donne chiesa mondo - n. 70 - luglio 2018

DONNE CHIESA MONDO 36 DONNE CHIESA MONDO 37 zia, non gli concede invece di sentire la voce profetica delle figlie di Filippo, non gli concede di vedere il loro corpo in azione, diversa- mente da quello di Agabo (21, 11), così come del resto non gli conce- de di sentire in dettaglio la voce della profetessa Anna, a differenza di quella dell’anziano Simeone (cfr. Luca 2, 25-35). Al silenzio sul contenuto e sui modi della loro profezia si oppone il dettaglio biografico che precede significativamente l’attestazione della loro capacità profetica: si tratta di donne individuate non dal nome proprio ma a partire dalla relazione col padre (sono «figlie» di Filippo) e che, in quanto nubili («vergini», parthènoi ), stanno ancora nella casa paterna. Il testo non consente di stabilire se la loro condi- zione verginale fosse una scelta (cfr. 1 Corinzi 7, 8.25-26), espressione di sorprendente libertà dai ruoli socio-istituzionali prestabiliti (si ve- dano poi i gruppi di vergini cristiane di cui si parla negli Atti di Pao- lo e Tecla 7), o semplicemente una sottolineatura della giovane età. La tradizione ecclesiastica successiva sembra propendere per la prima ipotesi (secondo Policrate di Efeso, richiamato da Eusebio, Storia ec- clesiastica III , 31.4, «si mantennero vergini fino alla vecchiaia»). Pro- babile, comunque, è che con questo dettaglio biografico Luca inten- desse suggerire una qualche relazione tra la condizione verginale e il loro carisma profetico (si veda già la presentazione dello stato di ve- dovanza della profetessa Anna come condizione di dedizione libera al culto nel tempio in Luca 2, 36-37). La connessione non era estra- nea alla sensibilità ellenistica; la Pizia doveva essere, anche idealmen- te, una vergine: «Proprio come Senofonte afferma che la sposa deve aver visto e udito il meno possibile, prima di andare nella casa del marito, così anche la vergine, inesperta e ignara quasi di tutto quan- do davvero si congiunge con l’anima al dio» (Plutarco, Moralia 405c). Le figlie di Filippo, proprio in quanto «figlie» piuttosto che «mogli», restano legate alla casa paterna e allo spazio privato: da sposate ed, eventualmente, in uno spazio rituale pubblico sarebbe stato loro concesso di profetizzare o avrebbero dovuto assumere un atteggiamento sottomesso e dipendente dai loro mariti (si veda il problema posto da 1 Corinzi 14, 33b-35 e 1 Timoteo 2, 11-15)? La loro verginità, se da un lato richiama dal punto di vista della religiosità ellenistica una condizione adatta all’esperienza oracolare, dall’altro potrebbe essere la condizione socio-culturale di un suo più libero esercizio. Il fatto, poi, che solo in questo passo Luca definisca Filip- po un «evangelista» — pur avendo ampiamente usato i verbi «annun- ziare» ed «evangelizzare» nel descrivere la sua missione di annunzio in Samaria ( Atti degli apostoli 8, 5.12.35.40) — e gli affianchi queste fi- gure femminili quali soggetto di profezia può far pensare anche a uno sfondo ecclesiologico paolino (cfr. Efesini 4, 11; 2 Timoteo 4, 5) e Vittore Carpaccio «San Paolo apostolo» (1520)

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