano nel sole; o del fumo che si innalzava dai camini delle case sui fianchi dei moniti. ·certo ,faceva piacere respirare quell'aria nitida, pura, toccarsi coi guantoni di lana la punta del naso gelato, o guardare le gote dei bimbi screziate da.I riverbero della buona salute. Ll ghiaccio awari<va traforato, trasparente, e rifletteva la na– tura all'intorno, i colorì delle case, il passaggio degli animali e degli uomini. Qua.si tutti erano armati di sci; le donne, con ridicoli pompons sui berretti a maglia, avevano un lezio da baUerine in costume, per una pantomima senza accompagnamento di musica. Pigiati nella gabbia della filovia, Gio– vanni fu accanto a Corinne; più in là era l'erborista, Sylvia con Jean, il medico con le figlie, entrambe bionde, color del miele, e gli occhi dì un azzurro inalte– rabile; persino Irene ostentava un ber– retto carico di segni zodiacali a colori, e "di un pompon altrettanto sfacciato. G1i svedesi, ultimi arrivati, erano a capo nu– do, già bruciati dal sole delle vette: non avevano perso tempo in quei tre giorni, immuni dal contagio, scalando le mon– tagne all'intorno, alla ricerca dei loro minerali. Sembravano frateLli, a causa degli occhiali, degli occhi di un identico color grigio, della bocca stretta, degli zi– gomi in rilievo. Appena la gahbia si mosse, al cigolio della grossa fune metallica, U'.11ava•bra– zione molesta annunziò che il viaggio incominciava: il viaggio verso la cima del Muottas Muragl. A che cosa avrebbero servito le giac– che a vento, o di cuìo, •Ì guantoni ara– bescati, gli scarponi ingrassati, una vobta giunti in cima, a quell'inverosimile al– tezza? A guardare in giù, si scorgevano i comignoli delle casupole sep'olte nella ne– ve; e dalla neve spuntare rami di un nero di carbon fossile, ba.Jle di tronchi slittare contro muraglie dì fieno e di frasche, animali - cani e galHne - prendere i-1 sole. Oppure vallate improvvise si spalan– cavano con spazi vuoti dì un bianco im– macolato, indu1i•to dal gelo, intricato di riverberi, come la sabbia maTina nelle ~i.orna.te di canicola. · Giovanni sentì la mano di Jean cer– ca.re la sua, per un appoggio, un aiuto; tutti avrebbero avuto pauTa, se sl fossero ostinati a misurare la distanza, che, au– m~tando sempre più, tentava di sepa– rarli dall,a terra, tenendoli sospesi nello abisso. Ad un tratto, da certe cassette in cima a pali disposti lungo il tragitto, prese a gracidare la radio: una musichetta da ballo, imbavagliata dal gelo che circon– dava le cassette, ampli.ficq il silenzio, lo rese addirittura intollerabile. Che scherzi. A ben riflettere, quella musica era consolante, faceva ogni sforzo per avvi– cinare la terra al cielo, o viceversa; e insomma accompagnava la traiettoria della gabbia sospesa tra cielo e terra• Altrimenti, sarebbe bastato il fumo delle case dispet-se, le cime degli alberi sep– pelliti nella neve? La pressione della mano di Jean diceva di no, e che Jean era riconoscente alla musica erratica, la qualè,, da un pilone all'altro, riempiva i vuoti di aria con ritmi vaganti, facili da ricordare e da ripetere. « Mi piacerebbe poter suonare, una vol– ta in cima» disse Jean, fingendosi rapito. « Chi te lo vieterà? Ci sarà bene un piaboforte nel bar del Rifugio» lo inco– raggiò Giovanni, che trovava a~surda la m1Asica a quell'altezza, come ogni altro intervento estraneo alla dimensione della altezza e a quella dello spazio. Attirato dal color biondo dei capelli, sorrise a una figlia del dottore, che ar– rossi, sentendosi guardata con un'insi– stenza da cui l'ammirazione era esclusa. Sylvia fu accanto a Jean e a Corinne; con le loro silhouettes in bianco e nero, le due