La Difesa della Razza - anno I - n.2 - 20 agosto 1938

polemiea La parola distingue l'uomo dagli animali. Che significa? Anche gli animali gridano, cantano, si abbelliscono, vanno in amore, perpetuano il loro essere. E non fanno quel che può fare l'uomo. Il lavorare dei castori, dei ragni, delle api, talpe, formiche, come quello dei carcerati, degli operai, non è un fare, è un ripetere, una meccanica istintiva o volontaria, che non va oltre il fine della conservazione e perpetuazione dell'essere. Noi andiamo oltre. La sensazione per noi è una modificazione effettiva dell'essere. Ed è l'immagine d'una sensazione il suono col quale l'uomo disse la prima parola. Una modificazione di noi stessi e un fatto sentito, che noi creiamo, una immagine sonora, un corpo vivo, che mette rami, come una pianta, e non nasce solo, ed è articolato ed orchestrato con gli altr[ Questa è la prima opera dell'immaginazione. E' tutta di suono e dall'udito passa agli occhi, diventa visione, idea, come dicevano i greci, con la scrittura, che è il primo disegnare, con l'edificare e dipingere e scolpire; se pure non è dal nascere sonora, ottica, tattile. La forza propriamente umana è dunque forza d'immaginare, di dire e fare, forza di civiltà, che è fatta di opere, insomma linguaggio, e nel linguaggio dobbiamo cercare il suo principio, la sua buona o cattiva salute. E che altro vogliamo difendere, se non questa forza, questo potere di civiltà, difendendo la nostra razza? Che altro possiamo fare, se non incominciamo dal linguaggio? Camiti, giapeti, semiti, dice Vico, i quali rinunziarono alla religione di Noè e alla società dei matrimoni, dispersero le famiglie, coi loro concubiti incerti, vagando per la gran selva della terra, con un ferino errare, per campare dalle fiere, per inseguire le donne, per cercare pascolo e acqua, sbandati. Le madri allattavano i figli, soltanto allattavano i figli, lasciandoli nudi rotolare dentro le loro fecce, e spoppati, li abbandonavano. Dovendo rotolarsi dentro le loro fecce, dice Vico, le quali coi sali nitri maravigliosamente ingrassano i campi, e sforzarsi a penetrare la gran selva, che per il recente diluvio doveva essere foltissima, e per lo sforzo dilatare i muscoli, facendo che quei sali in maggior copia s'insinuassero nei loro corpi; e senza quel timore di dei, padri, maestri, che assidera il più rigoglioso dell'età fanciullesca, i figli crebbero smisurati giganti, in virtù di quella educazione ferina, con la quale Cesare e Tacito si spiegavano la statura dei germani e Procopio dei goti. La storia favolosa della Grecia e degli aborigeni d'Italia è di quei giganti. Furono detti giganti, detti autoctoni, 30 BibliotecaGino Bianco indigeni, ing-enm, chiamati nobili, tutti nomi che significano figli della terra, perciò io li chiamo umili, e perciò la terra fu detta madre dei giganti. Erano stupidi, insensati, orribili bestioni, ignorantissimi, meravigliati, dice Vico. Stupidi, e dice che erano tutto stupore e ferocia, tutti robusti sensi, vigorosissime fantasie. Quando le acque del diluvio si ritirarono e la terra poté alla fine disseccarsi, il cielo tuonò con folgori immensamente spaventose. I più robusti, che dispersi nei boschi avevano i covili nele alture, s'avvidero impauriti del cielo, e siccome la loro natura era che urlando e brontolandc spiegavano le loro violentissime passioni immaginarono essere il cielo un gran corpo animato, che volesse dir loro qualche cosa, e lo chiamarono Giove. Cominciammo da Dio. Quella forza più forte, quell'andare oltre ci condusse subito all'infinito. Tempio, popolo, famiglia, principe, padre, casa, città, tutti nomi venuti dal cielo, che vi ritornano, tutto sentire e immaginare l'eterno. I giganti parlarono, operarono, condussero imprese, per il bisogno d'immaginare. E « per la loro robusta ignoranza, il facevano in forza d'una corpolentissima fantasia; e perch' era corpolentissima, il facevano con una maravigliosa sublimità, tal e tanta, che perturbava all'eccesso essi medesimi che fingendo le si criavano; onde furon detti poeti, che lo stesso in greco suona che creatori: che sono li tre lavori che deve fare 'la poesia grande: cioè di ritrovare favole sublimi, con1acenti all'intendimento popolaresco, e che perturbi all'eccesso, per conseguire il fine, ch'ella si ha proposto, d'insegnare il volgo a virtuosamente operare, com'essi l'insegnarono a se medesimi». Sono questi poeti i fondatori dell'umanità gentile, cioè stabilita sulla certezza delle famiglie, gli autori delle imprese favolose, della favella volgare. Insegnarono il volgo a virtuosamente operare, come lo insegnarono a se :medesimi. Non gl'insegnarono a ripetere suoni e atti, che l'avrebbe mantenuto carcerato, nella forza dei castori. Non dominarono sulla volontà, non fecero propaganda, ecco la questione. Insegnarono opere e valore. Perchè sentivano, erano intesi, pure il volgo sentiva, e appagava il bisogno della sua forza. Svegliarono quella forza più forte, quell'andare oltre, che vuol dire creare un'immaginazione comune, senza di che sarebbero stati dei solitari e l'umanità non sarebbe come non sr rebbe stata Roma senza la plebe, Dante senza il volgare, l'Italia senza Dante. Perciò cominciare dal linguaggio vuol dire cominciamo dal volgare. MASSIMOLELJ

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