donne chiesa mondo - n. 70 - luglio 2018

DONNE CHIESA MONDO 38 DONNE CHIESA MONDO 39 M ATTEO 13, 24-30 G esù racconta che il re- gno dei cieli è simile a un uomo che ha se- minato del buon se- me nel suo campo, ma durante la notte un suo nemico semi- na un’erba infestante, cattiva, la zizzania. I servi vorrebbero sradicarla ma il padrone pone un freno al loro zelo nel ti- more che, raccogliendo la zizzania, con essa sra- dichino anche il grano. «Lasciate che l’uno e l’altra crescano insieme fino alla mietitura e, al momento della mietitura, dirò ai mietitori: rac- cogliete prima la zizzania e legatela in fasci per bruciarla; il grano riponetelo nel granaio» ( Mat- teo 13, 30). Matteo riporta qui l’esperienza della sua chiesa. Gesù ha seminato la sua parola, gli apo- stoli hanno continuato questa semina con la lo- ro predicazione, eppure all’interno della comu- M EDITAZIONE La parabola della pazienza a cura delle sorelle di Bose Anna Ancher, «Mietitori» (1905, particolare) Nella pagina successiva Federico Rossano, «Campo di grano» (1868 circa) implicare che egli volesse dare alta dignità a queste donne che il cari- sma profetico avrebbe messo subito dopo gli apostoli. Però, di fatto, non ci permette di comprendere le forme concrete di espressione del- la loro profezia e, per ciò stesso, della loro specifica leadership. Ciò si spiega, verosimilmente, con il suo bisogno di scrivere un’opera a carattere pubblico, apprezzabile secondo i canoni della società impe- riale, e nella quale il ruolo formale di profeta restasse riservato solo ai maschi a garanzia dell’affidabilità culturale e politica del messaggio evangelico. Una giusta valorizzazione della notizia lucana è imprescindibile, dunque, da una lettura in prospettiva di genere. Ciò significa, anzi- tutto, riconoscere che la capacità profetica — nelle sue forme di mani- festazione e di attuazione più svariate e contingenti in rapporto al vissuto concreto delle chiese — è attestata alle origini della chiesa per le donne come per gli uomini. Significa, d’altronde, riconoscere nella scelta del silenzio quanto a forma e contenuti dell’esercizio della pro- fezia femminile il risultato di un’esigenza comunicativa e apologetica che, mutati lo spazio, il tempo e la cultura dei lettori, non ha più ra- gion d’essere. Benché le figlie di Filippo siano, di fatto, il primo esempio esplicito riconosciuto e attestato di profezia al femminile in età apostolica, al lettore non è possibile ricostruirne dal testo i gesti corporei, l’intenzione, l’autorevolezza, quasi che il rapporto tra profe- zia e corpo femminile non potesse ancora essere socialmente ed ec- clesialmente esplicitato senza confusioni sul piano religioso, culturale e politico. Egli, però, è invitato a riconoscere una compresenza strut- turale di figure maschili e femminili quando si tratta del dono della profezia alle origini della chiesa. Le quattro figlie dell’evangelista Fi- lippo si distinguono, tra e a fronte di altri discepoli maschi, perché sono in grado di parlare secondo lo Spirito, lo fanno, e sono ricono- sciute ecclesialmente per questa loro capacità. Si potrebbe dire che la loro profezia coincide con la loro stessa esistenza, e che questa, atte- stata narrativamente a perenne memoria, resta forma aperta a ogni possibile concretizzazione. Si tratterà, dunque, mutato il contesto culturale, di riconoscere il dono della profezia femminile e di lasciare spazio pieno a espressioni nuove e diversamente maturate — sul piano antropologico-culturale e, dunque, anche sul piano istituzionale — del carisma profetico, per la costruzione di un edificio ecclesiale che ne sia tutto intero animato, al maschile e al femminile; passando, anzi, a un rigoroso setaccio an- tropologico e culturale quelle forme istituzionali che, frutto transeun- te di epoche, valori e modelli non più comprensibili né condivisibili, possono solo concorrere a un temibile disprezzo della profezia (cfr. 1 Tessalocinesi 5, 20).

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