donne sembravano rondini pronte a spiccare il volo sul vuoto delle vallate in ombra, verso il disco del sole che non si poteva guardare a occhio nudo. « Paura? • disse Giovanni, distratto. « Del sole? » bravò Corinne. « No, del vuoto• precisò Giovanni con opaca c,·udeltà. « Chi vuole spaventare; J ean? » sfidò Sylvia. « Me stesso» confidò Giovanni, sovrap– pensiero. « E non so nemmeno io per– chè ». Si calcò il basco in testa, quasi il vento potesse strapparglielo di sorpresa, e si accorse di essere l'unico ad avere il basco con il cappotto e senza sci. Non sapev'a sciare, nè gli pungeva voglia di Imparare, nonostante i piani inclinati del– la neve fossero più invitanti dei canali del tobogan nelle giostre paesane. Sosta1'0no a un gigantesco pilone per l'inc;rncio: la gabbia che scendeva dalla cima era vuota, e l'omino che la guidava aveva una gran barba che gli nascon– deva il viso. Forse era un nano della montagna; invece, quando fu vicino, si pobè vedere la sua alta statura: d_avvern gigantesco, e _rideva come un satiro n– volto ai viaggiatori, tra i peli grigi della barba scarn,ffata. Aveva il naso rosso. lustro, e gli occhieltti grigi maliziosi. mezzo seppelliti nei cespugli delle so– praciglia. Si cavò cottesemente il cap-. pello, ammiccando al compagno che gli rimandò un saluto altrettanto grottesco. sputando la voce tra pipa e denti. Poi la gabbia riprese a sussultare. scivolando sulla corda tesa per un rischioso esel'Ci– zio di equilibrio- Al contrario, niente era ,l,i R. M. DE AJITGELIS più facile e spontaneo di quel salire verso il cielo iLluminato dal sole. Smontarti, furono nell'ombra ghiaccia– ta, e, travet-so un corridoio in legno, sporco di neve, si rifugiarono di corsa nel bar caldo come un forno: la stulfa di ferro a•veva la gola rossa e mandava un calore v.iolento, secco. Bisognava bere, ecco tutto, grappa, Kirsch, o ciotole di caffè bollente e cognac. Anche il piccolo Jean ingo!,Jò un sorso di grappa, aiutaito da Sylvia che non lo perdeva un attimo di vi-sta. Gi svedesi bevvero rapidamente tre tumi di rito; poi vollero invitare Gio– vanni, sorpresi che llti, un italiano, rifiu– tasse, con la scusa del fegato. Che c'entrava il fegato? Il fegato non avrebbe reagito, con quel freddo, e per quello sbalzo troppo brusco di tempera– tura: lo stomaco aveva bisogno di calore per resistere al,l'aria frizzan,te della cima. Per un po' stettero intorno a Jean che si accaniva sui tasti del pianoforte scor- dato: le note volavano intirizzite, sbat• tendo, come mosche ritardatarie, la testa contro i vetri dei finestroni; qualcuno si impigliava, più sbadata o più stanca, tra i riccioli biondi del suonato·re. « E' arn,ginito » si lamentò il bimbo. E sembrò che avesse scoperto il cadavere di u·n uomo mortammazza•to. « S1 può aprire la Radio • suggeri il garzone del bar: e Corinne dovette inter– venire, invitando il figlio furioso a vedere il sole, la neve dol'ata dal sole, sull'altro 1 lato della casa. C'erano [.!anche ripulite dalla neve, sull'altro versante, addossate al muro di mezzogiorno, e da quel,lo spazio si scor– geva bene la vera cima del monte, a quasi duemila metri di altezza, con ver– tel:>re di cristallo azzurro, risplendente di l'iflessi minerali: era, quella, la vera ci– ma inesplorata, il luogo geometrico delle montagne, in cui radici e grotte, aJberi e ossa di animali antrdiluviani appari– vano immersi nella stessa luce e neJla identica magia. Più che la groppa di un mostro, la cima del monte era il totem di una reli– gione scomparsa, con schegge di pietre preziose intarsiate dal gelo e dalla luce, dal,la neve indurita e dai riflessi della luna che vi slittava sopra come un pal– loncino sfuggito alla mano di un an~elo; poichè sole e luna avevano lo stesso colore di argento sbiadito, evanescente. Giovanni si provò a ripetere agli amici quelle sue fantasie: soltanto Jean non rise. « E' maturo per la scalata» esortò l'er– borista « E chissà che non tocchi a lei scoprire la lana dei vecchi camosci •· « Lei insiste nel dirmi che l'ignot'a? E dove sono le guide di cui mi ha fatto cenno?». « Stia sicuro, tra poco le vedrà, e non avrà alcun bisogno che io gliele additi. Sono statue etrusche di antichi sacer– doti. Vedrà ... » promise. con un gesto vago, da cul non era forse escluso un terrore superstizioso, o un'oscura mi– naccia. S-i stava bene. appollaiati sulle panche di legno, col d01-so appoggiato al muro bianco di sole. Sul falsopiano che cir– condava il cocuzzolo, le striature degli sci sembravano disegni geometrici, o lia– ne bizzarre di confine tra un campo e l'altro di neve. I colori risaltavano nel sole. brillanti. nuovi, dipinti di fresco sui magJioni e i copricapi più o meno buffi. Il sole stesso, sfornato di fresco, con una dora– tura gradevole di pane co-tto a fuoco len– to, sulle mani aveva un tepore quasi umano. A tanti bastava, con l'a1ia pulita: fa– cevano merenda soprattutto di sole • di aria. Dall'altro versante, nelle zone in om– bra, le piste pericolose avevano un fa- scino persino troppo evidente, con le di• scese che si alterna-vano ad av,vaUamenti e groppe: era come lanciarsi a volo da un picco, con lo stesso rischio di rom– persi Jl collo o una gamba, Del resto, gli infortunati erano legioni, per quanto sparsi negli alberghi o rientrati alle basi, come autentici feriti di guerra. I con– valescen,tì, appoggiati alle loro stampelle, aspettavano il permesso del dottore per abbandonarsi di nuovo all'ebbrezza del loro audacissimi voli. Sylvia e Corinne afferrarono Jean per le due mani e si lanciarono con un grido d,i saluto. Sino a che non ria-pparvero nella gabbia della funivia, dopo una buo– na mezz'ora, il battito del cuore d,i Gio– vanni fu - o sembrò - più a.ffollato. Oh, non certo per amore di Corinne: gli sarebbe dispiaciuto non sapere più nien– te di essi, ecco tutto, specie dei riccioJ.I d"oro di Jean, che spa-rivano sempre tù– timi, come un riverbero d,i luce, dietro la barl'iera dei pini sepolti a mezzo dalla neve. L'-erborista inglese ciarlava con un bo– tanico i<taliano: Giovanni si sentì esclu– so, abbandonato al suo proprio destino, ch'era quello di raggiungere la cima del Muottas MuTagl. Apparvero le guide, infatti, simili a sacerdoti etruschi. Lo ascoltarono gravi e compassati, ma fecero segno di no, che non era prudente, a causa del tempo che minacciava tormente e valanghe; per questo ; camosci non erano ancora scesi a valle, non era un mistero per nessuno, a quel'l'al~ezza. Giovanni ebbe il buon senso di non a{frire una somma maggiort alla tariiffa, per convincere le guide a.Ua scalata; e l'erborista ingl-ese gli sorrise con l'occhio tenero, offrendo a tutti un bicchiere di grapp!I, come augurjo, all'impresa, riman· data solo a causa del catti,vo tempo. Invece il sole splendeva, la neve vi riverberava come una trama metallica, gli sciatori prudenti, impigl.iati tn quella trama, esi>tavano con ghirogori capric– ciasi prima di infilare una discesa che era piuttosto un dolce e gentile dec!-ivio nel sole. I più arditi preferivano l'ombra ghiacciata,. sparivano nell'a1,ia ,g-hiaccia– ta che jj risucchiava alle basi della montagna, insieme ai tronchi di albero r.he slittavano sino alle barriere .di fra- che. Valanghe ancora innocenti - uo– mini ed alberi. Non sarebbe, quel gioco, durato trop– po a lungo; almeno a saper leggere nel– rocchio grifagno e impavido delle guide, avvolte nel fumo del loro silenzio. Consumato il desinare al sacco con un piatto caldo al bar-ristorante. e un ulti· mo bicchierino, la gente si allineò ancora sulle panche, a rosolarsi al sole. Le don– ne si spalmavano il viso e le mani di creme, gli uomini, con olio, si ungevano accuratamente, quasi per una recita. Fa– ceva caldo, e si sbottonavano le cami– cette e le camicie: prima di abbando– narsi di nuovo alla discesa, si infilava. no i maglioni e giacche a vento, toglien· dosi gli occhiali neri. Si, era proprio una recita, e la gabbia non smetteva di scaricare scia.tori: .se ne udivano i passi pesanti degli scarponi sulle tra– versine di legno del corridoio; poi il ri– prendere il ronzio molesto delle corde sulle quali scivolavano i carrelli della gabbia vuota. « Potresti almeno cantare n, disse Jean. « Gli italiani cantano sempre una bella canzone dedicata al sole. La sai? ». « Certamente, ma non ho voce». ,, Bugiardo "· « Come vuoi. Se tu fossi mfo figho. però. ti sculaccerei n. «Provaci"· Corinne intervenne, attirandosi il bim– bo sul !)'etto. Sylvia l'aggredì senza acri– monia, piuttosto per abitudine,,. « Lo vizi. Manca di riguardo a tutti » « Giovanni è un suo amico ». « Più grande di trent'anni». « ATtisti. Che vuoi che conti, l'età? ». « Oh, conta», interruppe Jean, riden- do indispettito. « Lui cerca una ragazza del dottore », · sibilò con una smorfia di disgusto. q Ah. ", fece Sylvia. « C'è anche una bionda, nella storia ». « Una pattinatrice senza volto, di clll ho visto rilucere i capelli, quand'ero a letto, malato. Forse è partita. In ogni caso, dimenticata, persino come imma– gine. Ho avuto il torto di paTlarne a J,ean: e ora lui mi ricatta "· « Sembra vero, che l'abbia scordata"• ribattè Corinne. « Ma ne parla con tale indinferen=... Attenzione. arrivano le figlie del dottore ». Sbarcò con l'tùtima corsa una « ban– da» di francesi, osp'iti di un altro al– bergo: più donne che uomini. e in mezzo a essi fiammeggiava una gagliarda dai capelli rossi, tizianeschi, naturali: Jose– line, un'attrice amica di Corinne. Le due amiche si abbracciarono, appartandosi; Sylvia ebbe un gesto comicamente scon– solate, poi disse: « Ecco com'è fatta. Ba– sta l'odore del palcoscenico a farla am– mattire. Le dispiacerebbe cambiare tinta ai capelli della sua sconosciuta? A Jo– seline -garberebbe: e una rossa vale più di una bionda, con la neve». Ri-sero di cuore. anche J ean; e accettarono di fare la discesa a piedi, tutt'insieme, ora che il sole, p·rossimo al tramonto, non riusci– va pjù a combafltere col tfreddo d~la neve e deJl'altezza. Corinne e Sylvia af– fidarono i loro sci al custode del bar insieme a quelli di Jean; cominciarono a scendere, a scivolare sulle natiche, a ruzzolare per un sentieTo parallelo alla discesa per gli sciatori. Furono ben pre– sto sotto gli alberi ammantati di neve e e ghiaccioli come di armature d'argen– to tra le cui maglie il verde bruciato dal gelo era simile a quello dei serpen· ti di fiume: un'estatica lubricità imbal– samava quei giganti di epoche remote. Ogni tanto. un ammasso di neve pre– cipitava da un ramo, a scopriTe un'an- R.M. de A.ngelis, a Ca.pri, mostra. Jl suo ultimo quadro: « Natura. morta. con ostriche» tichissima ragnatela in una biforcazio– ne, o un ciuffo di foglie gialle, varie– gate e imputridite dall'umido. Giovanni non cessava di pensare al fatto di esse– re stù Muottas Muragl, e che quei mi– steri naturali sapeva.no di agguati e di fiere, e fors"anche di magie. Se lo ripe– teva incessantemente, per convincersene controvoglia, con riluttanza, deluso di es– sere stato beffato dalle guide: forse non esisteva un itinerario per raggiungere la vetta, o le guide erano ormai troppo vec– chie, anch'esse decrepite e ammuffite, CO· me le rare foglie che sembravano uccel– li nascosti nei meandri dei rami impa– stati di neve e ragnatele. Vide Jean affondare nella neve sino al– la testa: Sylvia lo afferrò per il mento è affondò anche lei sino al petto. In quel mentre, una set,iera di scia– tori distrasse l'attenzione del gruppo, e solo Giovanni fu lesto a scivolare sino alla donna e al bambino, esposti ai mar– gini del sentiero ormai confuso a quello della pista libera. Jean rideva, toccando la neve con la punta della lingua: tratto in salvo, per gioco, andava cercando mucchi in cui affondare di nuovo, capar· bio. L'attrice dai capelli rossi si mise a cantare, e al suo canto, da lontano. la radio corrispose, miagolando nelle cas– sette degli altoparlanti collocati tra le arcate dei piloni. Allora tutti diventaro– no improvvisamente malinconici, nono– state il paese fosse a più di un'ora di marcia, per w1 sentiero infido e quasi sconosciuto. Seguirono il canto e i capelli dell'at· trice: quel rosso infondeva calore e spe– ranza, come un faro nel deserto bianco che si andava incupendo di ombre viola· cee dal piede di velluto. Passò veloce un ragazzo sugli sci, che portava ad armacollo zappa e badile, p'er collocarsi di guardia al ciglio di un abis. so. facendo segnali di allarme con gli ar– nesi incrociati. a sbarrare il cammino. Il sentiero si incrociava spesso con la pi· sta e bisognava stare attenti al passag– gio degli sciatori, camminando a ritroso, perdendo un tempo forse prezioso, poiché la luce del sole era sparita del tutto, e la fores'.ta incombeva dilatandosi in uno scenario dalle impalcature profonde. Dentro quelle forre inaccessibili, sbar– rate dalle cortine di ghiaccioli e dallo scorrere di mostri a squame verdastre, erano certo le tane dei vecchi camosci, che. ora, spiavano con sublime indiffe– renza, il pavido passaggio del gruppo, in balla della neve e dell'ombra. Nessun occhio umano avrebbe mai sco– perto gli innocenti animali abitatori del- . la montagna e della selva. Nonostante il segnale di allarme, si vi– de uno sciatore discendere come un ful– mine a zig-zag, e sparire nel crepaccio: per poco non travolse il ragazzo che fa– ceva segni disperati di arresto con i pe– ~anti arnesi. Il ragazzo si sfilò gli sci. carponi si di– resse verso il crepaccio invisibile, sospin– gendosi innanzi gli arnesi c.he forse gli sarebbero serviti a scavare la neve in· torno al corpo del caduto. E anche quella era la morte bianca, forse: veloce, insi– diosa, inaspettata, in agguato come un animale antidiluviano. Quelli del gruppo. interroriti dall'epi– sodio, di cui non riuscivano a spiegarsi la causa, nè l'arcano, a testa bassa ripre– sero il cammino. badando a dove posa– vano il piede: le ombre si allungavano smisuratamente. Da uno spazio aperto nei rami duri dei pini e degli abeti, una falce labile di lu– na fu il mesto annunzio della sera. Il freddo diventava intenso, nonostante il moto e l'angoscia che li sospingeva ad accelerare la marcia sul deserto di neve. J ean non cessava di affondare: lo face– v•a apposta, per essere salvato; e sembra– va che esigesse un castigo o una con– danna addirittura dal nun1e tutelare del bosco. ch'era senza dubbio quel pino so– litario. arcigno e scintillante come la statua di un idolo guerriero. Giovanni ac– correva. senza risentire alcun affanno: . R.M. de Ange!is: Paesaggio Jean era condannato ormai a sparire nel– la neve, senza lasciare traccia. La zazze– ra dell'attrice non faceva più lume. Improvvisamente la foresta cessò, re· stituendoli allo spazio libero, la stazione della filovia illuminata come la grotta del presepe fu rapp'arizìone meravigliosa, il miraggio tanto sognato. Allora Giovanni senti freddo, paura, si mise a correre, resistendo al richiamo accorato del bimbo (« Perchè non mi aspetti? Dammi la mano ... "), al grido di Corinne. al canto dell'attrice: dalla sta· zione veniva chiara e distinta una musica ilare e capricciosa. Al caldo, dietro i vetri, assistè con ani– mo insensibile al lento avanzare del gruppo: il bianco della neve era spettra– le; quelli che discendevano a valle erano piuttosto un corteo di fantasmi, che a– vessero, per gioco, rubato i vestiti ai morti seppe]Jjti di una valanga: o erano essi, i morti dell'anno passato, ad acco– starsi alla vallata degli uomini, per scor– gere un lume nella capanna sperduta. un fuoco acceso per il cibo e per la preghiera. I colori erano spariti: non esisteva che il deserto di neve, e l'ombra smisurata della montagna, del Muottas Muragl ac– covacciato sotto il cielo reso infinito e monotono dall'astro lunare. Oh. Dio, il sole spari davvero dall"orìz– zonte e le montagne scomparvero anche esse. cancellate dal grigio che s1 adden– sava in nembi minacciosi, sempre più oscuri. Affiorava, a qualche raro barlu– me di luce, proprio la cima infuocata del MJuottas Muragl, in un carosello di nuvo– le e uccelli ad ali tese, palpitanti per l'aria tempestosa. Corinne persuase, al telefono, la « ban– da n dei francesi con a capo !"attrice dai capelli rossi, Jacqueline. di trasferirsi al loro albergo. per essere insieme non sol– tanto a causa della noia. Già i treni arrivavano in ritardo, e la posta porta va scarsa corrispondenza. La radio parlava di valichi interrotti, di ne– vicate che duravano da un giorno e una notte. Più a nord di P., la neve aveva bloccato autocarri, un treno periferico, sepolto, gruppi di baite e capanne esp'o– ste naturalniente alla furia dell'uragano. Un guardiacaccia non era più tornato. Una torma di lupi. nqttetempo. aveva riempito di terrore e di ululati le case di un intero villaggio: e nessuno degli abitanti aveva osato sfidarli, sebbene potentemente armati. ' Già, la neve, con quel bianco ìn1n1aco– lato, diventava rapidamente un immenso sudario, e ce ne era per tutti. senza nemmeno bisogno di tag1,arlo a pezzi: uomini animali e alberi affonissa•10 den– tro quel bianco, imbalsamati dal gelo pet l'eternità. Sembrava uno scherzo. un i"· ganno ottico persino; e poteva capit,re a chiunque, in cammino o nel sonno. Le case franavano. investite da,le valanghe. come gusci di noce infranti da una cieca violenza: la morte bianca, eh·~ isolava in– tere tribù in un assedio lento e inesora– bile di cui nessuno ignorasse il finale. I boati delle valanghe erano annunzi biblici di un diluvio ch'era una prova di quello universale: solo che le rocce non si aprivano. erano divelte al contrario co– me ciottoli, insieme ad alberi con tutte le radici. Quelle radici, scalzate, a volte resistevano caparbie, e tatuavano la ne– ve con le loro branchie lattiginose, intri– se di ruggine e di carbone. Anche nella vallata comnciò a ne\"ìca– re, e la nevicata si trasformò brusca– mente in tormenta, a causa dei ,·enti che presero a soffiare da ogni lato. come un coro di cani latranti alla notte e alla luna. La notte era arrivata con anticipo dì ore, ma· la luna? La luna non sarebbe più spuntata. almeno per una settimana. E. del resto che importanza aVTebbe avuto, la luna? La radio trasmetteva ogni ora i bol– lettini della temperatura, con le notizie R. i\l. DE ANGELIS (Continua a pag, 6)

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